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Hexham Heads è vita e morte del genere horror

Presentato in anteprima nel contesto del Pesaro Film Festival, Hexham Heads è un horror sperimentale di Chloë Delanghe e Mattijs Driesen. Ma qual è il suo risultato?
Chloë Delanghe e Mattijs Driesen

Nell’enorme discorso di sperimentazione visiva proposto al Pesaro Film Festival 2024, sono stati pochi – se non assolutamente nulli – i film di generi portati In Concorso, con la scelta chiara di dare spazio ad un taglio destrutturato, simil-documentaristico e totalmente immaginifico. Accanto all’incredibile valore di un cinema puramente e dichiaratamente politico (con A Fidai Film) e a un riuso dell’immagine wendersiana (con Radiance), la vera e propria gemma del Festival è arrivata da due registi belgi, Chloë Delanghe e Mattijs Driesen. Una produzione anglo-belga per il film di 34 minuti che ri-costruisce il genere dell’horror in una nuova, sapiente, luce: ma con quale risultato?

Ridefinire l’horror nel sapiente lavoro di superamento dello stereotipo

I fatti raccontati sono ispirati a una storia vera, si affretta a dirci Hexham Heads, ponendo in essere il primo mattone di un’intelligentissima costruzione. Due ragazzi, Colin e Leslie Robson, trovano delle piccole teste in pietra dalle dimensioni di 6 centimetri e, da quel momento in poi, la città di Hexham inizierà ad essere preda di fenomeni paranormali: sulla base di questo elemento storico, che ci riporta fino al 1971 e a quella diatriba circa l’effettiva nascita dei manufatti, il film di Chloë Delanghe e Mattijs Driesen compie un passo importante, se non addirittura decisivo, verso la ridefinizione del genere horror nella contemporaneità. Didascalismo, per l’appunto: ciò che viene detto in poche parole all’inizio del film si trasforma in immagine, quell’immagine che lo spettatore viene spinto a vedere attraverso il climax ascendente che coniuga la potenza dell’audiovisivo, fino a restituire il perfetto risultato che osserviamo nei 34 minuti complessivi.

Hexham Heads pone in ballo un interrogativo importante, nel cinema dell’oggi, nel tempo del postmoderno e del citazionismo: qual è il ruolo dell’immagine? Che cosa siamo noi, spettatori, rispetto ad essa? Mattijs Driesen, a questa domanda, risponde citando il grande bombardamento a cui siamo sottoposti quotidianamente: l’immagine non vive soltanto in noi, ma anche attraverso noi, ed è destinata a perdurare grazie a quella potenza che sprigiona. Il riferimento, allora, non può che essere manifesto nel rapporto con il J-horror dei primi anni duemila, a cui il film sembra sovente ispirarsi. Chloë Delanghe, invece, ci dice qualcosa di forse addirittura più importante nell’offrire la definizione di ciò che l’horror è stato, è e può diventare: molto prima che Hexham Heads fosse realizzato, i due hanno visto al cinema un film orrendo, Annabelle; è forse proprio questo, in fondo, il senso di un film che si avvale della sua etichetta di sperimentale ma che, a dirla tutta, non ha la pretesa di innovare affatto: che cos’è, allora, il nuovo cinema se non una ri-codifica dell’esistente, un nuovo sguardo sulla storia attraverso la mediazione del presente? Il cliché, o per meglio dire lo stereotipo dell’horror convenzionale (come il jumpscare), viene intelligentemente superato, con un film che sa portare lo spettatore esattamente dove vuole, costruendo una dimensione fatta di compresenze e di paralleli: il cinema, la fotografia, il suono, che collaborano fino a restituire un prodotto che sa parlare molto dello spettatore, di quel che si aspetta e di quel che è disposto davvero a vedere.

Camere oscure e dimensioni oniriche

Ridefinire i confini dello spazio dello spettatore, e del suo rapporto con l’immagine, è un obiettivo di cui Hexham Heads si permea, fino a diventare l’oggetto della spasmodica attenzione del film. Certo, in una chiave di lettura si potrebbe pensare che il film resti più in superficie: gioca con l’horror, stuzzica il genere, cita i capolavori e li riusa in forma di satira, conduce l’occhio là dove questo pensa di stare al sicuro fino a disorientarlo, proponendo invece qualcosa di altro. C’è di più, però, in Hexham Heads e nei suoi 34 minuti di costruzione: c’è un immaginario onirico e sotterraneo, che appartiene forse più alla dimensione dell’inconscio.

Che ne siano o meno consapevoli, Chloë Delanghe, Mattijs Driesen e Sam Comerford (a cui si deve il lavoro sulle musiche e sul sound design) realizzano un discorso che affonda le sue radici nella produzione, nel toccare con mano, che appartiene al senso della camera oscura: il colore rosso, che allora accompagna più momenti del film fino a scandire le tappe del suo percorso, diventa in un certo senso la linea evolutiva di un intero genere, decretandone vita e morte. E non si può fare a meno di notare come, infine, il rosso ritorni nel cappello di quell’uomo – che la cronaca ha conosciuto come Desmond Craigie, il creatore delle teste di pietra – a cui si deve un atto simbolico, addirittura d’amore, nel momento in cui ridà vita, quasi in una personificazione stessa del lavoro dei registi, a quella sua creatura sulle note di The Cruel Mother; nomen omen, del resto.

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Hexham Heads
Hexham Heads

Hexham Heads è un horror sperimentale presentato in anteprima al Pesaro Film Festival, diretto da Chloë Delanghe e Mattijs Driesen

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

19/06/2024

Regia:

Chloë Delanghe e Mattijs Driesen

Cast:

-

Genere:

Horror

PRO

Il sapiente lavoro di ricodifica del genere horror
La capacità di superare lo stereotipo del genere
L’utilizzo del colore rosso e il lavoro audiovisivo
Nessuno