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“Easy Rider – Libertà e Paura”: Il Road Movie per eccellenza!

Ben tornati nella rubrica “IConsigliati”, sezione in cui analizziamo dei film cinematografici davvero validi che vi consigliamo caldamente. Il film in questione è “Easy Rider – Libertà e Paura” di Dennis Hopper, uscito nel 1969. Film indipendente costato circa 400 mila dollari, per buona parte improvvisato e con due attori poco conosciuti all’epoca. Queste erano le premesse quando uscì nelle sale americane, eppure contro ogni aspettativa in tanti accorsero al cinema per poter vedere la storia di questi hippie in sella alle loro moto, liberi, tra le strade degli Stati Uniti; venne anche premiato a Cannes come migliore opera prima e nominato agli Oscar alla miglior sceneggiatura originale e al miglior attore non protagonista (la prima per Jack Nicholson, che era ancora uno sconosciuto in quel momento).

Innanzitutto qual era il contesto attorno a questo film? E bene, c’è un crollo delle certezze dopo il cinema classico, siamo nel periodo della guerra fredda, della guerra del Vietnam e del maccartismo. Questo va a influire inevitabilmente sul modo di fare cinema e l’esigenza di parlare di nuovi problemi. Una delle figure più importanti per quanto riguarda il cambiamento del cinema americano è sicuramente Roger Corman, che produsse quasi sempre da solo i suoi film, fin dal 1955. La sua povertà di mezzi divenne uno stile; i suoi film sono sempre di genere ma si allontanano dal modello hollywoodiano più per la forma che per la sostanza. Infatti spesso propongono una visione sporca, anche sciatta e povera, a volte parodica o addirittura comica dei generi classici: il western, il gangster, la fantascienza e l’horror vengono da lui riproposti in stile povero e grottesco. Fondamentale fu uno dei suoi film, “I Selvaggi”, poiché lancia l’epopea della motocicletta a cui si ispirerà Dennis Hopper per il suo “Easy Rider”, ma molti futuri maestri della nuova Hollywood in realtà iniziarono a lavorare con lui e appresero da lui la testardaggine e il bisogno di autonomia finanziaria, ad esempio Coppola, Romero e Bogdanovich. Dunque Corman e la Nouvelle Vague divennero il punto di riferimento per i giovani americani che vogliono rinnovare il cinema anche stando dentro Hollywood. Il rinnovamento del linguaggio classico passa attraverso l’esibizione del linguaggio stesso, movimento della cinepresa, macchina a mano, in spalla, panoramiche sbagliate perché troppo veloci; il racconto si frammenta, si allungano i tempi e le inquadrature, sparisce quasi l’azione, aumentano le soggettive, ritorna la profondità di campo, si moltiplicano i punti di vista contrastanti (i buoni spesso sono anche cattivi, il bello è anche brutto), viene rielaborato il tradizionale happy ending, che diventa sarcastico o addirittura amaro, i personaggi non agiscono ma parlano e pensano: tutto questo favorisce un cinema sporco ma più diretto e intenso.

E proprio “Easy Rider” inaugura la Nuova Hollywood e dà vita ad un nuovo genere: l’on the road. Un film ancora oggetto di culto anche e soprattutto per le bellissime canzoni rock che parlano di libertà e del viaggio; curata dallo stesso Dennis Hopper, la colonna sonora è un vero e proprio manifesto musicale di quegli anni e più di tutti fu Quentin Tarantino negli anni ‘90 a fare la stessa cosa con le musiche di film come “Le Iene” e “Pulp Fiction”. Come abbiamo detto, lancia il road movie, un nuovo genere destinato a sostituire il western. Probabilmente è il film più trasgressivo della nuova cinematografia americana perché unisce nuovi personaggi, due antieroi, a uno stile del tutto nuovo, lirico e paesaggistico. Billy (Dennis Hopper) e Wyatt (Peter Fonda), soprannominato anche Captain America (ben lontano dal personaggio dei fumetti Marvel), comperano droga in Messico e la rivendono a un miliardario americano guadagnando così una grossa somma con cui acquistano due nuove motociclette, nello specifico due choppers con il lunghissimo manubrio, e attraversano gli Stati Uniti da Los Angeles a New Orleans, meta dei due protagonisti che vorrebbero godersi il carnevale. Prima di partire Wyatt butta il suo orologio (un Rolex) a terra, come a indicare un sogno di libertà dimenticandosi del tempo. Rifiutati dagli alberghi perché hippie e quindi visti negativamente, dormono all’aperto. Vengono ospitati da una comunità hippie che si ostina a seminare il grano in un terreno desolato e arido, ma subito ripartono. La gente comune li odia: in un paesino di provincia vengono messi in prigione senza motivo, e in carcere incontrano un giovane avvocato (Jack Nicholson) che parte con loro. In un altro paese hanno modo di sperimentare la ferocia della provincia americana, poiché di giorno vengono derisi e di notte attaccati e picchiati, e il loro nuovo amico, l’avvocato, viene ucciso brutalmente nel sonno. Arrivati a New Orleans, in un bordello reclutano due ragazze con cui si immergono nella festa del Martedì Grasso. Dopo la festa ripartono, ma un cattivo presagio angoscia Wyatt; e infatti il giorno dopo un camionista quasi per gioco spara a Billy, poi torna indietro e uccide anche Wyatt, la moto esplode e i pezzi volteggiano nell’aria in un rallenty incredibile quanto spaventoso. Fine del viaggio e fine delle illusioni, dove la bandiera a stelle e strisce che prende fuoco crea un canto funebre che seppellisce quel poco che rimaneva del sogno americano insieme alle speranze di un’intera generazione.

Fin dall’inizio del film incontriamo uno stile trasgressivo rispetto a quello narrativo. I lunghi camera-car, che mostrano il paesaggio dalla motocicletta in corsa, si accompagnano alla musica rock e pop, molto folkloristica, generando un nuovo tipo di sequenza poetico-musicale. L’uso frequenta del fuori fuoco e dei movimenti di macchina fa oscillare continuamente il film tra il punto di vista oggettivo e soggettivo; molto bella la grande panoramica a 360° sulla comunità hippie che prega, in cui osserviamo tutte le facce confuse dei giovani sotto effetto di droghe. Memorabile soprattutto la sequenza del trip in acido verso la fine del film, girata nel cimitero con la voce fuori campo, il controluce, la macchina a mano in soggettiva sopra le tombe, la distorsione grandangolare e il montaggio frammentario e poetico tipico delle avanguardie europee degli anni ’20 come l’espressionismo tedesco, e delle neoavanguardie americane degli anni ‘60 (i frame della scena successiva si uniscono ai frame della scena che sta per concludersi, generando transizioni di grande effetto). La fotografia di Laszlo Kovacs utilizza quasi esclusivamente la luce naturale per catturare la potenza paesaggistica del sud-ovest degli Stati Uniti e per contribuire ad esaltare le scene più psichedeliche. Anche qui avviene lo scambio tra road movie e western, perché la dimensione selvaggia della civiltà viene ripresa dalla filosofia degli hippie in cui l’individuo ritrova lo stato di natura.

In conclusione, con “Easy Rider” si propone un nuovo tipo di cinema, lirico e dis-narrativo, composto di forti flash di montaggio brevissimi e incomprensibili quasi, ma di grande effetto lirico sul piano visivo. Ecco che il cinema moderno americano lancia il suo nuovo stile, che collega musica e immagini con una narrazione debole (un viaggio in moto) in una maniera del tutto nuova.

– Christian D’Avanzo