Articolo pubblicato il 6 Gennaio 2022 da wp_13928789
“Madre” (“Madeo”) è un film di Bong Joon-ho uscito nel 2009, ma approdato per la prima volta al cinema in Italia a partire dal primo luglio 2021. Ancora una volta merito di “Parasite”? Ma direi proprio di si! Incredibile che soltanto da quel momento in poi c’è stato un occhio diverso con il quale guardare il cinema orientale e soprattutto, una distribuzione che sembra aprirsi anche a questo tipo di film (si veda anche il restauro e la distribuzione di quattro film di Wong Kar-wai).
La trama è incentrata su una madre (Kim Hye-ja) e suo figlio con problemi mentali, Do-joon (Weon Bin), accusato (ingiustamente?) di aver colpevolmente ucciso una giovane ragazza. Dal momento in cui sia la polizia che l’avvocato se ne lavano le mani, la mamma convinta dell’innocenza del proprio figlio accusato di omicidio, cerca disperatamente prove per scagionarlo.
Una piccola curiosità sull’attrice protagonista, Kim Hye-ja, che in Corea è una star televisiva ma anche cinematografica per il suo ruolo da madre perennemente buona e tranquilla, un personaggio positivo a cui qui viene contrapposto invece uno più equilibrato: la madre in “Madre” è un simbolo, una personificazione di colei che perde di dare significato alla propria vita e che trova come unico motivo per tirare avanti suo figlio Do-joon. Il problema è che quando affidi la tua vitalità ad unico scopo sei inevitabilmente una persona instabile, asfissiante. Non è un caso che della madre presente in questo film non si conosca il nome. Bong Joon-ho in questo prende un’attrice simbolo e le scuce di dosso il suo ruolo classico, deformandolo a suo piacimento per un prodotto grottesco (un po’ come Sergio Leone fece con Conrado San Martín ne “Il Colosso di Rodi” e con Henry Fonda in “C’era una volta il West”).

La narrazione circolare si apre con una danza della madre in un campo di grano, una scena poetica e che assumerà ancora più senso agli occhi dello spettatore una volta terminato il film, seguito poi dalla costruzione di un giallo che gioca molto con chi lo guarda per questo meccanismo di “semina e raccolta” delle informazioni necessarie a comprendere il tutto. Ogni qual volta la madre cerca di catturare il vero cattivo vi sono ostacoli posti intelligentemente dal regista\scrittore dell’opera, creando una sceneggiatura che se non è di ferro poco ci manca (d’altronde se recuperate la filmografia di Bong Joon-ho non troverete un film brutto, confermo il suo essere uno dei grandissimi del panorama internazionale). Le informazioni che ci vengono date come seminate all’interno della narrazione, poi tornano e confermano la loro importanza e la loro finalità. Ad esempio se ci viene detto che la ragazza uccisa perdeva spesso sangue dal naso o Do-joon che reagisce in un determinato modo quando viene chiamato ritardato, può sembrare irrilevante, eppure dopo sarà fondamentale per capire l’importanza nella trama di questo dettaglio (nel momento di raccolta, appunto). Ma il fulcro qual è vi starete chiedendo. Se guardando “Madre” e pensate di star assistendo ad un giallo in tutto e per tutto sbagliate, poiché Bong Joon-ho si serve del genere per poter raccontare il background psicologico della sua madre simbolo in quest’opera, mostrandoci quanto in realtà lei stessa campa di stenti e privazioni, con lavori sottobanco e svolti illegalmente senza licenza, ma necessari dal momento in cui manca un vero aiuto dello Stato anche per i problemi mentali di Do-joon. Proprio la sfiducia nelle istituzioni e il contesto sociale non mancano nemmeno qui, fondamentali nella poetica del regista, seppur qui sceglie volutamente di non darvi troppo peso rispetto ad altre occasioni, ma inserisce comunque un qualcosa di significativo attraverso la polizia inerme, poco affidabile, ed un avvocato super costoso e menefreghista. D’altro canto anche la regia e la scelta delle inquadrature sono al servizio del punto di vista della madre, una donna asfissiata dalla vita e che a sua volta asfissia quella di suo figlio non può che essere confusa e spietata, e di fatti la cinepresa si muove sempre in sua prossimità, è sempre molto stretta sui personaggi mostrati, sui dettagli importanti ai fini della trama (ma non subito rivelatori), il tutto con un dialogo perenne tra campo e fuori campo, scegliendo di non andare troppo sui totali per darci un quadro completo della scena e non facendoci perdere di conseguenza quell’alone di mistero fondamentale per il discorso; e pure i pochi campi lunghi usati quasi sempre con un tempo grigio e piovoso, sono sintomo di un’interiorità malinconica della protagonista.

Alla fine, dopo aver seguito per tutto il film la protagonista scoprendo piano piano oscuri segreti sul suo passato, ecco che ci viene svelata la verità: era semplice, ce l’avevamo sotto il naso e nonostante ciò rimaniamo in stato di shock nell’assistere all’inevitabile (gli ostacoli visti fin ora vengono meravigliosamente giustificati e assumono ancora più valore). Un’onda di dolore assale noi e la madre, il senso di giustizia vacilla e non sappiamo più da che parte schierarci (anche questo costante equilibrio senza condanna e senza lode è sintomo della poetica del regista). La conclusione amara è un cerchio che si chiude: la madre alla fine del film non riesce a sopportare il fardello, è stata costretta a gesti estremi per salvare il figlio e se ne porta gli strascichi, tanto che pratica su sé stessa l’agopuntura in un punto particolare per poter alleggerire il cuore addolorato e dimenticare, dopo di che si mette a ballare come a inizio film e scaccia via i cattivi pensieri… una danza purificatrice! La ripresa in controluce è splendida, la camera si muove vertiginosamente per farci immedesimare nella protagonista e si conferma dunque una regia al suo servizio, come abbiamo detto in precedenza. La narrazione è circolare proprio perché inizia e finisce con questa danza poetica, in cui la madre vestita di blu e viola spicca sul grano dorato e si avvicina sempre di più alla cinepresa, dando il via ad un ballo che è allo stesso tempo lamento e liberazione, ripreso poi con il finale nel pullman; il cerchio si apre e si chiude con il dimenticare, con l’indagare il passato nel mezzo (ricordare) ed una donna che in conclusione viene quindi vinta dalla verità, sceglie il silenzio e rinnega la memoria.
“Madre” è un dramma anzitutto e poi un giallo, crudele e splendente, tocca il rapporto primordiale tra una madre e un figlio sfiorando anche temi come la superficialità della polizia coreana, la povertà, la disabilità e l’adolescenza. Un film divinamente umano!
– Christian D’Avanzo