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“Old”: l’umanità distrutta dal tempo

Michael Night Shyamalan è tornato con un’opera molto particolare e molto controversa, che ha di nuovo trascinato il pubblico nelle sale ed ha spaccato letteralmente in due la critica. Noi invece come abbiamo reputato il suo nuovo thriller intitolato “Old”, tratto dalla graphic novel omonima di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters?

Il film parla di un gruppo di persone che vanno in vacanza in un albergo. Nelle vicinanze c’è una spiaggia isolata che pochi sembrano conoscere. Due famiglie ed una coppia si mettono d’accordo per andarci insieme, ma una volta entrati lì dentro si accorgeranno di un’orrenda scoperta: nella spiaggia le persone invecchiano velocemente, con ore che equivalgono a vari anni di vita. I bambini diventano adolescenti e gli adulti sempre più vecchi, mentre dalla spiaggia sembra non ci sia via di uscita per un fenomeno che nessuno riesce a spiegare. Riusciranno a scappare prima che sia troppo tardi?

Dal punto di vista registico, il film ci da dentro, con dei primi piani nei volti dei personaggi che indicano lo schiacciamento del fenomeno che li sta distruggendo, come se il regista ci volesse fare avvertire il loro soffocamento. Notevoli anche i piani sequenza in cui i bambini giocano, con i movimenti di macchina scattosi che però non perdono un briciolo di eleganza. Il montaggio è a sua volta dinamico e veloce in varie scene, come se volesse inseguire quel tempo che continua ad essere speso in fretta e furia, senza possibilità per i personaggi.

Contemporaneamente però, in altre scene, determinate inquadrature durano in modo lungo, come se il tempo, per quanto veloce nello scorrere delle vene dei personaggi, fosse ripreso attraverso la sensazione dei nostri occhi in cui la paura e l’ansia ci rendono tutto più lungo perché non sappiamo come venirne fuori: a volte 20 minuti ci sembrano un’ora perché speriamo che tutto passi in fretta, mentre a volte un’ora ci sembra 20 minuti ed allora ci disperiamo perché abbiamo speso troppo tempo. Solo visivamente Shyamalan riesce a farci percepire la paura dei personaggi… per non parlare di trucchi cinematografici ingegnosi delle trasformazioni.

C’è un momento per esempio in cui si vede infatti l’inquadratura del sedere di una delle figlie dei protagonisti. Lo spettatore attento noterà perfettamente che quello è il sedere di un’adolescente quando prima la bambina aveva solo 11 anni. Con questi indizi l’autore inquieta lo spettatore per fargli capire sempre di più che sta succedendo qualcosa di strano, senza utilizzare quasi mai effetti visivi o speciali. Un trucco determinato solamente dalle inquadrature e dal montaggio che sottolineano la forza enorme di saper dirigere un film. La fotografia di Mike Gioulakis è molto pulita ma allo stesso tempo ha delle sfumature grigie nascoste, come per indicare il marcio che ben presto arriverà sempre più fuori, mentre le musiche di Trevor Gureckis creano un’atmosfera molto inquietante ma allo stesso tempo mistica e surreale. Gli attori sono tutti bravissimi, specialmente l’ormai sempre più lanciata Vicky Krieps che in più punti ruba la scena.

Se il film sulla messinscena è incantevole, il regista non delude nemmeno nel suo modo di rappresentare i personaggi, perché in quest’opera vengono inserite numerose sfumature dei personaggi legati dal tempo, il quale non rappresenta solamente la paura di invecchiare, paura che comunque viene evidenziata benissimo in una concezione molto inquietante che ad un certo punto diventa pure horror, legata alla pochezza delle persone che sono più superficiali e si legano solamente al loro aspetto puramente estetico (e questa pochezza di pensiero viene rappresentata in tutta la sua mostruosità).

Nell’opera vediamo che il tempo è il motore principale per cui i personaggi agiscono: la fretta di andare avanti impedisce il concentrarsi sugli eventi che accadono, impedisce la cura dell’uomo che ha bisogno di trovare la pace con sé stesso e con gli altri mentre tutto di fronte a lui va via. Non è un caso che gli adolescenti prima bambini vengano rappresentati nella loro forma più tragica, perché per quanto i vecchi sono quelli che, per forza di cose, muoiono prima, la paura di creare qualcosa di irreparabile nella propria vita si fonde con il terrore di dover già affrontare una grossa responsabilità nel pieno della giovinezza, il maturare troppo in fretta involontariamente, perché gli eventi attorno a te ti costringono a farlo.

Ma se il tempo viene mostrato come il nemico di tutto, allo stesso tempo viene evidenziato anche come specchio delle proprie riflessioni, perché una volta che il tempo è passato, quest’ultimo può pure evidenziarti che certe cose successe che al momento ci possono sembrare puramente difficili, una volta passate appaiono futili perché c’è qualcosa che proviamo per gli altri dentro di noi che è molto più importante e di cui forse ce ne rendiamo conto solamente una volta che troppo tempo è passato, magari arrivando quando è troppo tardi.

E tutto ciò è affrontato attraverso la costruzione della tensione che rende lo spettatore sempre più ansioso perché ha paura che si arriverà al totale deterioramento dell’essere umano, perché non c’è pietà per nessuno dato che il tempo non lascia scampo, appare indifferente nei confronti dell’essere umano che prova gioie e dolori. Tutto questo unito ad una metacinematografia molto divertente ed intelligente, in cui il regista vede i suoi protagonisti come dei veri burattini che controlla pur di iniziare una storia che possa appassionare il pubblico. Ed una volta che verrà rivelato il perché tutto sta succedendo, il livello del film già alto si eleverà ancora di più, arrivando ad una forte critica in quello che l’essere umano è capace di fare, in modo coerente con la poetica di Shyamalan. “Old” non è solo il thriller perfetto per l’estate, ma un altro traguardo nella filmografia di un autore che ha ancora tanto da dire e che ti terrà incollato alla poltrona per molto tempo… un tempo che lo spettatore vorrà che passi subito per la tensione, mentre i personaggi desidereranno di averne di più.

Andrea Barone