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“Qui Rido Io”: il teatro che comprende tutto e che non comprende niente

“Qui Rido Io”, presentato in concorso all’ultimo Festival di Venezia, narra della storia di Eduardo Scarpetta e vede la quarta visione del regista Mario Martone riguardo vicende realmente accadute, nonché secondo trattamento di materiale legato alla famiglia di Eduardo De Filippo (precedentemente infatti abbiamo avuto l’ottimo “Il Sindaco Del Rione Sanità). L’opera, ambientata ad inizio 900, narra del difficile rapporto del celebre autore teatrale con la sua famiglia per via della sua amante ed altre precedenti scappatelle, tutto questo mentre sta affrontando una causa legale per accuse di plagio contro di lui riguardo verso l’opera “La Figlia di Iorio” di Gabriele D’Annunzio, parodiata dichiaratamente dallo stesso Scarpetta.

Dal punto di vista visivo, l’opera lascia a bocca aperta, con tocchi di luce molto colorati ed accompagnati da un leggero contorno azzurro o blu (varia a seconda dei momenti) che non solo risaltano l’aura partenopea ed eccentrica del meridione senza mai sciuparla nel eccessivo parodizzare, ma la cornice racchiusa dalle inquadrature scelte da Martone creano un effetto dominante di un’eleganza artistica che evidenzia allo spettatore continue figure che sembrano essere uscite da dipinti che raccontano la storia della cultura italiana ottocentesca, mentre però la ricalca delle loro espressioni mostrano davanti alla macchina da presa ogni sentimento di amore, invidia, imbarazzo e creatività anche nelle sequenze apparentemente più banali.

Era scontato che Toni Servillo, nel ruolo del protagonista (per questa parte vincitore del premio Pasinetti al migliore attore al Festival Di Venezia), avrebbe realizzato un’altra performance indimenticabile, ma è impossibile non parlare dell’incredibile modo in cui è riuscito non solo a diventare Scarpetta, ma a realizzare una vera e propria maschera teatrale di cui sorriso più smagliante riesce ad evidenziare una continua ricerca della felicità, un desiderio di risate mostrate anche solo con gli occhi che però, in altre sequenze, evidenziano anche una grande malinconia rappresentata dalla solitudine del protagonista. Tutto il resto del cast è incredibile (e va menzionata la scoperta Salvatore Battista nel ruolo del piccolo Peppino De Filippo, capace di esprimere uno straziante volto infantile misto tra rabbia e dolore) e strania parecchio (in senso positivo) il fatto che quasi non si distinguano le manifestazioni teatrali dai dialoghi in cui il palcoscenico non c’è: il teatro prende spunto dalla vita o la vita prende spunto dal teatro? Di certo la ricerca dell’essere considerati, dell’essere visti dal mondo, è qualcosa proprio della natura umana e questo il film lo mostra spesso.

Questa opera cinematografica è un incredibile espressione di egocentrismo: più volte vediamo Eduardo Scarpetta che si vanta delle proprie opere, che è estremamente felice di essere toccato dal pubblico e che detesta essere considerato un artista di secondo livello. La sua continua ricerca dello stupore insegue una luce che vuole portare allegria ad ogni persona, il nome Scarpetta deve essere fonte di tutto ciò che può portare aiuto al prossimo nel sorriso. Il personaggio del celebre autore è sempre sotto i riflettori, ma dietro di ciò si nota la paura di rimanere solo, dimenticato dal pubblico e scartato dalla famiglia. Il film infatti verte su equilibrio molto sottile, in cui l’estro più grande del proprio genio può avvicinare le persone ma allo stesso tempo anche allontanarle, come si evince dal rapporto con il figlio di Eduardo diverso da quello di Peppino, molto più tragico, perché gestire rapporti con i propri figli ed allo stesso tempo mantenere una certa immagine nascondendo cose viste dalle persone come risibili (le scappatelle di Eduardo) crea un filo invisibile che però, spezzandosi, aumenta la tensione. In tutto ciò, Eduardo ha anche paura di essere visto solo come una fonte di sostenimento economico, e queste incertezze unite alla paura della morte del mito artistico, lo possono portare in un sospiro triste attraverso un anima distrutta, rappresentata anche con un’inquadratura che richiama al capolavoro pittorico “Viandante Sul Mare Di Nebbia”.

Colpisce inoltre l’incredibile spaccatura sociale delle arti: l’associazione degli autori non vede in Eduardo Scarpetta la forma di un grande artista e lo accusano di essere un autore superficiale che non evidenzia al pubblico la povertà ed il male che c’è nel mondo attraverso le sue opere, ma nelle loro parole e nelle loro azioni si nota enormemente che la loro lotta è più una ricerca di supremazia e dimostrazione che la rappresentazioni dell’arte d’elite è l’unica arte di vera qualità, trasformando tutto in una gara e non nel piacere di diffondere qualcosa che fa stare bene al corpo e all’anima dello spettatore, a differenza invece di quello che vuole fare Scarpetta che, pur avendo un forte ego, desidera davvero donare qualcosa al mondo e non cerca guerra, perché la sua continua ricerca della felicità attraverso la comicità si sposa con il suo pubblico che vuole appunto uscire dalla sala teatrale con il sorriso, perché vuole qualcosa che lo renda felice che renda meno pesante la vita di tutti i giorni. Non a caso l’opera che mette Scarpetta in discussione, la parodia di “La Figlia di Iorio”, nasce proprio dal genio di Eduardo Scarpetta nell’immaginare momenti comici nelle parti più drammatiche, aiutando quindi il pubblico a sopportare la tristezza della vita.

E tutto ciò si sposa con i membri della famiglia dell’autore, i quali per tutto il tempo non fanno altro che ricercare amore, tra chi vuole stare lontano dalla vita nobile e divertirsi con poco (Peppino), tra chi vuole solo attenzione nel riconoscimento della propria individualità (Vincenzo), tra chi ha felicità nel creare arte (Eduardo), tra chi ricerca qualcuno che lo accolga tra le sue braccia (Luisa), tutti desideri diversi ma una cosa è certa: la ricerca di attenzione è propria dell’essere umano. E se il comico è accusato di non vedere la realtà della vita, più si va avanti e più si nota che il sarcasmo e la satira sono capaci di mettere a luce la prepotenza dell’ego e della propria immagine, contro l’esaltazione della felicità che invece cerca Scarpetta anche se a volte non riesce a distinguere le due cose nella sua fragile umanità nascosta dietro la maschera. E se tutto ciò che si cerca nel mondo appare assurdo, una grassa risata è quello che ci vuole per sdrammatizzare ed allo stesso tempo mettere a nudo tutto, ma è certo che non ci si dimentica mai di vivere il proprio momento nel più grande dei calori umani. Che sia nella servitù, nella povertà, nell’elité e nel popolare, la vita è sempre un grande palcoscenico, e come evidenzia Martone: non esistono artisti di serie A ed artisti di serie B, esistono solamente gli artisti. Alcuni ce la fanno ed altri non ce la fanno, ma sono tutti artisti, come ci sono le brave e le cattive persone… ma ognuna di queste persone e sempre un essere umano, un essere umano che quando nasce deve essere preparato a comprendere questa complessa arte che è il mondo, che rischia di condurre all’infelicità, ma è un rischio che tutti noi dobbiamo correre.

Voto: 10/10

– Andrea Barone

Andrea Boggione:
Christian D’Avanzo: 9
Carlo Iarossi:
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