Articolo pubblicato il 6 Gennaio 2022 da wp_13928789
Il regista italiano Michelangelo Frammartino firma il suo terzo lungometraggio intitolato “Il Buco”, a ben undici anni di distanza dal precedente “Le quattro volte”. La sua opera ultima ha evidentemente colpito la commissione di Venezia 78 tanto da aggiudicarsi il Premio speciale della giuria. Tra l’altro, aneddoto simpatico da raccontarvi, ero in Sala Grande con il cast a visionare il film quando il regista ed i membri del cast sono entrati vestiti da speleologi dopo aver sfilato nello stesso modo sul red carpet (finito il film ci sono stati 10 minuti di applausi). Insomma, il buon Frammartino si è distinto da subito ed ha anche fatto poi un simpatico discorso alla consegna del premio.

Il regista ha voluto omaggiare una grande impresa italiana accaduta 60 anni fa, ossia gli scavi condotti da un gruppo di giovani esattamente nel 1961 lungo la costa calabrese (esattamente nell’altopiano del Pollino). Ci racconta una storia mescolando la narrazione fictional a quella documentaristica compiendo egli stesso una piccola ma pur sempre immensa impresa, servendosi di 12 attori che in realtà nella vita di tutti i giorni sono speleologi: Leonardo Zaccaro, Jacopo Elia, Luca Vinai, Denise Trombin, Mila Costi, Claudia Candusso, Giovanbattista Sauro, Federico Gregoretti, Carlos Josè Crespo, Enrico Troisi, Angelo Spadaro, Paolo Cossi. La grotta di Bifurto arriva a circa 680 metri di profondità (una delle più profonde al mondo) e Frammartino con l’aiuto del cast di attori\speleologi riesce a regalarci un’opera maestosa, riflessiva quanto immersiva nel senso più pratico della parola. Con un montaggio alternato mette in evidenza questo mix narrativo esponendoci alla vita quotidiana di un pastore, riprendendo scorci di mucche portate al pascolo ed affreschi in campi lunghi\lunghissimi di praterie e catene montuose. L’alternanza parte quando gli speleologi iniziano la discesa negl’inferi. Gli unici momenti dialogati del film sono nell’apertura che presenta un filmato d’archivio in cui viene descritto quello che all’epoca era il più alto palazzo del Nord Italia. Una volta iniziata la spedizione, possiamo a stento ascoltare quello che si dicono i 12 speleologhi attorno ad un fuoco.

Michelangelo Frammartino ha dato vita ad un’opera non accessibile a tutti e lo dimostra la scarsa distribuzione in appena 23 sale in tutta Italia a partire da giovedì 23 settembre, sicuramente il pubblico generalista (magari non solo) riterrà noiosi i 90 minuti dal ritmo lento e riflessivo ma che sono ineccepibili per regalarci un’esperienza cinematografica pura dal punto di vista audiovisivo. Così come Roy Andersson con i suoi film realizza dei veri e propri tableaux vivants, ecco che Frammartino sposa in pieno questa definizione e pone una continuità visiva, passando dal verde dell’erba, dall’azzurro del cielo, da momenti di leggerezza in cui ci si passa il pallone da calcio sorpassando proprio il buco per poi arrivare all’oscurità che abbraccia l’interno di quest’ultimo. Le riprese tra l’altro sono magnifiche quanto difficili da realizzare, la fotografia è un semi-miracolo poiché ci lascia guardare (forse anche meglio degli speleologi in quel momento) tutta la profondità della grotta e i suoi elementi, dotandosi di luci artificiali e delle cineprese di evidente qualità. Colui che ha curato la fotografia è Renato Berta, autore della fotografia ticinese che ha illuminato la Storia del cinema a partire dalla Nouvelle Vague, per questa speciale occasione ha costruito le luci dei caschi e ha seguito dalla superficie in una sala buia davanti a uno schermo ascoltando in cuffia il tutto. Inoltre, come ha spiegato il regista, a compensare l’assenza di luce (laddove proprio era fioca o del tutto mancante) è stata l’eccellenza sonora scelta per il film, ottenuta con l’utilizzo del Dolby Atmos 5.1 con quasi 50 sorgenti sonore per lavorare sull’effetto di spaesamento. Anche l’audio ha una sua continuità così come l’apparato visivo: si alternano esterni pacati con i rumori dei pascoli (le campanelle delle mucche ad esempio) e della natura (il cinguettio degli uccelli), dei calci al pallone di cui si parlava prima, ad interni quasi silenziosi in cui però c’è la voce della profondità, le gocce che cadono dalle stalattiti.

In conclusione, mi sento di consigliarvi di fiondarvi in sala (se siete tra i pochi fortunati) e di attendere impazienti lo spegnimento delle luci e l’accensione del grande schermo, di vivervi questa esperienza immersiva e allo stesso tempo claustrofobica, di chiudere anche gli occhi in certi momenti per assaporare con le vostre orecchie i magnifici suoni proposti. Perdetevi tra i calci ad un pallone, l’erba brulicata dagli animali, le catene montuose, il cielo e le nuvole, la quotidianità del pastore, la claustrofobia del buco in tutta la sua spettacolarità. Michelangelo Frammartino contrappone l’altezza del possente palazzo del Nord Italia alla profondità della grotta di Bifurto nel Sud Italia (nella sua Calabria), e poco importa se ci sono momenti ridondanti in questo suo racconto\omaggio, perché tutto quello che vediamo non può far altro che ricordarci quanto sia bello ciò che abbiamo e la sua natura. Cinema allo stato puro, anche grezzo in un certo senso, per un’esperienza audiovisiva grandiosa.
Ogni voto sarebbe superfluo!
– Christian D’Avanzo