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“La scuola cattolica”: l’opera di Mordini funziona a tratti

“La scuola cattolica” è un film di Stefano Mordini (“Il Testimone Invisibile”, “Lasciami andare”) in uscita nelle sale cinematografiche italiane giovedì 7 ottobre, ma presentato il mese precedente alla Mostra del Cinema di Venezia come Fuori Concorso. L’opera filmica si basa sul rinomato romanzo di Edoardo Albinati. Il cast mette a confronto più generazioni d’attori e troviamo veterani come Valentina Cervi, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, ed emergenti come Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno, Federica Torchetto.

Il film si basa proprio sul confronto tra generazioni e come la vecchia possa influenzare la nuova, a loro volta figli delle istituzioni quali la Chiesa, in questo caso specifico. Attraverso una narrazione a ragnatela che parte dall’evento tragico accaduto nel Circeo datato 1975, dove Donatella Colasanti e Rosaria Lopez (rispettivamente Benedetta Porcaroli e Federica Torchetti) sono state stuprate e massacrate nella notte tra il 29 ed il 30 settembre da Angelo Izzo (Luca Vergoni), Andrea Ghira (Giulio Pranno) e Gianni Guido (Francesco Cavallo). Si parte dal battito delle mani sul cofano di un’auto per poi viaggiare tra differenti eventi nel tempo in cui allo spettatore vengono mostrati scorci di vita all’interno della famiglia (con relativi segreti) e dell’istituzione (la scuola\chiesa). La religione non ne esce bene da questo racconto poiché nella scuola cattolica dove tutto si muove e tutto torna, la repressione dell’essere la fa da padrona e crea l’esplosione del male. Non a caso durante gli scorci di vita rappresentati nel lungometraggio vediamo diversi ragazzi in difficoltà con sé stessi e nelle relazioni con gli altri, spesso sconfinando nella violenza, altra protagonista indiscussa. Il discorso portato avanti da Mordini è chiaro nelle intenzioni ma non troppo nella messa in scena, questo proprio a causa della scelta narrativa di andare avanti e indietro nel tempo senza dare sempre continuità alle storie, legate tra loro per dei temi troppo spesso solo accennati e bisognosi di una qualsivoglia chiusura. Siamo nel ’75, nel Lazio, e a parte l’intonare una canzone di Battisti e una citazione a “The Rocky Horror Picture Show” uscito quello stesso anno e che parla proprio di libertà sessuale, c’è davvero poco dello sfondo sociale e politico legato a quegli anni, ed è una lacuna non di poco conto quando si porta avanti un film impegnato. Nobile il tentativo di mostrare la sessualità adolescenziale sia dal punto di vista etero che omosessuale, sfruttando la figura dei genitori come i maggiori “colpevoli” del prodotto che saranno i figli. Vediamo un padre dall’omosessualità latente che però poi esplode in una storia con un altro uomo, lasciando la famiglia e andando via di casa; una madre dalle tendenze ninfomani si sente assoggettata al figlio problematico che a sua volta si sentirà come abbandonato; il padre interpretato da Scamarcio crede di dribblare tutti gli ostacoli con il potere dei soldi, quando così non è. Dunque tornando al discorso originario, ecco che tra famiglia e istituzioni si crea un’influenza tale sulla nuova generazione che è troppo attenta al nascondere, a cosa fare e cosa non fare, con chi e perché, arrivando al nocciolo della questione che è l’esplosione irrazionale della violenza. I tre ragazzi protagonista dell’ignobile delitto del Circeo sono il prodotto di quanto detto fin ora, e la ricostruzione cinematografica di ciò che accadde in quei giorni è anche abbastanza cruda ma non impeccabile: Mordini sceglie di mostrarci per filo e per segno tutti i passaggi che porteranno poi alla morte di una delle due ragazze e alla quasi morte dell’altra, conclude il film infastidendo lo spettatore per quanto appena visto, però senza lasciare troppo il segno per una parte iniziale e centrale altalenanti.

Tre dei ragazzi del collegio maschile nel film

L’innocenza viene perduta sempre di più con il passare dei flashback, la differenza di classi tra le ragazze proletarie e i ragazzi altoborghesi è per lo più teorica dato che per tutto il resto del film i protagonisti della storia sono i compagni di classe di Albinati (quindi altoborghesi) e lo stacco non è evidente. Quello che manca al film è uno sguardo autoriale che possa conferirgli una forte identità, che non si perda nel cercare forzatamente la concatenazione di eventi per arrivare al “gran finale” lasciando un attimo interdetti sulle tante tematiche sorte fuori. Il dubbio permane e ci si chiede quale fosse la strada giusta da intraprendere: una ragnatela di eventi uniti tematicamente ma che scadono nel didascalico oppure una continuità di fatti posti come una parabola pre-tragedia? Purtroppo ne esce una via di mezzo convincente solo a singhiozzi. Il tentativo di rappresentare l’ideologia instaurata in malo modo nella nuova generazione, tra bei faccini che nascondono aggressività e genitori poco raccomandabili, risulta modesto, a tratti buono e in altri punti trattenuto. Questo ritratto di mala educaciòn si lascia guardare ma a sua volta non lascia il segno come avrebbe dovuto (il fastidio finale non deve trarre in inganno lo spettatore sul resto del film). Insomma, “La scuola cattolica” è un film con alcuni elementi interessanti e altri poco riusciti. Avrebbe potuto fare di più, ma non è comunque da bocciare.

Benedetta Porcaroli e Federica Torchetti interpretano rispettivamente le vittime Donatella Colasanti e Rosaria Lopez

Voto: 6,5\10

– Christian D’Avanzo

Andrea Barone: 7
Andrea Boggione:
Carlo Iarossi:
Paolo Innocenti: 7,5
Giovanni Urgnani:
0,0
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