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“The Last Duel”: LA verità è femmina

“The Last Duel” è l’ultima fatica di Sir Ridley Scott, presentato a Venezia 78 in anteprima mondiale ed uscito in sala da noi giovedì 14 ottobre. Il maestro torna a distanza di 4 anni da “Tutti i soldi del mondo”, e in questo 2021 si concede due film dal grande cast: “The Last Duel” ed il prossimo “House of Gucci”. Il regista per il primo si rifà al suo esordio “I Duellanti” (1977), basato su un racconto di Joseph Conrad e interpretato da Keith Carradine ed Harvey Keitel, l’opera, che venne insignita del premio per la miglior opera prima al Festival di Cannes di quell’anno, racconta la storia paradossale e drammatica di un duello che interrotto per ragioni diverse va avanti a intervalli per quindici anni. I duellanti sono due ufficiali francesi dell’epoca napoleonica, ossessionati da una rivalità talmente assurda che molto presto inizierà a perdere d’importanza rispetto al loro comportamento invasato.

Con questo affresco medievale quale è “The Last Duel”, messo in scena in maniera sontuosa da Scott, sceneggiato da Matt Damon, Ben Affleck e Nicole Holofcener, si è voluto mettere in evidenza come la figura della donna è sempre stata vittima del potere tutto al maschile, ma lascia riecheggiare nell’aria Marguerite de Carrouges (Jodie Comer) in tutta la sua essenza di eroina del 1300. Se però la confezione è di pregevole fattura, è proprio la modalità nel veicolare quest’importante messaggio a non convincere pienamente. La scelta di aprire il film con l’ultimo duello, narrare poi le tre verità dei personaggi principali quali Jean de Carrouges (Matt Damon), Jacques Le Gris (Adam Driver) e Marguerite de Carrouges, e concludere riprendendo il duello dell’inizio, rende il tutto abbastanza didascalico e poco aperto all’interpretazione soprattutto perché viene inserita la scritta “La verità” appena inizia il punto di vista della protagonista, spazzando via tutto quello che è stato precedentemente mostrato per buoni 90 minuti circa. Anche il didascalismo iniziale con l’alternarsi continuo di dati e luoghi avanti negli anni potrebbe risultare leggermente pesante per lo spettatore. L’utilizzo dell’effetto Rashomon e quindi una narrazione ad episodi potrebbe non essere un carta vincente alla lunga, sia per la ragione descritta prima sia perché, sempre collegandomi alla stessa causa, potrebbe venir fuori con il passare delle visioni che ci si perde nel ritmo non particolarmente dinamico delle 2h33 dell’opera per poi arrivare alla sequenza topica quale è la verità di Marguerite ed il duello finale, un po’ troppo svogliati per le reiterate scene di cui solo una prospettiva è quella giusta.

Matt Damon as Jean de Carrouges in 20th Century Studios’ THE LAST DUEL. Photo by Jessica Forde. © 2021 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Tuttavia, se queste possono essere le perplessità tentiamo in questa sede di offrire una chiave di lettura diversa dal perdersi nei didascalismi. Se pensiamo all’impostazione registica di Scott dove gli attori sono stati guidati per interpretazioni di assoluto livello, anche il Re Carlo VI e il conte Pierre d’Alençon (Ben Affleck) nel loro essere macchiettistici sono comunque sul pezzo, facciamo notare che le scelte delle inquadrature giocano molto con la visione soggettiva degli eventi di ognuno dei tre personaggi principali, mettendosi al servizio della narrazione su cui prima abbiamo espresso perplessità. Eppure questa specie di mise en abyme registica alza la posta in palio, sono presenti molti primi piani psicologici sia per gli uomini che per la donna aumentandone l’intimità e strutturando gli altri personaggi secondari solo come un contorno, bidimensionali ma funzionali ai fini della storia che ruota attorno ai tre principali (l’unica che ha una sfaccettatura in più sul suo essere acida, è la mamma di Jean de Carrouges, vittima di stupro sceglie la via del silenzio per sopravvivere… ma non vivere). Gli ammiccamenti, i sorrisi, la scena della violenza sessuale, i momenti successivi a quel momento, ci vengono mostrati da più punti di vista nel tentativo di fare che? A questo punto viene da dire che è proprio per dimostrare come le prospettive degli uomini diventano importanti per l’affermazione della loro arroganza, in cui sono perduti e fino alla fine sono convinti di avere le proprie ragioni a rigor del vero. Le loro convinzioni non vengono disfatte nemmeno quando vanno vicini alla dipartita, proprio perché il loro tatto rozzo, selvaggio in alcuni casi (Jean de Carrouges) e più forbito seppur senza finalità (Jacques Le Gris), perdurerà per il resto della loro vita essendogli intrinseco. I due episodi vissuti dal loro punto di vista, mette in risalto la guerra, le cattive maniere, la presunzione di chi fa tanto e si aspetta di più, chi salva la vita a chi e meriterebbe quindi più rispetto dell’altro (si signori, diventa in parole povere una gara a chi ce l’ha più lungo dove l’orgoglio offusca la razionalità). Se quando guardiamo gli eventi dal punto di vista di Jean sembra trasparire come la vittima e l’eroe, tutto cambia quando passiamo alla prospettiva di Jacques, i due da amici diventano nemici e questa costruzione\decostruzione è sicuramente degna di nota, soprattutto perché li associa per sete di potere ma li dissocia per ruolo sociale, mentre il primo diventa cavaliere il secondo resta uno scudiero, però Jean vedrà messa a rischio la propria dignità a causa della sua già decantata arroganza e per mancanza dei giusti agganci (sposa la figlia di un traditore), al contrario Jacques è amico e tirapiedi del conte Pierre d’Alençon ad un certo punto non ha più nemmeno bisogno di andare in guerra a differenza dell’amico\nemico, tanto sarà a stretto contatto con il conte, cugino del Re. L’elemento accomunante è che entrambi dal loro punti di vista credono fortemente nella loro verità, ogni gesto di Marguerite viene frainteso e ogni gesto fatto verso di lei non viene visto come forzato ma anzi, al contrario, quasi credono di essere stati più dolci di quanto in verità sono (ad esempio un abbraccio che però poi verrà smentito da una mano che stringe la gola durante l’avvicinamento). Ma andando oltre, questi episodi hanno una funzionalità su come possa il pensiero della società influenzare quello dei singoli, anche con l’aiuto delle istituzioni storiche quali la scienza, che entrerà in gioco soprattutto nel terzo e ultimo atto, e la chiesa anche qui viene ritratta in maniera abbastanza negativa, troppo mescolata ad interessi politici piuttosto che di fede. Il rapporto vassallo-feudatario ci viene mostrato da due punti di vista contrapposti, il primo che subisce ingiustizie e torti, il secondo che per savoir-faire e fisicità riesce ad accaparrarsi tante simpatie (non solo femminili) tanto da vivere nella lussuria senza dare quasi nulla in cambio.

Adam Driver as Jacques Le Gris in 20th Century Studios’ THE LAST DUEL. Photo by Jessica Forde. © 2021 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Arriviamo al terzo ed ultimo atto: Marguerite è protagonista e vittima di quanto detto fino a questo momento. Questo episodio finale è quello con meno minutaggio ed è una scelta, anche questa, che potrebbe non essere totalmente convincente. Ciò nonostante i primi piani sulla donna durante i momenti salienti visti in precedenza giovano alla costruzione della verità, mettendo in evidenza come dal basso lei era inerme e sofferente, mentre dall’alto lui, Jacques, aveva inteso tutt’altro nella sua visione dei fatti (gemiti di piacere e tentazione appagata con qualche riserva iniziale) con l’aggiunta profetica dello stupro dei cavalli e i dialoghi con la suocera, parlando sempre di stupro ma con diverse intenzionalità da parte delle due donne di diverse generazioni, e quelli con l’amica più cara che riescono a rendere l’idea di quanto il pensiero comune e la comunità in sé siano particolarmente influenti per la vita di tutti gli individui, tanto da lasciare Marguerite sola nel vivere il SUO trauma e combattere la LORO (di tutte le donne) battaglia. Di fatto la sua migliore amica, anche sotto suggerimento del marito come viene fatto intendere dalla scelta di alternare inquadrature sul volto di lei e di lui, non crede davvero che Marguerite sia stata violentata ma che anzi, avesse ceduto alla tentazione (aveva semplicemente ritenuto Jacques un uomo attraente, come tutte le sue altre amiche del resto). Qui la scienza dice che non si può rimanere incinta dopo uno stupro, eppure la nostra protagonista lo è (infatti si può restare incinta, la questione del piacere che qui ha una certa centralità, non era altro che arretratezza dell’epoca). L’ambiguità sul padre del figlio in realtà non è così tanto ambigua, perché mentre lei è stata costretta ad avere un rapporto sessuale dal marito una volta rientrato, per una mera questione di chi l’ha posseduta per ultima, ma essendo comunque passato del tempo (non è chiaro quanto) dovrebbe essere di Jacques e non di Jean, con cui proprio non riesce ad avere prole. Ma in realtà lei è vittima due volte, perché si vede maritata con un uomo analfabeta e poco stimolante in tutto, al punto da, come suggerisce ancora Scott con questi primi piani negli attimi giusti, sentirsi violentata anche dal marito non provando mai il gusto nel rapporto ed il piacere sessuale (altra cosa su cui gioca il tribunale durante il processo). Il tutto viene confezionato mescolando passato e presente, la contemporaneità viene inserita soprattutto con il linguaggio: i personaggi fanno esclamazioni e dialogano come se stessero vivendo ai giorni nostri.

Ma come non citare tutte le altre parti tecniche che vestono “The Last Duel”: scenografie imperiose tra castelli e terreni, accompagnate da una colonna sonora prodotta ad hoc per un film storico di questa entità, davvero ben eseguita e contestualizzata in scene suggestive, i costumi, il trucco e le acconciature riproducono in maniera fedele la Francia medievale (la coppia composta dalla Comer e da Matt Damon ne sono l’esempio), in particolare la Normandia è presente nella scelta accurata della fotografia, fredda come la terra che rappresenta, grigia in esterni riproducendo al meglio la luce naturale presente, e alterna ancora il freddo ma con il caldo del fuoco negli interni, tra candele e camino è notevole come è stata rappresentata la fiamma che arde (anche simbolicamente come chiave di lettura del film) e riscalda, con l’aggiunta di un sonoro all’altezza ricco di scoppiettii tipici del fuoco che brucia. Scott sfrutta al meglio tutte queste componenti regalandoci primi piani, dettagli, campi lunghi e lunghissimi, dei notevoli controluce, girando scene di guerra spettacolari esteticamente anche per come segue i suoi due protagonisti quando offrono la loro diversa prospettiva sul campo di battaglia; Jean urla e incita la sua armata a compiere gesti azzardati pur di vincere e morire per il Re, per giunta è lui a salvare Jacques nelle scene viste con il suo occhio, al contrario Le Gris è quello più razionale e dal suo punto di vista è lui a salvare l’amico Jean (ottimo per il discorso di prima su chi gonfia di più il proprio ego, anche con parole che avrebbero voluto dire ma che non hanno realmente detto quando poi subentra la visione dei fatti di Marguerite). Plauso al duello finale, diretto, montato e fotografato al meglio per la costruzione della tensione nonostante fossimo già a conoscenza della verità e non dotati di una qualsivoglia ambiguità.

Jodie Comer as Marguerite de Carrouges 20th Century Studios’ THE LAST DUEL. Photo by Jessica Forde. © 2021 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Infine, tirando le somme, sicuramente l’artificiosità dell’effetto Rashomon potrebbe essere a tratti fuorviante, a tratti ridondante, però proviamo a dargli una lettura diversa proponendo quanto detto fino adesso. Sarebbe stato estremamente interessante vederlo montato con una narrazione lineare, dove ci sono solo degli eventi e al massimo qualche punto in contrapposizione dotato di una certa ambiguità tra i due amici\nemici del film, e con una predominanza al femminile. In alternativa invece non mettere la didascalia “La Verità” quando inizia la visione di Marguerite, sarebbe stato un azzardo ad oggi poiché si lascia ambiguità sullo stupro, a differenza del capolavoro di Kurosawa “Rashomon” che invece offre prospettive diverse su un tema meno delicato quale l’omicidio. Azzardato invece non sarebbe affermare che “The Last Duel” sarebbe venuto fuori come un grande film se fosse stato montato linearmente, forse la soluzione più giusta tra le tre proposte (anche noi proponiamo tre verità come Scott), in quanto tutti gli elementi riportati in questa sede si sarebbero potuti trovare ugualmente sono in maniera lineare, fino al momento topico e al gran finale poi, facendo rimbombare fortemente (ancora di più) il bellissimo ed importante messaggio della donna che alza la voce e denuncia sin dal medioevo. Ciò nonostante, resta un film dannatamente affascinante!

Voto: 7,5\10

– Christian D’Avanzo

Andrea Boggione: 9
Andrea Barone: 9,5
Carlo Iarossi: 8
Paolo Innocenti: 9
Giovanni Urgnani: 6
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