“I’m your Man”: il freddo rapporto uomo (donna) – macchina

Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789

“I’m your Man” è una commedia fantascientifica dalle sfumature drammatiche, scritto e diretto da Maria Schrader, uscito in sala da noi il 14 ottobre 2021 ma presentato in precedenza al festival di Berlino lo scorso marzo. Il film è stato premiato con l’orso d’argento alla miglior performance femminile, andato alla protagonista Maren Eggert (qui Alma).

Alma è una scienziata che si occupa di riscoprire le lingue del passato e codificarne i simboli, single e con una relazione buttata alle spalle, viene scelta dall’università in cui lavora per passare tre settimane con un robot\partner e fornire un feedback affidabile, in cambio di finanziamenti per il suo progetto. Il robot in questione si chiama Tom (Dan Stevens), e ricrea perfettamente le emozioni umane soprattutto legate al sentimento dell’amore, poiché questi androidi devono ricoprire il ruolo del partner perfetto basandosi su degli algoritmi connessi alla persona richiedente (bisognosa di un partner per l’appunto).

Maria Schrader confeziona un film riflessivo, come tanti nel genere, ma le modalità sono diverse e principalmente il quesito che ci pone nel film è molto ambiguo, tutto da scoprire. Di fatto il rapporto uomo-macchina nel corso della storia del cinema lo abbiamo già visto sviscerato in salse differenti, anche dal punto di vista della relazione amorosa (vedasi https://quartaparetenet.wordpress.com/2021/03/28/i-dimenticati-zoe-di-drake-doremus/) e quindi il rischio di inciampare in un processo ripetitivo era alto. Tuttavia in questo caso la regista e sceneggiatrice tedesca, riesce ad elaborare un soggetto interessante con uno stile ben preciso. A differenza delle altre opere, qui è una donna (Alma) ad essere la cavia della scienza (fantascienza) e ad essere psicanalizzata da un possibile partner androide (Tom); è lei ad essere però il più robotica possibile, a mantenere una certa freddezza razionale nei confronti di Tom che inerme prova ad arrivare dritto al suo cuore. Eppure Alma si ripete più e più volte che l’uomo che ha di fronte non è altro che il frutto di sé stessa, o meglio, di un algoritmo basato sui suoi modi di fare ed i suoi interessi, in modo tale da fornire un partner perfetto. Che le piaccia è dunque inevitabile, però tenta in tutte le maniere di restare una cinica scienziata piuttosto che un’umana affascinata da un nuovo giocattolo. I meccanismi protratti nel film hanno sfumature drammatiche: lei ha abortito e questo ha causato l’allontanamento dal suo vecchio compagno, suo padre è gravemente malato e vive da solo, costringendo lei e la sorella a continue visite (non sempre piacevoli); allo stesso tempo però abbiamo sfumature da commedia sofisticata: robot che si inceppano, allusioni e battute sessuali ben piazzate con sequenze anche spensierate, momenti di tenerezza tra i ricordi e le speranze di entrambi. L’introspezione non può proprio mancare, ci sono due personaggi protagonisti e la Schrader non fa altro che dargli spazio, dialoghi e primi piani accattivanti nel campo\controcampo dell’amore, garantendoci empatia e una navigazione che va, come si diceva prima, dal dramma alla commedia senza troppi problemi.

Alma (Maren Eggert) e Tom (Dan Stevens) in una scena del film

Se la sceneggiatura è il pezzo forte, la confezione tecnica è sicuramente interessante e degna di nota, perché la regista concentrandosi appunto su due protagonisti, li segue con la macchina da presa mettendo a fuoco molto spesso loro in evidenza, le scenografie e il contesto vengono messi in secondo piano proprio perché più passa il tempo più nascono sensazioni e sentimenti, quindi si predilige una narrazione classica degli eventi (simile ai vecchi film del cinema classico) con dei personaggi goal-oriented (ossia l’azione si concentra tutta su di loro) e con pochi artifici. Parlando però di artifici, l’elemento prelibato dell’eleganza della Schrader è la ricorrenza cromatica di tre colori in particolare: il blu, il marrone ed il bianco che spesso cade nel grigio. Frequentemente vengono collegati agli occhi di Tom, ai vestiti di Alma, e al loro mondo interiore come a volerlo rappresentare all’occhio dello spettatore. Non a caso il film è ambientato nella Berlino del futuro, ma le scenografie per esigenze narrative non vengono spettacolarizzate e più di possenti strutture semi-futuristiche (tutte di bianco), non vedremo macchine volanti o altro riconducibile ad un tempo lontanamente avanti.

L’intento è chiaro, il perno del film è il messaggio con cui termina: attraverso algoritmi, possiamo crearci una vita perfetta senza qualsivoglia sbavatura? Possiamo estendere questo quesito ai giorni nostri, pensando a come le estensioni di Google e dei vari social, ma anche di Netflix, Prime Video e compagnia bella, ci indichino in base alle nostre preferenze\click, cosa acquistare, vedere o mangiare. Il pericolo è di ottenere una società assuefatta, pigra nel prendere decisioni, poco incline all’affrontare la vita con il proprio cervello se i rischi sono zero. La riflessione a cui porta “I’m your Man” è affascinante perché globale e quasi senza tempo, ad oggi rientra tra i grandi interrogativi della vita quello di vivere a pieno le esperienze che ci aspettano oppure il mettersi in un angolo e sopravvivere. Molti sognano un mondo di sole gioie, arcobaleni e unicorni, peccato (ma forse per fortuna) che la vita non è solo questo ma tanto altro, altrimenti non sarebbe così complessa.

La regista Maria Schrader con gli attori sul set

“I’m your Man” è audace, lineare, sa quel che vuole e prova a prenderselo. Non è solo la ricorrenza di elementi quali la voglia di esser vivi dei robot o gli uomini che tentano in tutti i modi di sviluppare nuove comodità tramite la scienza, ma è anche il racconto umano di una donna presa a pugni dalla vita che si ritrova a fare i conti con sé stessa nel periodo di convivenza con Tom, proprio il suo uomo ideale. Unica nota stonata, a volte il film sembra non voler andare troppo oltre e rischia di cadere nel tranello del suo contenuto, ossia si facilita la vita pur di sopravvivere. In alcuni frangenti il freno a mano è troppo tirato, ciò comunque non influisce troppo negativamente sulla fruizione della bella opera quale è. Il freno a mano tirato non stoppa la mente di chi guarda, volta alla riflessione totale sull’esistenzialismo odierno. Una coppia di attori in grande spolvero ed una regista\sceneggiatrice brillante elaborano un prodotto stimolante.

Voto: 7,5\10

– Christian D’Avanzo

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