Spider-Man nel Marvel Cinematic Universe: la rinascita adolescenziale

Articolo pubblicato il 5 Gennaio 2022 da wp_13928789

Il momento è vicino, perché domani “Spider-Man: No Way Home” uscirà nelle sale cinematografiche. Sappiamo tuttavia che questo nuovo capitolo non è ovviamente una nuova ripartenza, ma la conclusione di una prima fase di un ciclo dedicato all’amichevole Uomo Ragno di quartiere e quindi, dopo aver parlato della prima e della seconda generazione del personaggio al cinema, ci sembra doveroso analizzare il ciclo di questi due nuovi capitoli che hanno dato la vera nuova esplosione del personaggio attraverso l’entrata in scena nel Marvel Cinematic Universe avvenuta nel 2016!

Nel 2014, “The Amazing Spider-Man 2” portò a casa la sua decorosa fetta di pubblico nelle sale. Pur essendo un risultato inferiore alle aspettative, la Sony era ancora decisa ad andare avanti con la versione di Webb, convinta che con il giusto approccio e con grande perseveranza Andrew Garfield sarebbe entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo. Tutto cambiò però quando Kevin Feige, produttore esecutivo di questi due capitoli, affermò di non poter andare avanti occupandosi di film che non fanno parte ormai dell’universo cinematografico creato da lui. Sempre più deciso, il celebre produttore propose così alla Sony l’idea di permettere l’utilizzo del personaggio proprio in quell’universo ripartendo da zero. La Sony accolse quella richiesta con molta riluttanza ma, convinta dal piano di Kevin Feige che ormai veniva da un immaginario collettivo impiantato nel pubblico con successo, decise di stringere questo accordo con i Marvel Studios e di conseguenza con la Disney, ottenendo una collaborazione con pochi precedenti al mondo.

E fu così che Spider-Man venne introdotto per la prima volta non in un film stand-alone, ma in “Captain America: Civil War” che all’epoca venne visto dalla maggior parte del pubblico e quindi la decisione di inserirlo proprio lì fu calcolata con estrema cura (perché diciamocelo, era percepito come un film sugli Avengers con un nome diverso). L’introduzione del personaggio mostrò per la prima volta un ragazzo quindicenne alle prese con un mondo di supereroi di cui era quasi totalmente inesperto, attraverso una breve (Peter Parker appariva giusto 15 minuti) ma intensa entrata in scena che evidenziava un ragazzo scherzoso che però era intenzionato in ogni modo a fare la cosa giusta perché sapeva di avere il potere per farlo e voleva aiutare. Dopo questa ottima introduzione, l’iconico arrampicamuri ebbe l’anno successivo il suo primo film da protagonista con “Spider-Man: Homecoming”…. ed ebbe un successo di pubblico e di critica di gran lunga superiore alla sua controparte precedente. Prima di tutto la cosa è dovuta all’influenza dell’universo Marvel creato da Feige: sappiamo bene che incontrare i propri beniamini in altri film da al pubblico un senso di vastità e di calore ai personaggi molto particolare (immaginate una persona che urla “Oh guarda, il mio amico è anche lì”) e l’idea che il personaggio Marvel più iconico di sempre avesse finalmente uno spazio del genere galvanizzava non poco… ma questa è la parte minimale.

Il vero tocco di genio infatti fu quello di rendere Spider-Man realmente un ragazzino, arrivando alla seconda superiore (tutte le altre versioni erano infatti al quinto anno per poi farlo immediatamente andare via dalla scuola). In questo modo per la prima volta si creò un’immedesimazione fortissima in un pubblico giovanissimo, il quale per la prima volta vide un quindicenne affrontare delle avversità colossali mentre si sedeva a scuola accanto al suo compagno di classe. Non è un caso infatti che le opere uscite hanno letteralmente l’aspetto di una commedia adolescenziale nelle scene a scuola, dando ai due cinecomic una boccata d’aria molto originale rispetto agli schemi mostrati nei film dello stesso genere. Non si può di certo dire che il pubblico giovane non fosse stato legato alle opere di Sam Raimi all’epoca delle uscite di queste ultime, ma il nuovo approccio di Kevin Feige fu un modo completamente diverso di creare immedesimazione e fu quindi in grado di attirare molta più curiosità. Oltretutto, il rendere questo nuovo Spider-Man così giovane permetterà un utilizzo longevo del personaggio ed il pubblico, estremamente affascinato, vedrà Peter Parker affrontare varie fasi della via, così le persone, specialmente gli adolescenti, cresceranno insieme a lui. Così, con il secondo capitolo “Spider-Man: Far From Home” uscito nel 2019, per la prima volta si raggiunse gli stessi spettatori della trilogia di Raimi e quindi finalmente si riuscì nell’impresa di creare un’altra versione iconica del personaggio, stavolta con al timone Jon Watts!

Certo, dietro la macchina da presa Jon Watts fatica parecchio a maneggiare delle opere così popolari e costose, perché in “Spider-Man: Homecoming” la regia è estremamente statica, soprattutto nelle scene d’azione che, salvo alcune eccezioni (la scena del salvataggio a Washington su tutte) non hanno mai dei tocchi visivi ricercati che vogliano portare qualcosa di realmente spettacolare, cosa che lascia abbastanza basito per un personaggio come Spider-Man. Tuttavia, quando si è assunti dai Marvel Studios, è difficile credere che si ottenga un risultato del genere senza essere talentuosi… ed infatti Watts nel secondo capitolo cresce notevolmente nelle scene d’azione, creando delle sequenze che lasciano a bocca aperta per la fusione del personaggio con scene oniriche che vengono sicuramente dopo l’ottima gestione della cgi da parte di Scott Derrickson di “Doctor Strange”, ma che si sposano bene con il lato spettacolare di Spider-Man che si unisce alle realistiche reazioni di un ragazzino fragile seppur capace di affrontare le cose, specialmente nelle sequenze oniriche che tolgono il fiato con movimenti da macchina da presa che vogliono creare disorientamento nello spettatore per far provare le stesse sensazioni che prova Spider-Man senza però mai far perdere l’orientamento delle sequenze. Non si raggiunge la perfezione di Sam Raimi e Jon Watts non è all’altezza di altri registi che nei blockbuster hanno mostrato una prepotente autorialità anche nei compromessi (Taika Waititi oppure James Wan), ma la crescita si nota. Deludente invece Michael Giacchino, il quale crea un tema nuovo per il personaggio che però utilizza poche note davvero banali.

Al di là del lato tecnico, come abbiamo già detto per la prima volta in un film di Spider-Man si respira un’aria adolescenziale che danno alle opere di Watts un’aria diversa dal solito, grazie ad un’atmosfera che fa rimanere il personaggio in piccoli quartieri, dando l’idea di un esordiente alle prime armi. Vedere infatti un supereroe che inciampa mentre si riprende da una caduta, che ha difficoltà a distinguere alcuni ladri e che spesso aspetta di finire la giornata non occupandosi di nulla e svolgendo piccole mansioni, da al personaggio un aspetto molto reale ed urbano, creando ancora più immedesimazione. Questo aspetto semplicistico tuttavia finisce per divenire minimale quando si rinuncia a raccontare realmente il dramma del personaggio, dando all’esordio un tocco fin troppo leggero e facendo avvertire un senso di responsabilità un po’ troppo flebile dato che Peter, con l’entusiasmo di un ragazzino che vuole riscattarsi dal suo lato da sfigato almeno nel fare la cosa giusta, fa avvertire il pubblico che cerca di svolgere azioni importanti più per sentirsi importante che per fare qualcosa di benefico per le persone. Il lato fondamentale di Spider-Man viene fuori solamente negli ultimi 20 minuti, quando l’importanza di sentirsi forte dentro di sé per affrontare le avversità sapendo di essere qualcuno anche senza i grandi mezzi tecnologici o l’uso della fama entra con prepotenza, ma troppo tardi con un film che più volte sembra volere soprattutto intrattenere e ciò è deludente quando si tratta di Spider-Man…. finché non arriva “Far From Home”.

Con il secondo capitolo, si nota un Peter Parker che fin dall’inizio vuole schivare almeno per un momento le sue responsabilità, in modo da inseguire la ragazza di cui è innamorato e godersi una vacanza adolescenziale come un vero studente che si diverte. Tutto però va in frantumi quando le responsabilità vengono fuori… e più il film va avanti, più la pesantezza del rischio delle morti dei suoi cari e il non riuscire più a reggere questa impossibilità di essere normale vengono fuori. Inoltre gli eventi si condesano con delle scene di vita privata che mostrano le difficoltà di Peter di approcciarsi con le persone in generale, unendo le grandi responsabilità di Spider-Man con la timidezza adolescenziale e mostrando quindi un ritratto di dolore e di difficoltà dei ragazzi travestito da commedia, il quale più volte si unisce alla difficoltà di poter essere capaci di lottare come uno dei più grandi eroi della terra, in questo caso Spider-Man. Anche questo è un delicato tema molto importante da non sottovalutare: quanti ragazzi infatti soffrono perché i genitori o molte altre persone vedono su di loro la speranza di qualcosa che riescano a realizzare in futuro e per questo diversi giovani hanno difficoltà a reggere delle aspettative così grandi perché non hanno idea di come affrontare il futuro? Proprio per questo “Far From Home” utilizza un intelligente confronto tra vecchia e nuova generazione, il quale non rinnega i vantaggi del passato ma allo stesso tempo porta con sé una nuova identità, portata sulle spalle dell’interpretazione di un eccellente Tom Holland.

Ed in tutto ciò, i villain sono trattati sempre con grande approccio: abbiamo infatti delle persone che hanno incontrato difficoltà nella vita e che non sono state in alcun modo supportate da coloro per cui lavoravano, portandoli non ad una reale cattiveria, ma costringendo il loro ingengno a mettersi in proprio per tentare di sopravvivere ed a portare a qualcosa di illegale ma che permetta loro di andare avanti: l’Avvoltoio condensa la sua perdita dell’impiego con il traffico di armi illegale per aiutare la propria famiglia, mentre Misteryo inganna il mondo per dare alle persone esattamente quello che vogliono, unendosi ad un’immagine pubblica che però finisce per non rispettare per nulla la persona che lui realmente è. Entrambi i villain vedono il mondo come un posto duro al quale bisogna adattarsi alle sue regole dure, in profondo contrasto con le azioni di Peter il quale, con tutte le sue difficoltà, rinuncia a tutto per portare però veramente ciò che fa bene al mondo.

L’ingresso di Spider-Man nel Marvel Cinematic Universe, pur tentennando all’inizio, ha dato una nuova linfa vitale fondamentale al personaggio raggiungendo un risultato qualitativo che nel complesso non è ancora potente quanto quello di Raimi, ma che comunque supera di gran lunga nell’ingegno la qualità dei lavori di Webb, dando finalmente all’Arrampicamuri un’identità precisa che è destinata a lasciare ancora tanto nel futuro. Riuscirà il terzo capitolo a concludere il percorso di crescita del personaggio per introdurlo ad una nuova idea matura per affrontare il mondo? Lo scopriremo a breve, ma nel frattempo l’incarnazione di Holland rimane uno dei modi più intelligenti per reintrodurre nuovamente un personaggio iconico al cinema.

Andrea Barone