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La fabbrica di cioccolato: chi ha tutto e chi nulla

La recensione de La fabbrica di cioccolato, con Johnny Depp

Tratto dall’omonimo romanzo di Roald Dahl, il lungometraggio diretto da Tim Burton è la seconda trasposizione cinematografica dopo quella del 1971 Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato firmata da Mel Stuart. Uscito nelle sale italiane il 23 settembre 2005 vanta nel cast: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Freddie Highmore, Deep Roy e Christopher Lee, in più i costumi sono realizzati dalla nostra Gabriella Pescucci ottenendo una candidatura agli oscar.

Uno dei temi più cari al regista è sicuramente il rapporto genitori/figli, tra le due figure vige una barriera invisibile, un conflitto in cui gli adulti ne escono sempre in difficoltà e sotto una luce negativa. Willy Wonka vive questa condizione, la sua infanzia è stata condizionata dall’atteggiamento proibizionista del padre(dentista) nei confronti del cioccolato e dei dolciumi in generale, essi rappresentano la fanciullezza stessa, sono simboli di festa, aggregazione, di evento speciale come lo sono il Natale, Halloween etc. Grazie alla precisione con cui vengono piazzati i flashback, capiamo quanto il protagonista si sia sentito diverso dagli altri, privato dalla possibilità di gioire per un gesto che può sembrare normale ma per un bambino scartare un lecca-lecca durante un giorno festivo lo fa sentire normale. La rottura è ormai inevitabile, fare del cioccolato la propria ragione di vita diventa sentimento di rivalsa cui spinge l’estro a venir fuori trascinandosi con sé un senso di vuoto cui verrà colmato soltanto alla fine.

Nel frattempo, viene data inizio una “caccia”: cinque biglietti dorati sono stati distribuiti “casualmente” in tutto il pianeta nascosti nelle barrette, i trovatori avranno la possibilità di visitare per un giorno la fabbrica, una fabbrica entrata ormai nella leggenda perché più nessuno dopo la chiusura è riuscito ad entrarci. Ma è davvero così? È tutta una questione di fortuna? Assolutamente no, i bambini vengono scelti in maniera ponderata e precisa con un unico obiettivo: punire gli eccessi. Tra le vittime designate conosciamo varie sfumature di individui cui dalla vita hanno ricevuto più del dovuto a discapito di altri, ogni bambino ha la sua peculiarità: il troppo appetito che diventa ingordigia, la troppa ricchezza che diventa opulenza, il troppo agonismo diventa arroganza e la troppa intelligenza diventa saccenteria. In questo tour vengono piazzate delle trappole, accompagnate dalle meravigliose canzoni degli “Umpa Lumpa” realizzate dall’onnipresente Danny Elfman, a cui segue un castigo senza soluzioni, le tracce rimarranno indelebili sul loro corpo come conseguenza dei propri sbagli. Ma chi sbaglia veramente? L’intento non è quello di puntare il dito contro gli infanti, la punizione subita non è altro che la causa della colpevolezza di chi ha permesso tutto questo, di chi ha ridotto i propri figli in quello stato, mancando di insegnamento e di esempio, alla peggio trattandoli come mera proiezione di se stessi, ciò è il caso di Violetta Beauregarde e di sua madre: stessi vestiti, stesso taglio di capelli e stessa ossessione per la gloria, tant’è che alla fine si percepirà un senso netto di rifiuto della donna  solamente perché la bambina ha un colore della pelle diverso dal suo.

La “mosca bianca” di turno è Charlie, un bambino abituato all’indigenza economica, alla precarietà, ma sicuro di quelli che sono i veri valori di un essere umano, come la condivisione, non pesa il fatto di dover dividere quattro mura in sette persone, l’importante è dividerle con chi vuoi più bene, in cui si riesce ad essere felici perché si è e non perché si ha, in cui si riesce ad essere una famiglia! Quello che Willy non ha mai avuto, ma grazie alla conoscenza di Charlie riuscirà ad avere una seconda possibilità, un’opportunità di riconciliazione con l’ideale stesso di famiglia cui ormai sembrava perduto per sempre. Realizzato con grande perizia tecnica, già dai titoli di testa percepiamo la caratura visiva importante, dal ritmo sempre costante e con una voce narrante mai invadente che sa intervenire e tacere nei momenti giusti. Una pellicola perfetta per questo periodo di festività natalizie, anche se non vi è mai un richiamo diretto, da vedere e rivedere con chiunque perché questo film è veramente per tutti infatti, sa divertire, sa ammaliare grazie alla regia sapiente di Burton, regala citazioni cinefile meravigliose a 2001 odissea nello spazio e Psycho e dulcis in fundo sa far riflettere e non poco.

Ma dopotutto…è Tim Burton, no?

Giovanni Urgnani

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