Articolo pubblicato il 21 Aprile 2022 da wp_13928789
La staticità e il movimento, i due elementi fondanti che da sempre definiscono e caratterizzano i tratti delle arti visive e in particolare di quelle, come il cinema e le serie tv, che, al fine di espletare la loro funzione comunicativi, si avvalgono di una successione di fotogrammi. Il moto o l’inazione di personaggi all’interno dell’inquadratura e il loro rapporto dimensionale con lo spazio che li circonda sono da sempre fattori che devono essere presi in considerazione al fine di giudicare il senso o il punto di vista che un’opera tenta di esprimere. L’immobilità catatonica di Rue da inizio stagione era stato il mezzo attraverso il quale Levinson aveva comunicato il profondo disagio interiore e l’ineludibile senso di smarrimento della protagonista, in questa puntata però avviene un cambiamento drastico e Rue corre, salta, rotola, scatta, si ferma e poi riparte senza soluzione di continuità, dando vita ad una fuga senza requie, capendo soltanto nel finale che il suo punto di arrivo era anche il suo punto di partenza.

L’apatia e l’apparente indifferenza che hanno caratterizzato Rue fin dall’inizio di questa seconda stagione si rivelano finalmente in questo episodio per quello che realmente sono: sotterfugi e coperture utilizzati dalla protagonista della serie per mascherare la sua estrema difficoltà di comunicare con il prossimo e la sua tendenza ad immagazzinare dentro sé stessa tutto il male che le si riversa addosso, senza cercare una valvola di sfogo o tentare una razionalizzazione di ciò che le accade. Unicum per quanto riguarda la serie, in questo episodio il titolo di testa non si presenta su schermo nero ma è accompagnato dallo sfondo di Rue che trafelata corre in mezzo alla strada.
E’ senz’altro l’episodio, a livello di montaggio, più dinamico della serie che riesce, come spesso accade, a conciliare diverse influenze estetiche che attraverso la loro ibridazione producono quella che a tutti gli effetti è una visione autoriale ben precisa. Il personaggio interpretato magistralmente da Zendaya (che ancora una volta è in grado alternare scene introspettive in cui fa ricorso alla microespressività del volto ad altre in cui può dare libero sfogo ad una più plateale e esuberante mimica facciale e gestualità) sembra aggirarsi in una metropoli crepuscolare direttamente uscita dalla mente di Jim Jarmusch, correndo all’impazzata e dando vita a un percorso ad ostacoli che sembra calare la messa in scena del leggendario inseguimento a piedi di “Point Break” nelle case e nei cortili di personaggi appartenenti all’universo immaginifico dei fratelli Safdie. Levinson inoltre compie due scelte assolutamente significative e centrate nella narrazione di questa puntata.
Da una parte rimuove completamente il voice-over (che come avevamo già osservato nella scorsa recensione sembrava si stesse eclissando già nello scorso episodio) sottraendo a noi spettatori l’unico vero punto di riferimento avuto fin dalla prima stagione, lasciandoci in balia degli eventi e, proprio come Rue, senza un percorso da seguire; dall’altra inquadra continuamente la protagonista filtrando la sua immagine attraverso specchi, vetri, tende oppure riflettendola sempre attraverso questi oggetti, sintetizzando brillantemente in tal modo come questa corsa a perdifiato sia innanzitutto una ricerca disperata della propria identità da parte della protagonista, che non riesce più a riconoscersi e a vedersi ed è quindi obbligata a trovare una nuova dimensione, una nuova forma all’interno dello spazio che la circonda.
Meritano un elogio infine le doti attoriali di Hunter Schafer e (di una troppo poco citata) Storm Reid che attraverso pochissime inquadrature ed un numero ancora più esiguo di battute riescono a esprimere la cocente delusione e l’indelebile sofferenza che Rue sta causando alle persone che la amano.

E’ altrettanto evidente che i puristi della sceneggiatura potrebbero trovare in questa puntata delle incongruenze e delle facilitazione che Levinson mette in campo al fine di mantenere il ritmo sostenuto della puntata e alimentare la sua ricerca estetica, tuttavia in questa rubrica gli elementi di maggiore interesse di questa opera che si intende analizzare sono quelli relativi all’esuberante impianto visivo e allo sviluppo emotivo e psicologico dei personaggi, pertanto tali disquisizioni sono lasciate ad altre sedi di dibattito. Fatta questa precisazione non si può far altro che complimentarsi con una serie che, mantenendo un impianto qualitativo di primo ordine, è riuscita a raddoppiare i suoi ascolti in questa stagione, a dimostrazione del fatto che la valorizzazione di prodotti artistici ricercati ed efficaci è ancora possibile.
P.S. Come anche specificato da Zendaya sui suoi social la visione di questa serie è consigliata ad un pubblico adulto e in grado di sostenere la trattazione cruda di tematiche quali la dipendenza da stupefacenti e la depressione, il consiglio è di tenersene alla larga se si è particolarmente suscettibili in tal senso.