Articolo pubblicato il 14 Aprile 2022 da Christian D'Avanzo
La Figlia Oscura (The Lost Daughter) è un film del 2021 scritto e diretto da Maggie Gyllenhaal, al suo esordio alla regia di un lungometraggio. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2006 di Elena Ferrante, è stato presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, vincendo anche il premio Osella per la migliore sceneggiatura (candidata anche agli Oscar di quest’anno). Ha per protagoniste Olivia Colman, Jessie Buckley e Dakota Johnson; nel cast troviamo anche Peter Sarsgaard, Alba Rohrwacher ed Ed Harris.
Durante una vacanza al mare da sola, Leda Caruso (Olivia Colman), professoressa di Letteratura italiana a Cambridge (USA) in vacanza in un’isoletta greca, rimane incuriosita e affascinata da Nina, una giovane madre (Dakota Johnson) e dalla sua figlioletta mentre le osserva sulla spiaggia. Turbata dal loro irresistibile rapporto, e dalla loro chiassosa e minacciosa famiglia allargata, Leda è sopraffatta dai suoi stessi ricordi personali provati nelle prime fasi della maternità. Qui entra in gioco Jessie Buckley nei panni di una giovane Leda alle prese con le sue bambine.

Maggie Gyllenhaal firma la sua primissima regia in un film cadendo nei tipici errori da esordiente (riprese con macchina a spalla molto ricercate e a volte fine a sé stesse, ingolfano inutilmente la messa in scena), confezionando una sceneggiatura ridondante e per lo più senza una vera e propria identità. Si parte con un incipit quasi da thriller, con la scomparsa della bambina della giovane madre Nina che tenterà di ritrovarla, spalleggiata dalla sua famiglia allargata proveniente dal Queens con cui Leda ha inizialmente un battibecco. Eppure la tenerezza con cui Nina va alla disperata ricerca della figlia fa scattare un senso di maternità anche in Leda, prontamente si addentra nei boschi per dare una mano, e se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, riesce nel suo intento. Durante il percorso viene colpita in testa da una pigna caduta da uno degli altissimi alberi presenti, e la Gyllenhaal da quel momento in poi ci farà sentire esattamente così: colpiti in testa da un elemento improvviso, così come Leda, rincorsa e punita da un claustrofobico senso di colpa per aver abbandonato le sue figlie quando era nel fiore della sua carriera. E sarà proprio da quell’attimo in poi che la narrazione prenderà una biforcazione, alternando un presente in cui la Leda della Colman è alle prese con gli irritanti abitanti dell’isola (incisiva la scena al cinema con i ragazzi) ma soprattutto, fa i conti con sé stessa, ai flashback di un lontano passato dove la giovane Leda della Buckley si imbatte in tutte le difficoltà del caso da quando è diventata mamma. Doveroso segnalare che le due attrici rendono giustizia al personaggio sfoggiando due performance di livello (non a caso entrambe nominate agli Oscar), e oserei dire che la Buckley, anche per minutaggio, risulta essere la vera protagonista. D’altronde sono proprio le sue azioni ad averci portato alla conseguenziale reazione della Leda presente, tormentata da un ingombrante passato marcato dall’abbandono.

La Figlia Oscura è una riflessione sull’amore incondizionato che dovrebbe (e sottolineo dovrebbe) avere una madre per i propri figli, eppure quando vieni sopraffatto dall’ambizione potresti cadere nella stessa tentazione in cui poi effettivamente cadrà Leda: abbandona la sua vita per tre anni, suo marito e le sue bambine da lei visti come una gabbia, per la carriera e la possibilità di vivere liberamente con un altro uomo, un professore interpretato da Peter Sarsgaard. Alla fine riuscirà ad avere successo, ma quale sarà il prezzo da pagare? Una perdizione, ci si dilania internamente per quei tre anni passati lontana da casa. Soggetto estremamente interessante, basato sul romanzo di Elena Ferrante, non trasposto al meglio nella sua versione cinematografica, proprio perché nei 120 minuti circa di cui è composto il lungometraggio della Gyllenhaal, più volte ci si perde in scene ripetute, con le figlie che fanno impazzire Leda nei flashback, la famiglia di Nina e gli abitanti dell’isola che in modo un po’ semplicistico creano ulteriore disagio nella Leda del presente. Diverse scene risultano costruite in modo un po’ acerbo nell’estetica e nella scrittura dei dialoghi, il che è anche lecito trattandosi di un esordio, ma a pesare sono in primis le ripetizioni e la banalità degli scambi tra i due amanti durante i flashback. Un mondo stretto, due personaggi tutt’altro che facili, specie in una società in cui la donna/madre porta sulle spalle il peso di un’immagine santificata e glorificata votata all’amore incondizionato e al sacrificio naturale per i propri figli. Le premesse non sono state mantenute costantemente di livello, e questo costa caro quando vuoi interrogarti su un tema così delicato e hai un soggetto solido alla base. Il problema, soprattutto, si pone quando non c’è una conoscenza del romanzo di Elena Ferrante perché alcuni passaggi non vengono approfonditi, come la simbologia al suo interno, risultando confusionario nell’alternanza tra i due tempi posti dalla narrazione.
Occasione non colta nel migliore dei modi, peccato! Ma seguiremo con attenzione il percorso cinematografico della Gyllenhaal.