Articolo pubblicato il 9 Maggio 2022 da Christian D'Avanzo
Vi presentiamo la nostra nuova rubrica: Pinocchio al Cinema! Settimanalmente affronteremo insieme il percorso su questo personaggio tra le varie trasposizioni, animazione e live action, elementi riusciti ed altri meno, fino ad arrivare ai film diretti da Zemeckis per la Disney e Del Toro per conto di Netflix.

La primissima opera, basata sul romanzo “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi, è il film d’animazione della Disney uscito nel 1940 e diretto a più mani, tre anni dopo l’esordio con “Biancaneve e i sette nani”. E diciamo subito essere una rappresentazione fedelissima nello spirito, con chiavi di lettura ancora attuali per quella che è la vita del giovane burattino. Ma andiamo per ordine:
L’inizio tramite voice-over del Grillo Parlante, con la canzone When You Wish Upon a Star, vincitrice dell’Oscar alla migliore canzone nel 1941, ci immerge immediatamente in un mondo favolistico in cui il protagonista è il desiderio, e la magia ci accompagna per tutto l’incipit folgorante, come dei bambini che si meravigliano per la prima volta di qualcosa. Tra fantasiosi orologi, il gatto Figaro e le avances mosse dalla pesciolina Cleo a condire il tutto con dolcezza, possiamo collegare l’inizio alla nascita magica di Pinocchio per mano della Fata Turchina proprio in virtù del fatto che si tratta di un evento unico. Geppetto da anziano falegname diventa anche padre, trovando l’affetto non più soltanto nei bellissimi oggetti ricavati dal legno e nei suoi animaletti da compagnia, ed è un momento di massima felicità per chi come lui sa cosa significa diventare genitore. L’incanto di chi guarda per la prima volta il mondo con occhi diversi perché c’è un nuovo amore nella propria vita, e d’altra parte anche chi, come Pinocchio, semplicemente nasce e gli occhi li apre per la prima volta: è tutto un grande spettacolo. Curioso in tal senso, e forse d’ispirazione essendo antecedente, “The Night Before Christmas”, al quale vi proponiamo di dare uno sguardo. Si tratta di un cortometraggio natalizio della stessa Disney risalente al 1933:
Noi spettatori seguiamo le vicende tramite la coscienza di Pinocchio, ossia il Grillo Parlante, una delle comic relief più riuscite di sempre, c’è poco da fare. Il suo humour da conquistador di cuori femminili soprattutto nella parte iniziale con le donnine degli orologi fa sorridere e ci fa anche riflettere sul fatto che sia figlio dei suoi tempi com’è giusto che sia, non possiamo esimerci dal contestualizzarlo. Inoltre, una volta elevato il suo ruolo a coscienza, si affeziona in modo genuino al bambino di legno e lo seguirà ovunque, trasportandoci con loro nelle diverse (dis)avventure. Pinocchio in procinto di andare a scuola per la prima volta viene sgarbatamente interrotto dell’ingordigia di due personaggi inetti quali sono il Gatto e la Volpe, subito pronti a deviare il nostro protagonista per venderlo a Mangiafuoco (in lingua originale viene chiamato Stromboli), burattinaio del Gran Teatro dei Burattini, solitamente è un personaggio che parte male per poi finire bene dimostrando generosità, ma in questa trasposizione compra Pinocchio per una miseria per farlo recitare nei suoi spettacoli soltanto per guadagnare ed esser sempre più ricco fino a che potrà, per poi gettarlo nel fuoco una volta finito di usarlo. Ed in questa parabola della vita di un qualunque giovanotto di classe media, non possiamo non pensare allo sfruttamento minorile e all’essere andati via di casa troppo presto per divergenze con i propri cari o semplicemente per istinto di sopravvivenza. Lo sfruttamento\schiavismo, soprattutto nel nostro paese, è una realtà ancora concreta purtroppo ed un pensiero dopo questa sequenza non può che andare proprio per quella strada.

Dopo essere sfuggiti dalle grinfie del terribile padrone, grazie all’aiuto della Fata Turchina, arriviamo ad un altro step del nostro viaggio: il paese dei balocchi! Una sequenza che ancora oggi, a distanza di 82 anni, riesce a colpire con prepotenza al cuore facendo male, soprattutto per le chiavi di letture che ne possono seguire. Il direttore del finto luna park ha uno sguardo cattivo, di quelli da far accapponare la pelle, ed il suo sorriso mentre prende accordi con il gatto e la volpe (ancora una volta mercenari senza scrupoli) la dice lunga su quel che verrà. Pinocchio e il suo nuovo amico Lucignolo cadono nelle tentazioni, come si diceva prima, non possiamo non pensare a questa favola come una metafora cerchio della vita di un qualsiasi bambino o giovanotto, e dunque vederli inseriti in un contesto in cui non esiste lavoro ma ci si diverte e basta, anche con i brutti vizi dell’alcol e del fumo (moda fin troppo in voga tra i giovani d’oggi), riporta proprio a quell’alienazione del mondo giovanile per sfuggire dai doveri quotidiani, ma potrebbe star anche a simboleggiare la violenza sui minori per il modo in cui li si è attratti con l’inganno in quel luogo per poi essere trasformati in asinelli e venduti. E proprio la trasformazione da un punto di vista tecnico, quasi con un tocco alla Jekyll, è splendida. Allo stesso tempo però il risveglio dei bambini ormai asini, con alcuni ancora dotati di parola e con urlo disperato misto al pianto per cercare la propria mamma è qualcosa di struggente. Per fortuna Pinocchio non si trasforma completamente ma perderà di vista Lucignolo, ancora una volta riuscirà a sfuggire e…

Ci avviamo verso il finale in cui c’è un cambio decisivo per l’estetica animata rispetto al libro, ossia al posto del pescecane troviamo una balena, in cui Geppetto è prigioniero insieme ai suoi fidati amici Figaro e Cloe mentre attendono un po’ di tonno da pescare. Erano tutti andati alla ricerca del burattino, e sono stati inghiottiti da quest’enorme animale, stessa fine che farà Pinocchio. Dopo dei momenti abbastanza pesanti dovuti alla tristezza di cui ci ha riempito il paese dei balocchi, per fortuna c’è un po’ di leggerezza con il Grillo Parlante sempre sul pezzo, e una volta immerso sott’acqua si imbatte in un pesce e se ne esce così:
Senso unico prego!
Grillo Parlante
Ed ecco che prende il via la splendida chiusura, sia da un punto di vista tecnico (l’occhio della balena che suggestivo!) che da un punto di vista narrativo, con Pinocchio che aguzza l’ingegno dopo aver ritrovato il suo amato babbo, studia il piano perfetto per far starnutire la balena e farsi sputare fuori, mentre parallelamente il grillo tentava ancora di entrare per raggiungerli. Scampato anche all’ultimo, forse il più pericoloso degli ostacoli, la famigliola è finalmente riunita grazie alla maturazione del bambino di legno, che per magia non è più di legno! Dopo tanto tempo si torna a casa, levigati dall’esperienza della vita e dalle sofferenze, e diventiamo ogni giorno più umani, dei “bambini veri” con la consapevolezza di poter trovare una gioia anche nel riabbracciare i nostri cari dopo “varie avventure”.

“Pinocchio” resta un capolavoro dei classici Disney per tecnica, essendo uno dei suoi lavori d’animazioni più complessi e costosi (solo i 30 secondi con il risveglio del villaggio, quando Pinocchio va a scuola sono costati 25 mila dollari, una cifra da capogiro soprattutto contestualizzato al 1939), e anche per la narrazione per come tratta con grazia il romanzo da cui prende il via e lo rende perfettamente disneyano nelle intenzioni e nell’estetica (rimando nuovamente al cortometraggio natalizio in tal senso, ma anche “Biancaneve e i sette nani”). Anche la colorazione è incisiva, tra colori caldi e colori freddi c’è un perfetto bilanciamento. D’altronde la parabola della vita in questo film è essenziale, momenti di gioia (colori caldi) e momenti di tristezza (colori freddi, grigiore), creano un prodotto audiovisivo tra i più dirompenti di sempre nell’immaginario collettivo!