Articolo pubblicato il 12 Maggio 2022 da Andrea Barone
Per la nostra rubrica dei classici, in cui ricordiamo opere uscite da molti anni che meritano di essere assolutamente guardate, è stato scelto stavolta un pilastro del cinema di fantascienza: “Il Pianeta Proibito“, uscito nel 1956 e diretto da George J. Folsey. L’opera, ambientata nel 24° secolo, vede una squadra di esploratori e soldati che guidano un incrociatore spaziale per controllare gli abitanti del pianeta Altair IV, uno dei tanti mondi destinati alla colonizzazione dell’uomo. Tuttavia, quando la squadra, capitanata da John J. Adams, giunge sul pianeta, scopre che quest’ultimo è abitato solamente dal dottor Edward Morbius e da sua figlia Alta, aiutati da un servizievole robot di nome Robby. Il motivo dell’assenza di tutti gli altri coloni è dovuta ad una terribile tragedia non naturale che il dottor Morbius riesce a malapena a descrivere e a cui solo lui e sua figlia sembrano essere immuni. Mentre il dottor Morbius continua a fare studi sul pianeta che creano curiosità da parte della squadra, anche dei segreti oscuri sembrano provenire da esso per minacciare l’incolumità di tutti i presenti dopo tanti anni…
L’opera è rimasta per lungo tempo nell’immaginario collettivo grazie alla creazione di Robby, il quale al tempo era la creatura cinematografica che più si avvicinava visivamente ad un realistico concetto di robot: pur essendo realizzato tramite un costume indossato da un attore stunt, le varie parti del corpo metallico che si muovono continuamente danno uno scorrevole senso meccanico ai suoi movimenti, specialmente nella testa che risulta incredibilmente realistica ancora oggi (risultato ottenuto grazie all’intelligente scelta di renderla trasparente per aumentare l’illusione della presenza cybernetica all’interno). Tuttavia Robby non è stato solo una rivoluzione sul piano tecnico, ma anche concettuale: per la prima volta vediamo un robot al servizio dell’essere umano che non si ribella al proprio padrone (nonostante all’inizio vengano elencate le sue pericolose abilità) tanto da trasformarsi quasi in una figura benevola nei momenti più difficili. Vediamo per la prima volta al cinema un essere dotato di intelligenza artificiale che rispetta le 3 leggi della robotica che sono:
- non recare danno a nessun essere umano.
- obbedire agli ordini degli esseri umani, purché questi non vadano in contrasto con la prima regola.
- proteggere la propria esistenza, purché ciò non vada in contrasto con la prima e la seconda regola.
Nonostante il film non sia tanto dolce con il progresso come spiegheremo tra poco, la scrittura di Robby accostata alle leggi di Isaac Asimov è stato un modo per guardare la tecnologia attraverso un orizzonte più articolato, che permetteva una possibilità di confronto tra l’essere umano ed il progresso non necessariamente malvagio, poiché l’uomo ha ancora tanto potenziale che però non viene ricercato nella scelta della conoscenza, quanto nel sacrificio e nell’umiltà che vanno riconosciute prima di qualsiasi espansione dei propri studi.

Ma Robby non è l’unica impronta tecnica a stupire, dato che le scenografie di Hugh Hunt e Edwin B. Willis, create attraverso un misto tra ricostruzioni fisicamente presenti, dipinti realisticamente accurati e persino tocchi di montaggio veloci per simulare il movimento (diversi dalla stop-motion), riescono davvero a togliere il fiato e fanno notare l’enorme dispendio di mezzi utilizzato. Altro elemento di lode è il raggio disintegratore, il quale, al contatto con il soggetto, realizza un effetto evaporante che non si limita solo a far scomparire il bersaglio dall’inquadratura e rende tutto più realistico. Un’altra cosa estremamente particolare anche per l’epoca, è la realizzazione del mostro alto 3 metri. All’epoca le opzioni per rappresentare una creatura aliena erano o la stop motion o la suitmation, mentre qui si sceglie l’animazione tradizionale in tecnica mista per riprodurre un mostro fatto di energia. Tale scelta permette una grande espressione del viso, aiutata dal fatto che il mostro viene rivelato solamente quando entra a contatto con i raggi sparati dalle armi dei nostri protagonisti, risultando molto convincente anche nelle interazioni con l’ambiente circostante in live action. Tale rarità per un film fantascientifico serioso lo rende uno dei mostri più spettacolari della storia del cinema. Inoltre l’opera, dal punto di vista della colonna sonora, detiene il record per essere il primo lungometraggio a sperimentare l’utilizzo della musica elettronica… ma i meriti del film non sono solamente tecnici.
La fantascienza degli anni 50, dietro la sua ricerca della spettacolarità, è stata un lungo oggetto di sperimentazione concettuale da parte dei suoi creativi per scavare nel cuore della natura umana cercando un confronto tra essa ed il futuro che verrà: si pensi solo ad alcuni grandi esempi come “Ultimatum Alla Terra” di Robert Wise, “Godzilla” di Ishiro Honda e “Il Mostro Della Laguna Nera” di Jack Arnold. “Il Pianeta Proibito” non fa eccezione, cercando di rappresentare la reazione dell’umanità di fronte la possibilità di poter espandere i propri orizzonti all’infinito. Il dottor Morbius è simbolo di tale reazione, che però, man mano, diventa alienazione. Lo vediamo infatti spesso valutare con antipatia ed amarezza il pensiero di tornare sulla Terra, un mondo in cui ci sono soltanto morte e distruzione a causa dei continui vizi dell’uomo, vizi che sono mostrati eccentricamente anche in questo film con i continui istinti dei soldati esploratori che non bevono alcool e non vedono una donna da tanti anni, tanto da non riuscire a contenersi (c’è chi prova ad approfittarsi dell’ingenuità pura di Alta e c’è chi beve fino all’ubriacatura appena trova una scorta). Questi vizi sono spesso al centro di semplici gag, ma è chiaro che il film li mostri come un peccato originale che è alla base dell’essere umano, tanto da non riuscire nemmeno ad essere escluso dal suo giusto e dritto protagonista John J. Adams, il quale tuttavia mostra in maniera più eroica e degna i suoi istinti d’amore che vedono la sessualità inutile senza un’alchimia giusta di due anime gemelle, concetto romantico che troverà un punto grazie alla storia tra lui e la stessa Alta.
La vita umana viene quindi quasi parodiata, ma non per questo reputata meno affascinante di un pianeta alieno precedentemente abitato da una civiltà prosperosa ma che poi è finita nella distruzione. Il mostro autore di tale distruzione non è altro che la proiezione involontaria di una carica di violenza generata dal subconscio di un essere consenziente ed intelligente. In questo caso, quando il mostro tornerà e tormenterà i protagonisti, l’autore involontario di questa violenza sarà proprio il dottor Morbius, il quale, nell’ultimo periodo da quando sono arrivati gli esploratori, verrà preso da un forte senso di gelosia per le sue ricerche che gli farà detestare quella visita tanto che, nel suo subconscio, desidererà la distruzione di tutti i presenti, anche se non potrà quasi mai accettarlo. L’onesta chiave di lettura del film vuole mostrare che, anche con tutto il raziocinio del mondo, nessun essere umano può sfuggire ai propri impulsi violenti, perché ogni singolo uomo ha dentro di sé una parte malvagia che si può risvegliare e che contraddice ogni singolo tentativo di perfezione di cui a volte crediamo di essere coperti grazie ad una purezza che cerchiamo inutilmente di attribuirci. Con questi elementi, che si ispirano fortemente a “La Tempesta” di William Shakespeare, il film vuole dimostrare che la sete della conoscenza e l’aumento della carneficina, la quale fa a brandelli sia il proprio animo che le persone attorno a noi, è generata quando si preferisce superare i limiti a discapito di qualsiasi contatto umano. Morbius, dimenticando le sue origini di uomo, causa la totale alienazione della sua anima… e, secondo l’opera, sarà questa alienazione a portare alla rovina tutti noi se non sapremo fermarci in tempo dall’abbracciare solo il progresso. Ciò che invece ci salverà sarà il prendere coscienza della propria terra d’origine, trovando un equilibrio tra istinto umano e sfruttamento del potenziale scientifico, come il protagonista che alla fine accoglierà il robot Robby nella sua nave insieme a tutti gli altri membri dell’equipaggio.

“Il Pianeta Proibito” è uno di quei film fondamentali per comprendere le basi della fantascienza moderna, da cui seguiranno tantissimi esperimenti che continueranno ad espandere il rapporto tra uomo e macchina, tra ricerche visive di nuovi mondi e l’esplorazione dell’animo umano. Senza questo film non esisterebbe qualsiasi altra evoluzione della fantascienza come la conosciamo oggi. Non è la prima volta che si vede il rapporto tra l’uomo ed il progresso (vedasi i geniali “Metropolis” di Fritz Lang e “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin), ma l’esplorazione della robotica che analizza nuovi orizzonti e che va al di là della catastrofica condanna dell’autonomia meccanica è avvenuta quando il robot Robby si è mostrato per la prima volta al grande pubblico, cambiando per sempre il nostro modo di vedere i robot sul grande schermo… insieme a noi stessi.