Cerca
Close this search box.

Pinocchio al cinema: Roberto Benigni (2002)

Distribuito nelle sale cinematografiche italiane l’11 ottobre 2002, la pellicola ha avuto un rilascio internazionale, tra cui negli Stati Uniti in una versione doppiata dal 25 dicembre dello stesso anno e in versione originale sottotitolata il 7 febbraio 2003. Costato quarantacinque milioni di euro, è co-scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni, il resto del cast è composto da: Nicoletta Braschi, Beppe Barra, Kim Rossi Stuart, Massimiliano Cavallari, Bruno Arena, Franco Javarone e Carlo Giuffrè. La colonna sonora è composta da Nicola Piovani mentre la fotografia è firmata da Dante Spinotti. Premiato con due David di Donatello per Migliori costumi e Miglior scenografia entrambi a Danilo Donati.

Generalmente le sentenze si lasciano alla fine, ma in questo caso pare giusto cominciare da qui: questa è indubbiamente la trasposizione peggiore del racconto di Carlo Collodi approdata sul grande schermo. Per l’importanza del messaggio sociale e lo spessore del precorso di formazione, personaggi come Pinocchio e Lucignolo non possono essere interpretati da attori adulti, nemmeno tramite la sospensione dell’incredulità si riesce ad accettare dinamiche simili a quelle che ci sono state presentate, la recitazione deve giocoforza essere impostata su uno stile macchiettistico, stridulo risultando perciò insopportabile, antipatica e fastidiosa penalizzando di conseguenza sia l’intrattenimento che il legame con il personaggio protagonista. Il passaggio da burattino a bambino per essere efficace deve necessariamente concretizzarsi nella fisicità e nella tangibilità, elemento che in questo caso va definitivamente a scomparire dato che, in nome del divismo, l’attore protagonista non può risultare nascosto dal trucco prostetico. Non va meglio guardando il resto del cast che non riesce ad aggiungere nulla di interessante nell’interpretare i propri personaggi, per quanto riguarda i “Fichi d’India” per esempio, invece di calarsi nella parte mettono in scena loro stessi, con movenze ed espressioni che li hanno sempre caratterizzati.

La messa in scena è discutibile sotto ogni punto di vista, la ricostruzione degli ambienti è anonima: il villaggio, la pancia del pescecane o il paese dei balocchi non sono pervenuti, i costumi, il trucco e le scenografie non sono all’altezza e la forza produttiva messa a disposizione non è per nulla concretizzata. Il ritmo è lineare, la storia persegue in maniera schematica e blanda i vari episodi più famosi che coinvolgono il personaggio, gli effetti visivi hanno perso qualsiasi prova del tempo, se mai siano stati accettabili anche allora. Un progetto ambizioso, realizzato per sfondare al botteghino e nella cultura popolare, nato dall’entusiasmo e dal clamore del successo de “La vita è bella” ma che non ha raggiunto i risultati prefissati: un fallimento.