La Trilogia Di Thor: Un Dio Del Tuono Difficile Nell’Universo Marvel

Thor Love and Thunder

Articolo pubblicato il 4 Luglio 2022 da Andrea Barone

Grazie a “Thor: Love And Thunder“, in uscita nei cinema mercoledì 6 Luglio, Thor sarà il primo personaggio ad aver raggiunto il numero di quattro film stand alone a lui dedicati nel Marvel Cinematic Universe! Per questa occasione, ripercorriamo le sue pellicole precedenti che hanno contribuito a svilupparlo e a far crescere la sua popolarità!

 

Si parte dalle origini con “Thor“, il quale vede per la prima volta l’apparizione del dio del Tuono negli schermi cinematografici, dopo che la cosa era stata annunciata nella post credit di “Iron Man 2“. La prima cosa che ci si ricorda del film è sicuramente il casting di Chris Hemsworth nel ruolo del protagonista, perfetto non solo dal punto di vista fisico, ma anche capace di gestire sia il lato drammatico che battagliero del personaggio (quest’ultimo è evidente anche nelle parti comiche che gli fanno da contrasto). Scelta perfetta anche quella di Tom Hiddleston nel ruolo di Loki, il quale riesce a dare al personaggio classe e regalità ma senza che mai quest’ultima copra la sensibilità evidente nei suoi occhi quando i momenti con i suoi parenti (ed in particolare Thor) si fanno più scottanti, che sia preoccupazione, rabbia o gelosia. E a proposito di questi elementi, curiosa è la scelta di Kenneth Branagh come regista del progetto, sia perché si tratta del suo primo blockbuster d’azione in assoluto e sia perché è la prima volta che un regista candidato all’oscar alla miglior regia tocca le redini di un film MCU.

 

Il grande amore di Branagh per Shakespeare è evidente in quest’opera, perché tutte le scene legate al regno di Asgard vengono da quella scuola: c’è la pericolosità dell’ambizione, la cecità legata alle glorie della battaglia e a delle proprie azioni contro la salvaguardia del popolo e della diplomazia, il danno dell’ego e della superbia, la gelosia delle attenzioni, progetti subdoli architettati nella stessa famiglia ai danni di altri ed il terrore di essere discriminati in quanto appartenenti ad un sangue diverso. Le attenzioni nei dettagli delle parti del corpo dei personaggi attraverso i loro movimenti o ai loro sguardi sottolineano la voglia dell’autore per il teatro e tutta questa drammaturgia aiuta molto la riuscita dell’opera. Tuttavia, i problemi arrivano quando l’attenzione viene spostata sulla Terra: va benissimo che ci siano delle scene divertenti (anche piuttosto riuscite) che mostrino un dio delle leggende nordiche che non riesce ad adattarsi bene all’ambiente quotidiano nostrano, ma la consapevolezza dei propri limiti che fanno conoscere all’eroe l’importanza dell’umiltà e l’importanza della protezione dei civili è un passo importante che non viene sviluppato, perché il rapporto tra lui ed i terrestri non è approfondito affinché vediamo bene in che modo abbiano potuto cambiare l’eroe.

 

 

Il film quindi sembra limitato in un recinto rappresentato dalla parte centrale sulla Terra, perché la rappresentazione del protagonista prima del cambiamento e quella dopo il cambiamento sono scritte ottimamente, ma la mancanza della gestione del cambiamento fa un po’ crollare quelle fondamenta che alla base sostengono una bellissima ed importante storia. Branagh sembra importarsene così poco del pianeta nostrano che le scene eleganti e ricercate viste ad Asgard spariscono quando sono ambientate in una normale cittadina, andando in uno stile più standardizzato. Tuttavia gli elementi positivi citati prima, a cui si aggiungono anche ottimi effetti visivi, bellissime scenografie ed il resto del cast ben gestito, rendono il primo capitolo del Dio del Tuono un risultato di certo dignitoso seppur non sopra la media dei cinecomic. Il film viene ben accolto dal pubblico e discretamente apprezzato dalla critica, ma la popolarità del personaggio sale decisamente di più quando esce “Avengers” che segna l’esplosione concreta del Marvel Cinematic Universe e a cui segue “Thor: The Dark World“, secondo capitolo stand alone sul personaggio.

 

Stavolta la pellicola viene affidata ad Alan Taylor, il quale però, nonostante delle sequenze discretamente dirette, non riesce a catturare l’intensità dei personaggi se non durante la morte della regina e nel rapporto tra Thor e Loki, probabilmente unica cosa realmente approfondita della pellicola che però non dura più di un quarto d’ora. Il resto del film infatti si dilunga inutilmente sulle azioni dei personaggi senza che queste incidano sulla loro caratterizzazione, nonostante la trama continui ad andare avanti in modo paradossalmente veloce. Le poche scene comiche sono tra le più inopportune ed illogiche mostrate nel MCU ed il villain è il più piatto e vuoto mai concepito, reso quasi letteralmente ad un mostro che si limita a dire “Vi odio e vi uccido tutti“. La regia può anche risultare accettabile e gli effetti visivi sono sempre ottimi, ma nell’opera sono comunque presenti errori di montaggio anche gravi dal punto di vista narrativo. Vengono anche presentate delle situazioni che poi non vengono più riprese (il triangolo tra Thor, Jane e Lady Sif su tutte), rendendo sempre di più il film una bolla che una volta esplosa non lascia nulla e di cui ne risente principalmente Natalie Portman la quale, a differenza del primo film, sembra sforzarsi di recitare in ogni singola inquadratura diversamente dagli altri attori, ma non sorprende dato che i personaggi terrestri escono ancora peggio del primo film.

 

L’unico elemento che, salvo sempre il rapporto tra Thor e Loki, ci si ricorda di questo film è la colonna sonora, la quale tira fuori uno dei temi più belli di tutta la saga musicato durante la morte di Frigga e della falsa morte di Loki. Il risultato finale comunque è purtroppo poco più che insufficiente ed è un vero spreco per quello che poteva essere un interessante nuovo cammino del personaggio. Nonostante il disprezzo della critica (da molti è considerato il più brutto film del MCU), l’opera sorprendentemente riesce ad essere il terzo film più visto di tutto l’universo cinematografico durante la sua uscita. Tutto però cambia quando al timone arriva Taika Waititi, autore che ha curato diverse commedie indipendenti prima di essere scelto da Kevin Feige come nuovo regista del dio del Tuono.

 

 

Waititi infatti destruttura completamente il personaggio, dandogli una componente action che sia contrapposta ad un continuo respiro di comicità anche demenziale in certi casi. L’obiettivo dell’autore è infatti quello di trasporre l’epicità dei fumetti di Jack Kirby attraverso scene spettacolari, le quali sembrano essere uscite da dipinti, che però siano poi alternate a momenti comici completamente diversi dagli standard Marvel che servono a ricordare non solo la leggerezza dell’eroe ma anche la sua fragilità: non è un caso che il Dio del tuono in questo film finisca infatti in una completa discarica e sia ridotto ad uno schiavo tanto da essere “ridicolizzato”. Nel cinema di Waititi, la commedia infatti avvicina di più l’essere umano a sé stesso ed è indubbio che la ripresa pittorica delle riprese, la frenesia musicale del montaggio e l’umorismo avente uno stile nuovo abbiano portato una grande boccata d’aria fresca nel MCU. Il film tratta, come tema centrale, l’importanza delle nostre azioni contro l’importanza della forma che non è ciò che per forza porta avanti non solo un popolo, ma anche l’individuo stesso: Asgard è infatti il simbolo di luce contro la dittatura rappresentata non solo da Hela, ma anche dal Gran Maestro che non ama dire la parola “schiavi” nonostante riduca le persone a combattere in un’arena per sempre.

 

Tuttavia, nonostante i concetti molto interessanti ed una tecnica mostruosa, l’opera ha numerosi problemi nel riuscire ad apparire compatta a causa di una quasi totale mancanza di equilibrio tra comicità e momenti seri, perché il regista non sembra riuscire ad alternare i due elementi, o anche solo a velare delle basi profonde in scene che vogliono apparire divertenti ma che a volte appaiono anche inopportune nel loro eccesso. Di questo ne risente soprattutto la caratterizzazione dei personaggi: Loki appare confuso, Hela (seppure interpretata da una magnifica Cate Blanchett) è un villain banale e per nulla stratificato, Hulk è nella sua peggiore reincarnazione cinematografica di sempre (può essere ignorante, ma non stupido) e metà degli amici di Thor sono letteralmente cancellati dal film con lo sputo, così come il rapporto tra Thor e Jane (ok che Natalie Portman non è voluta tornare, ma il modo in cui è stata gestita la cosa non è fattibile). Inoltre il film è lento a proseguire con gli eventi che dovrebbero essere più importanti (la continua caduta di Asgard) e si dilunga in momenti che possono essere anche divertenti ma che appesantiscono la narrazione, perché Thor ci mette letteralmente quasi tutto il lungometraggio per tornare davvero su Asgard e le cose quindi diversamente si smuovono.

 

Per quanto sia un film dalla forte impronta autoriale e con dei concetti molto intelligenti alla base, i numerosi difetti di “Thor: Ragnarok” ci impediscono di considerarlo un film riuscito, seppur gestito molto meglio del secondo capitolo. Il pubblico e la critica internazionale non è però d’accordo con noi, dato che il film da entrambe le parti è diventato uno dei più grandi successi del Marvel Cinematic Universe. In questa interessante trilogia manca ancora però quel capitolo che possa sfruttare a pieno le potenzialità di Thor (cosa che è stata gestita meglio nei crossover) e speriamo che il ritorno di Taika Waititi con “Thor: Love And Thunder” dia quella marcia in più che da tanto tempo attendiamo.