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L’Antica Roma Al Cinema: Brian Di Nazareth (1979)

La vita e le vicende di Gesù, raccontate nei vangeli, rielaborate in chiave di commedia dai Monty Phython. Nell’articolo l’analisi del film.
Brian di Nazareth

Brian di Nazareth (“Life of Brian” in originale) è il secondo film in ordine cronologico dei Monty Python (Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin), leggendario gruppo comico di stampo surrealista britannico che tramite tv, cinema e teatro ha segnato indelebilmente il panorama della commedia.

 

Inserire questo film all’interno di questa rubrica può sembrare un gesto incoerente rispetto agli altri titoli che sono stati proposti, tuttavia, se si è in grado di non fare sterili distinguo solo sulla base del genere di appartenenza di un’opera e di analizzarne a fondo significato e riferimenti culturali allora, ci si renderà facilmente conto di come “Brian di Nazareth” (diretto da Terry Jones ma che all’atto pratico sembra lasciare pochi dubbi riguardo anche la partecipazione di un Terry Gilliam non ufficialmente accreditato) per la sua strabiliante polivalenza e densità semantica sia in grado di calvare i decenni e le rigide classificazioni con la leggiadria di un acrobata.

 

Il film si svolge nella Giudea di biblica memoria e narra la storia di Brian, goffo e impreparato alter-ego di Gesù di Nazareth, il quale sarà suo malgrado invischiato in una serie di peripezie e trame ben al di là della sua comprensione o del suo interesse.

 

 

Impossibile non partire nell’analisi di questa straordinaria opera dai valori più prettamente artistici. Fin dai titoli di testa l’esuberanza del dissacrante gruppo inglese straborda veicolata dalle meravigliose illustrazioni di Terry Gilliam, chiarendo fin dall’inizio l’approccio chiaramente ateo dell’operazione. Pur tuttavia limitarsi a leggere quest’opera soltanto tramite il filtro di una pur presente spietata critica alla religione sarebbe colpevolmente riduttivo. Ad essere mirino di questa caustica e spietata satira sono infatti le sgangherate innovazioni portate avanti dai progressisti (sarebbe interessante recepire la reazione di un pubblico moderno al personaggio di Loretta), la disorganizzazione e cialtronesca frammentazione ad libitum dei microscopici gruppi di sinistra così detta “rivoluzionaria”, guidati da leader molto più ben disposti a sacrificare loro commilitoni che invece il loro stesso ego e infine il sostrato di lassismo e involontaria comicità che ammanta tutti i regimi autoritari.

 

Il film, come anche sostanzialmente tutta la produzione dei Monty Python, sbalordisce ogni volta per il suo eclettismo e la sua imprevedibilità frutto entrambi del cristallino libero pensiero che ha sempre caratterizzato tutti i membri del gruppo, generando una delle più profonde e immortali lezioni di sociologia applicata al cinema che si siano mai viste. La volontà di affrontare con ironico disincanto tutti i luoghi comuni e le ridicole convinzioni che sostengono le traballanti ideologie umane è ammirevole e rende l’opera tutt’ora attuale e non soltanto un documento che si interfaccia con il periodo storico in cui il film uscì.

 

A sostenere tutto questo impianto politico (ma non partitico) e metaforico vi è l’irresistibile comicità dei geni inglesi che, sulla scia delle già meravigliose gag di “Monty Python e il Sacro Graal” imbastiscono una situazione assurda dopo l’altra senza lasciare allo spettatore nemmeno il tempo per asciugarsi le lacrime scaturite dal tanto ridere. Ecco dunque che qui risiede l’unicità e l’irripetibilità di ciò che è stato, e che continua ad essere, il cinema dei Monty Python: la perfetta ed equilibrata commistione tra fantasia sfrenata e profonda rielaborazione delle dinamiche umane.