Articolo pubblicato il 10 Dicembre 2022 da Alessio Minorenti
All’annuncio che David Cronenberg sarebbe tornato a misurarsi con il genere da lui inventato (l’ormai arcinoto tra gli appassionati “body horror”) un misto di esaltazione, seguito da una punta di sana diffidenza o se volete preoccupazione, ha colto tutti gli amanti del genio canadese. La paura che serpeggiava nel cuore di molti era questa potesse essere soltanto una mossa commerciale messa in atto dall’artista per riaccendere l’attenzione di un pubblico di vecchi appassionati nei confronti del suo operato e che questo film fosse solo il viatico per ottenere fondi in vista di progetti futuri.
Ebbene “Crimes of the future” spazza via agevolmente tutti questi dubbi e si posiziona, per chi scrive, tra le vette di questo 2022 cinematografico, testimoniando come Cronenberg non abbia perso nemmeno un’unghia del suo originale smalto.
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Recensire un’opera così stratificata, complessa, multiforme è compito assai arduo e come per tutte le precedenti pellicole del regista canadese soltanto continue revisioni e analisi saranno in grado di sviscerarla fino all’ultimo dettaglio.
Partiamo col notare come la cifra estetica di Cronenberg risulti forse più innovativa se applicata al cinema contemporaneo rispetto che a quello di trenta o quaranta anni fa. La lordura, il marcio, il deforme estremamente tangibili in senso analogico e viscerale nel suo cinema vanno in totale contrapposizione con un cinema horror/sci-fi odierno sempre più patinato e interessato alla superfice. Questa pellicola invece, come sempre nel cinema del visionario regista canadese, si immerge nel torbido, va in profondità, dissacra il tempio del corpo umano, lo mutila, lo umilia fino a farlo risorgere (emblematica in tal senso l’ultimo fotogramma della pellicola). E’ un tipo di fare arte tattile e estremamente celebrale, in cui non si fa fatica ad associare i continui e meravigliosi monologhi riguardanti il rapporto tra evoluzione del corpo, arte e esistenzialismo con la proliferazione di nuovi organi-tumore all’interno del corpo del protagonista.
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La trama poi, pur essendo un aspetto se non residuale sicuramente secondario in questo film, si muove in modo non lineare e, come avveniva anche ne “Il pasto nudo”, siamo quasi ai limiti dell’ipercinema (come teorizzato da Canova) per quanto riguarda il dipanarsi degli eventi e la possibilità per lo spettatore di agganciarsi al flusso di immagini sullo schermo in praticamente qualsiasi punto senza che questo ne pregiudichi la comprensione, o in questo caso sarebbe meglio dire la non-comprensione, del testo.
Sfuggente, ipnotico, carnale, futuristico, il cinema di David Cronenberg costituisce da sempre un percorso stimolante ed estremamente indipendente all’interno del panorama cinematografico di ogni epoca e trova nella sua inossidabile anarchia e spregiudicatezza la base per la sua immortalità o se si vuole continua rinascita.