Watcher: Guardare Chi Osserva

Articolo pubblicato il 17 Settembre 2022 da Carmine Marzano

Bucarest, capitale della Romania, Julia (Maika Mornoe), assieme al suo marito Francis (Karl Glusman), vi si trasferisce da New York, a causa di motivi professionali riguardanti il coniuge, scegliendo come dimora un appartamento situato in un complesso condominiale. Le ore di lontananza di Francis per lavoro e la non conoscenza della lingua rumena, fanno che Julia si trovi per lo più sola, cosa a cui cerca di ovviare, facendo conoscenza con i vicini e percorrendo le vie della città, in modo da familiarizzare con il posto in cui si trova. Nelle ore serali e notturne, Julia fissa le finestre di fronte, focalizzandosi sulla quarta a sinistra, in cui intravede tra le tende una sagoma che l’osserva; verità o solo auto-suggestione?
Su questa ambivalenza si muove Chloe Okuno, – al suo debutto in un lungometraggio, avendo diretto in precedenza solo uno spezzone del film antologico V/H/S/94 del 2021 -, partendo sia dal titolo dell’opera, Watcher (2022), che tradotto significa sia “colui che guarda/osserva”, ma separando le due parole si ottiene “watch her” cioè “guarda/osserva lei”, giocando sul concetto di “guardare chi osserva”, in un rimando di superfici trasparenti – come l’oblò su una porta o i due specchi nell’ascensore -, le cui immagini rimbalzando su di esse, ritornano indietro, costruendo un meccanismo di paranoia, che complice la novità del luogo, manda in crisi di ansia Julia.
Non c’è nulla che non sia già risaputo o già visto dal punto di vista tecnico e narrativo in Watcher, d’altronde è un qualcosa in un certo senso anche voluto, dichiarando sin da subito Polanski e Hitchcock come modelli di riferimento a livello “scheletrico”, non perseguendo nè nuove strade all’interno del genere, nè architettare una trama giallo-investigativa robusta, essendo noto sin da subito sia l’identità dell’osservatore sia l’epilogo conclusivo da cui si cerca di sviare puntando sul fatto che risulti troppo ovvio, rompendo in tale modo quel senso di mistero ed oppressione attorno alla figura del “watcher”, limitandosi a giocare le carte a disposizione puntando su una prospettiva femminile e l’ambientazione di Bucarest.

La capitale rumena giocoforza impone una nuova prospettiva spaziale, che la cinematograficamente iconica, ma ben più abusata New York, non è in grado di offrire, seppur nella sua versatilità moderna quanto ariosa, mentre Bucarest in quanto città dell’Est Europa, ha quel senso di oppressione che manca nelle città di oltreoceano; claustrofobica, decadente, brutale, compressa e diversificata in vari mondi suburbani racchiusi al proprio interno come in un gioco di scatole cinesi, dove i condomini portano sulle facciate il segno del tempo e gli ascensori ancora strutturati con un legno oramai consumato dallo scorrere dei decenni.
Bucarest però è uno sfondo più che un comprimario, mentre Okuno pur mostrando di aver visto una miriade di volte i classici del genere, mutuandone il modo di costruire la tensione sulle inquadrature e su un montaggio sull’asse, manca di incisività nel porre in essere una sovra-struttura metafisica/meta-cinematografica, che s’intravede solo nel guizzo dell’inquadratura finale. Il gioco narrativo nonostante durata di 96’ minuti, alla media distanza mostra subito i segni di schemi già visti e rivisti, solo declinati nella chiave moderna del “Me Too”, partendo dalla polizia che tratta l’accaduto come un malinteso e finendo con Francis, che ovviamente non le crede (mentre la vicina di casa Irina si), pensando che sia solo una mera paranoia passeggera dettata dal trasferimento, con tanto di pedanti ritorni di sceneggiatura, per sottolineare ulteriormente come il marito/maschio la prenda in giro, trattando la questione del “watcher” come uno scherzo, con cui divertirsi nei confronti di una moglie/bambina.

Eppure la scelta Maika Mornoe nel ruolo principale risulta azzeccata, reggendo su di sé gran parte dei turbamenti psicologici di Julia, inopportunamente oggetto di attenzioni non richieste, ma lo stato di terrore, viene messo in scena spesso con una costruzione didascalica della paranoia, disperdendone in parte il potenziale.
In questo caso oltre che ad Alfred Hitchcock, si sarebbe dovuto guardare alla schiera di opere sorte sulla scia dei suoi capolavori da parte di altri registi; tipo il film visionato da Julia nella sala cinematografica, Sciarada di Stanley Donen (1963), opera che si ispira alle opere del maestro inglese trovando la sua originalità nel mescolare giallo, investigazione, commedia e rosa; ma il sospetto non provato, riguarda il fatto che Okuno abbia scelto quel film, non tanto per comunanze narrative – Regina Lampert come Julia non si ritrova perseguitata e non creduta dalla polizia – o per ribadire la dignità di un’opera derivativa purché abbia identità, ma solo per lanciare un messaggio ideologico femminista giocando di raffronto; la Julia di Maika Monroe a differenza della Regina Lampert di Audrey Hepburn, non ha bisogno del “cavaliere” maschile alla Cary Grant per essere salvata dal predatore, visto che può farcela con le sue forze.
Conclusione ineccepibile, dopo 60 anni è anche ora di nuove prospettive all’interno del genere, però c’è solo un problema; Sciarada offrirà anche una visione “debole” della donna (la quale però alla fine si sposa Cary Grant e prende il mezzo milione di dollari… forse Audrey Hepburn nel fare la damigella in pericola ha ottenuto quel che voleva), ma dopo decenni lo si ammira ancora in quanto ottimo film con una sua identità precisa, mentre il non del tutto disprezzabile Watcher, nel suo urlare di essere progressista a tutti i costi, si dimentichi di inserire il suo messaggio in una costruzione cinematografica soddisfacente.

Voto:
2.5/5
Andrea Barone
0/5
Andrea Boggione
0/5
Christian D'Avanzo
0/5
Carlo Iarossi
0/5
Paolo Innocenti
3.5/5
Alessio Minorenti
2.5/5
Paola Perri
0/5
Giovanni Urgnani
0/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

PRO