Articolo pubblicato il 21 Febbraio 2023 da Carlo Iarossi
Presentato in concorso alla 79° edizione d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore a sorpresa del Leone d’oro, “All the beauty and the bloodshed” è il sesto lungometraggio documentaristico della regista statunitense Laura Poitras e si incentra sulla lotta portata avanti dalla fotografa Nan Goldin nei confronti della famiglia Sackler, proprietaria fino alla bancarotta del 2019 del colosso farmaceutico Purdue Pharma che, attraverso vari stratagemmi spesso ai limiti o oltre il dominio della legalità, ha distribuito ossicodone a milioni di americani conducendo molti dei pazienti alla dipendenza da questa sostanza e successivamente ad una prematura di dipartita. Nel prendere in esame tutto ciò che c’è da sapere a proposito del film, è indicata di seguito la recensione di All the beauty and the Bloodshed.

La trama di All the Beauty and the Bloodshed
Primo elemento da prendere in considerazione, relativamente alla recensione di All the Beauty and the Blooshed, riguarda la trama del prodotto cinematografico del 2022, diretto dalla regista e produttrice cinematografica statunitense Laura Poitras, già vincitrice del Premio Oscar 2015 per il suo documentario Citizenfour. Il film è narrato seguendo due filoni narrativi principali: uno vede Nan Goldin crescere nel corso della vita e farsi largo, non senza difficoltà o esperienze a dir poco traumatiche (come la dipendenza da ossicodone o un’overdose alla quale miracolosamente sopravvive), all’interno del mondo dell’attivismo per i diritti femminili e della fotografia.
L’altra strada maestra che questa pellicola intraprende riguarda invece la vera e propria battaglia militante condotta fino al suo termine dalla Goldin e il suo gruppo di attivisti P.A.I.N. (Prescription addiction intervention now) contro la causa farmaceutica sopracitata.
La recensione di All the Beauty and the Bloodshed e il pregio documentaristico della realtà
Il materiale narrativo da cui la vicenda del film All the Beauty and the Bloodshed prende spunto è senz’altro notevole e il merito principale della Poitras, come anche accaduto con il suo celebre “Citizenfour” – che rivelò al mondo la figura di Edward Snowden -, sta nella sua abilità nel documentare il corso degli eventi narrati contemporaneamente al loro svolgimento. Questo metodo di documentare la realtà adottato dalla Poitras è spesso più coinvolgente e imprevedibile di quello che invece va ad analizzare eventi passati e che richiede alla sua base anche un vasto lavoro di catalogazione e consultazione delle fonti, ma tuttavia presenta nella sua natura un rischio dal quale capita che i registi non riescano a divincolarsi.
I rischi del film di Laura Poitras e la vittoria al Festival di Venezia
Nell’evidenziare i rischi di All the Beauty and the Bloodshed, nuovo film di Laura Poitras che ha ottenuto una storica vittoria al Festival di Venezia 2022, vale la pena partire da una considerazione preliminare: è complesso tenere le redini, artisticamente parlando, di una narrazione che va dipanandosi sotto i propri occhi. Esempio magistrale in tal senso è il documentario rumeno del 2019 “Colectiv”, la cui troupe, partendo dalla semplice documentazione della vita quotidiana della redazione di un giornale, si trovò invischiata in un enorme caso di corruzione riguardo la sanità pubblica rumena al seguito delle cure insufficienti, che costarono la vita a decine di cittadini, prestate ai partecipanti ad un concerto tenutosi in un locale nel quale scoppiò un incendio.

La Poitras in “All the Beauty and the Bloodshed” vorrebbe invece tracciare dei parallelismi tra la fotografia di Nan Goldin, la sua infanzia, il modo in cui una tragedia personale a lei avvenuta funge da innesco per scatenare la sua lotta contro una ingiustizia sociale, le connessioni tra le modalità in cui lo sguardo dell’uomo sulla donna nelle arti visive riflette la sopraffazione del maschile sul femminile nella società e come le grandi lobby americane abbiano come personale usbergo il sistema giudiziario statunitense.
Questa fitta rete di tematiche purtroppo finisce per risultare poco incisiva nel suo complesso e la forte impressione è che la Poitras non sia stata in grado fino in fondo a manipolare il materiale a sua disposizione. Vien da pensare dunque che, più che per una forma artistica raffinata, il film abbia ricevuto il massimo riconoscimento all’ultima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia per il suo forte impatto emotivo e per la rilevenza, personale e politica, della storia trasposta su schermo.