Articolo pubblicato il 17 Aprile 2024 da Giovanni Urgnani
Blonde è un film Netflix del 2022 scritto e diretto da Andrew Dominik (L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford). Presentato in concorso alla 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dal 28 settembre è disponibile su Netflix. Nel cast figurano Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby Cannavale, Xavier Samuel, Julianne Nicholson, Lily Fisher. Ecco tutto ciò che c’è da sapere a proposito della recensione su Blonde, il nuovo film Netflix su Marilyn Monroe, interpretata da Ana De Armas.
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Trama di Blonde, il nuovo film su Marilyn Monroe
Tratto dal romanzo di successo di Joyce Carol Oates del 1999, Blonde ripercorre audacemente la vita di una delle icone intramontabili di Hollywood, Marilyn Monroe (qui interpretata da Ana De Armas). Dalla sua infanzia precaria come Norma Jeane, fino alla sua ascesa alla fama e agli intrecci sentimentali, Blonde confonde i confini tra realtà e finzione per esplorare la crescente divisione tra il suo io pubblico e quello privato.
La recensione di Blonde, il nuovo film Netflix con Ana de Armas
Nel prendere in considerazione la recensione di Blonde, dopo aver sottolineato la sua trama, non si può prescindere dall’elemento fondamentale che anima la pellicola: Dominik decide arbitrariamente di dare sfogo al malessere vissuto da Marilyn Monroe realizzando un’opera totalmente onirica. Il viaggio a cui lo spettatore si presta, è interno al subconscio dell’attrice, mescolando i ricordi di una vita in sofferenza. L’intento potrebbe anche sembrare autentico, moralmente interessante; eppure ciò che ne consegue è un susseguirsi di scelte sbagliate sia tecnicamente che narrativamente, decostruendo (ma senza costruire, cosa c’è da decostruire?) e montando gli attimi più importanti ed incisivi ripercorsi dalla Monroe – Dominik.
E non a caso, chi scrive, inserisce il cognome del regista di fianco a quello della protagonista, siccome tutto verte sul mero esercizio di stile dell’ego pseudo-autoriale, per giunta mal fatto. Si decide di rendere visivamente lo spaesamento con scelte tecniche discutibili e senza una vera funzionalità: a che pro cambiare aspect ratio e fotografia, tra colori e bianco e nero? Non c’è mai una chiara presa di posizione sull’utilizzo differente che se ne fa, risultando stucchevole e finto, si comprende benissimo che si sta vedendo un film tanto che le immagini ingombrano lo spazio. E per l’appunto, l’immagine è schiava, ingabbiata dalla post-produzione che la rende dilatata, contorta, sformata, grottesca a seconda del tocco surrealista che gli si è voluto dare. Anche produttivamente c’è un problema legato alla scelta della durata: erano davvero necessari i 167 minuti? Non si poteva evitare di rendere ogni dialogo inutilmente dilatato così come i tempi di inquadratura? Per chi scrive, la risposta è sì. Il target a cui fa riferimento poi? La lentezza narrativa e la sua finta atmosfera alla Mulholland Drive, senza una qualsivoglia complessità o stratificazione di eventi buttati arrendevolmente su schermo, denotano una mancanza di idee in tal senso.
Tutti gli errori presenti nel film Netflix Blonde
Sulla precedente base, si può essere più consci degli errori presenti nel film Netflix Blonde. Dov’è la vera denuncia ad Hollywood? Dove si analizza lucidamente il marcio che ha catapultato Norma/Marilyn all’inferno? Non pervenuti. Ecco, non è per il grande pubblico, e probabilmente risulterà diviso tra gli appassionati, studiosi e critici. Allora diventa evidente il goffo tentativo di diversificarsi rispetto agli standard dei film biografici, mettendo in scena un simil-horror torture porn che risulta però misogino per il kitsch e il ridimensionamento della Monroe, banalmente ridotta a vittima di qualsiasi uomo sulla faccia della Terra, nonché di sé stessa; Marilyn è una maschera, il personaggio della bionda scriteriata, ma in realtà Norma era una donna intelligente seppur fragile.
Peccato che questo elemento venga fatto presente didascalicamente con il voice-over perlopiù, al massimo lo ripeterà a sé la stessa Norma/Marilyn, ma non ci sarà mai tentativo di ricerca che scavi realmente nel profondo dell’Io della protagonista. Il continuo pensiero che ha preoccupato Dominik e i suoi collaboratori, è stato quello di scioccare lo spettatore: con le violenze a cui Marilyn reagisce piangendo (ma ciò non basta a fare un film di denuncia), e che faccia tutto ciò che fa per il successo; e quando è Norma e non Marilyn, tra le altre cose, non c’è una diversificazione comportamentale se non la citazione di autori russi quali Dostoevskij e Čechov o un suggerimento ad una sceneggiatura di Arthur Miller (Adrien Brody). Lo shock è ulteriormente rincarato da immagini e sequenze con protagonisti gli organi riproduttori: da una parte quello maschile mostrato esternamente, dall’altra quello femminile ripreso internamente con delle ineleganti soggettive; vi è anche la riproduzione in CGI di un feto, anche morente purtroppo. Il tutto è eccessivo, di cattivo gusto, ed ottiene l’effetto contrario di quel che vorrebbe comunicare.
A poco serve mostrare tutti gli uomini negativamente mostrando e troncando sequenze in cui Marilyn è la vittima, prima di Charlie Chaplin Jr. che la abbandona a sé stessa, poi di Joe DiMaggio (Bobby Cannavale) che si dimostra un marito geloso e violento, Arthur Miller che prima sembra darle la felicità e poi la rovina data l’interruzione forzata della gravidanza, e il presidente Kennedy, schivo e volgare. Sul tono nel film nasce un ulteriore problema: sembra tutto soggettivo, essendo ancorata la macchina da presa al punto di vista della Monroe (d’altronde è la sua mente, il suo subconscio), come faccio a prendere le parti di Norma se ogni evento sembra frutto di un’allucinazione? Bastava alternare la realtà soggettiva che nasconde quello che sta aldilà del punto di vista di chi guarda, con eventi dotati di maggiore concretezza. Il finale non è altro che una chiusura dilatata nei tempi, forzata negli intenti, timido approccio ad un’altrimenti rischiosa presa di posizione; e si ricollega ad un fil rouge che ci accompagna per tutto il film, ossia l’identità del padre di Norma.
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In conclusione: il fallimento del progetto Blonde con Ana De Armas
Blonde cade nei formalismi, nel vano tentativo di portare morale laddove non realmente sentita, si inceppa nell’onirico dei ricordi risultando vacuo nei suoi pedanti 167 minuti. Fortemente contraddittorio, erroneamente misogino, con una messa in scena capace di chiudere spazi alla bravura di Ana De Armas, qui inconsapevolmente oscurata da scrittura sciatta e da una regia senza idee. Per chi scrive, stiamo parlando di uno dei peggiori film dell’anno a mani basse, condito da un cattivo gusto che poteva essere perdonato per ingenuità, come in altre opere mal riuscite con protagonisti inventati (Titane, qualsiasi film di Gaspar Noè), ma qui si tocca il fondo, e a farne le spese è anche la figura di Marilyn Monroe.
Se si vuole assistere ad un film (biopic) in cui la maschera opprime la persona che c’è dietro, allora è consigliata caldamente la visione di Spencer di Pablo Larraìn, intellettualmente onesto e costruito con un forte impianto grottesco e claustrofobico, in cui la figura femminile ha una vera riflessione. Blonde, purtroppo, non ci è mai andato nemmeno vicino, fallendo inesorabilmente su tutti i fronti.