Articolo pubblicato il 5 Ottobre 2022 da Giovanni Urgnani
Sfruttando l’elegante immagine di uno dei figli della notte più amati, che riconosce la sua icona indiscussa nel personaggio del Conte Dracula, il grande cinema ha saputo regalare veri capolavori della Settima Arte. Fin dall’intramontabile “Nosferatu il vampiro” di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922, arrivando 70 anni dopo al “Dracula, di Bram Stoker” diretto da Francis Ford Coppola, passando per “Nosferatu – il principe della notte” di Werner Herzog del 1979, la tormentata e seducente figura del Vampiro sul grande schermo ha sempre conquistato ed affascinato maggiormente l’immaginario collettivo per il suo romanticismo, per i suoi tratti più drammatici e sentimentali.
È poi vero che la storia del cinema non si è limitata a riproporre sempre e solo la stessa storia, se pur con visioni autoriali differenti – i capolavori sopracitati e molti altri film si ispirano infatti sempre allo stesso racconto dello scrittore irlandese Bram Stoker, più o meno ufficialmente – ma ha saputo anche intraprendere un processo di differenziazione e di modernizzazione della figura vampiresca. Soprattutto dopo il travolgente successo di critica e pubblico dello splendido film di F. F. Coppola del 1992, la figura del vampiro è entrata sempre più nella cultura pop, aggiornando l’emblema succhia sangue con abiti sempre nuovi e diversi tra loro.
I film di maggiore successo che hanno trattato la figura del vampiro
Già nel ’95 si assiste al peculiare binomio tra la versione più tradizionale di horror-drama con “The Addiction – Vampiri a New York” di Abel Ferrara e quella più comica e sfrontata di “Dracula morto e contento”, diretto dall’irriverente Mel Brooks. Solo un anno più tardi Quentin Tarantino scriverà la sceneggiatura di “Dal tramonto all’alba” diretto poi da Robert Rodriguez, impregnando su carta la sua penna autoriale grottescamente pulp. Al termine del millennio nel 1998, si continuerà per una via più action ed adrenalinica, presentando l’horror a tinte western “Vampires” di John Carpenter e iniziando di fatto la nuova era dei cinecomic Marvel con “Blade” di Stephen Norrington.
Senza scomodare inutili paragoni, o fare elenco degli innumerevoli film sui “figli della notte”, si fa un leggero salto in avanti nel tempo fino al 2008, anno in cui escono altre 2 pellicole che riportano – a modo loro – la figura vampiresca ai tratti più drammatici e sentimentali: “Twilight” di Catherine Hardwicke e lo svedese “Lasciami Entrare”. Sorvolando sull’opera cinematografica più celebre, quello che merita maggior attenzione fra i due resta sicuramente il titolo nordeuropeo, dal quale è stato poi realizzato nel 2010 un remake in lingua inglese dal titolo “Blood Story” e diretto da Matt Reeves.
L’opera prima del regista svedese Tomas Alfredson, che adatta l’omonimo romanzo (best seller in patria) di John Ajvide Lindqvist, viene infatti indirizzata verso questo stesso processo di modernizzazione della sanguinosa icona letteraria e cinematografica, invertendone – o quantomeno deviandone – la “condanna”…ma a questo si arriverà in seguito nell’articolo. Per il momento viene semplicemente introdotta la trama di “Lasciami Entrare”, o meglio “Låt den rätte komma in” in lingua originale, che si potrebbe più correttamente tradurre con “Fai entrare quello giusto” facendo riferimento alla caratteristica attribuita ai vampiri dalla cultura popolare secondo cui non possono entrare in una casa se non espressamente invitati a farlo. Ma a chi ci si riferisce con l’espressione “quello giusto”?
La trama di Lasciami Entrare di Tomas Alfredson

Il film Lasciami Entrare di Tomas Alfredson racconta la toccante e forte amicizia (o forse qualcosa di più) nata nella nevosa periferia della Stoccolma del 1981 tra i giovani Oskar ed Eli, tanto diversi quanto “maledettamente” simili. Il primo è un ragazzino di 12 anni abbandonato di fatto dai genitori assenti alla sua natura introversa, timida ed innocentemente “strana”, il che lo rende un bersaglio perfetto per i bulli della sua scuola. Lei…o meglio Eli…è una ragazza apparentemente coetanea di Oskar, trasferitasi da poco nel suo quartiere insieme ad un uomo di mezza età di nome Hakan.
Condividendo il loro smarrimento interiore, le insicurezze e la solitudine, i due iniziano ad intrecciare fin da subito un intenso rapporto, con Oskar che riesce a trovare nella compagnia di Eli un rifugio sicuro in cui voler stare, e lei che gli infonde il coraggio e la determinazione necessari per contrastare gli episodi di bullismo. Tuttavia nella cittadina si stanno consumando nel frattempo efferati delitti…e la bambina sembrerebbe nascondere un mostruoso segreto.
La Recensione di Lasciami Entrare: il coming of age dei figli della notte

Come già accennato, Alfredson ritratteggia la condanna/la maledizione vampiresca dell’essere costretti a nutrirsi di sangue, di non poter uscire se non all’ombra della luna e di essere destinati a perdere i propri cari attraverso i secoli, facendo incontrare in “Lasciami entrare” un nuovo e terrificante ostacolo: la società in cui viviamo.
La condanna diventa quella di vivere in una comunità, in un ambiente socio-politico spietato ed insensibile che tende ad isolarsi e ad emarginare i più deboli…primi su tutti i giovani. Non troppo velata la metafora sul bisogno “vorace” dei figli nei confronti dei loro genitori, o comunque di figure paterne che possano dare loro sostentamento e sicurezza, perdendo di fatto la linfa vitale una volta che queste figure vengono a mancare ed inciampando in errori di gioventù (a volte irreparabili) nel tentativo di procurarsela. Rimanendo fedele all’ambiente circostante Anderson mostra, all’interno di una storia tanto tenera quanto crudele, rapporti umani freddi e distaccati, adulti inetti, terribilmente viziosi e molto distanti dalla figura di guida per le nuove generazioni.
Abbandonati a se stessi, i nuovi “reietti” si sentono insicuri e rabbiosi; alcuni si trasformano allo stesso tempo in vittime e carnefici dai denti aguzzi, mentre altri impugnando un coltello desiderano vendetta verso i propri bulli. Abbandonati a se stessi, la società condanna le sue vittime a trasformarsi in un vampiro bisognoso di sangue e destinato a rimanere piccolo ed insicuro per sempre. Questo horror-drama svedese si mostra effettivamente come un vero e proprio comin-of-age, una “richiesta di ingresso” da parte di Oskar alla vita, all’età adulta, che passa attraverso l’amore, la morte e la riscoperta di sé, sperimentando il diverso e stringendo un rapporto interpersonale che riscalda la neve insanguinata di una gelida Svezia nel suo pieno inverno. Una luce di speranza si accende poi nel finale per le nuove generazioni: la speranza che effettivamente gli adulti possano non servire, che serva semplicemente la persona giusta per riuscire a migliorarsi, a crescere. Perché sì, insieme si è più forti…una luce che tuttavia potrebbe scaldare troppo e risultare pericolosa, arrivando a bruciare la pelle se si presta poca attenzione
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La Recensione di Lasciami Entrare: un orrore violento, delicato e sensibile

Tristezza, malinconia e romanticismo…ma anche molto sangue che scorre lentamente e macchia candida neve. Sebbene infatti la scelta primaria del regista sia quella di ammantare i protagonisti di proverbiale e crudele delicatezza – lavorando per sottrazione per enfatizzare il poco/non detto – è anche vero che non mancano torture, feroci assalti, smembramenti e persone arse vive, nonostante tali sequenze vengano messe in scena con eleganza ed una certa sensibilità, senza mai abbandonare l’inquietudine e l’orrore.
Con un budget stimato che non raggiunge i 4 milioni $, la regia di Anderson in “Lasciami Entrare” è abile nel muoversi con intelligenti trovate che permettono di visionare, in poche occasioni, effetti speciali di ottima fattura che catturano il primo piano. Il resto di molte altre sequenze di difficile realizzazione viene invece furbamente lasciato fuori campo, senza abbandonare la perizia nella costruzione della scena che permette allo spettatore di ben immaginare il non visibile (prefinale magistrale).
Sfruttando l’ottima fotografia di Hoyte van Hoytema, il realismo degli effetti speciali resta la macchia di inchiostro sbavata sul foglio di una messa in scena talmente plumbea e glaciale da sembrare onirica, estraniante, con Anderson che si diverte a giocare con i contrasti: dal freddo pudore della neve al bestiale calore del fuoco, dal latte (materno) al sangue, non risparmiando nemmeno le voci dei protagonisti, pronte a trasformarsi da esili ed impaurite a decise e demoniache.
Le sequenze orrorifiche più di intrattenimento aiutano a scuotere il ritmo di un montaggio che si prende giustamente i suoi tempi per sviscerare al meglio il focus centrale di “Lasciami entrare”, ovvero il rapporto tra i due protagonisti. Davvero ottima la prova dei giovani Kåre Hedebrant (Oskar) e Lina Leandersson (Eli), dalla giusta chimica per regalare interpretazioni intense e dal giusto dosaggio di emozioni, per il quale corre in soccorso anche la sceneggiatura di Lindqvist (l’autore del romanzo). Il loro rapporto infantile, di solidarietà e di amore asessuato e prepuberale (emblematica una scena in particolare), si contrappone perfettamente agli altri rapporti umani violenti, misogini e viziosi descritti e mostrati tra gli altri personaggi.
Una richiesta di aiuto, di accesso, di vicinanza, che si ripete per tutta la durata dei 114 min sulle suggestive note della colonna sonora di Johan Soderqvist.
