Ciclo Orson Welles – Recensione – Il Processo: Sospesi In Un Assurdo Surreale

Recensione del film Il Processo di Orson Welles, migliori film di Orson Welles

Articolo pubblicato il 15 Maggio 2023 da Bruno Santini

In tutta la carriera del regista c’è un altro film di Orson Welles oltre al leggendario Quarto Potere (1941), a non aver avuto problemi produttivi ed in fase di montaggio, potendo anche contare su un budget finalmente decente (poco più di 1 milione): questa pellicola è Il Processo (1962), che è quindi un film 100% del regista. 

L’adattamento del libro di Kafka e la fedeltà al romanzo

 

Il Processo di Orson Welles non è un film che rispecchia fedelmente la trama del libro di Kafka, anche perché sarebbe stato impossibile un adattamento fedele all’opera originale, dato lo stile complesso adoperato dallo scrittore cecoslovacco, con tanto di narrazione tramite monologo interiore del protagonista.

 

Però, la fedeltà al libro non è un elemento da prendere in considerazione nel valutare una pellicola, ma al massimo, se proprio si vuole considerare l’opera cartacea, c’è da dire che Welles è stato fedele allo “spirito teorico” del romanzo, traendo da esso un adattamento cinematografico originale, in cui presenta spunti di riflessione legati anche all’attualità del suo tempo.

 

Orson Welles si disinteressa alla logica narrativa degli eventi narrati, che non trovano razionalità alcuna, se letti alla luce dei rapporti causa-effetto, d’altronde il regista è onesto nell’inserire un racconto diegetico iniziale, che farà capire subito allo spettatore di trovarsi innanzi ad una narrazione per nulla classica

 

La Trama del Processo di Orson Welles

 

Josef K. (Anthony Perkins) è un borghese dell’esistenza tranquilla, con un impiego d’ufficio rispettabile. Finché un giorno al suo risveglio si ritrova in camera sua degli agenti di polizia, che gli dicono che è in arresto, senza però rivelargli né la gravità del reato, né tantomeno i capi d’accusa.

Le risposte alle domande del signor K., sono ondivaghe ed indefinite, spesso poste sotto forma di ulteriori domande, che finiscono con il porre ulteriore incertezza nella mente del protagonista.

Recensione Il Processo: la costruzione delle immagini alienanti nel film di Orson Welles

 

La vicenda risulta priva di locazione spaziali definite, sembra collocarsi in un paese indefinito dell’est Europa sotto la dittatura sovietica; stradoni deserti, vasti spazi pianeggianti a perdita d’occhio ed edifici dalle architetture imponenti, ma uguali a sé stesse, simbolo metaforico di una forzata massificazione sociale in atto.

 

È l’elogio delle costruzioni in cemento e metallo, dove l’umanità risulta alienata, ridotta ad un mero automa al servizio di un sistema molto più grande di essa, che l’annienta in ogni individualità, come la massa di lavoratori fissi alla scrivania nel grande ufficio lavorativo, palesemente “costruito” nella sua finzione sbattuta in faccia, quasi ad accentuare il clima spersonalizzante e farsesco.
Inquadratura tra l’altro presa praticamente di peso da opere come, l’Appartamento di Billy Wilder (1960) e la Folla di King Vidor (1928).

 

La narrazione diventa sempre più contorta e disinibita verso qualunque idea di razionalità, portando all’estremo lo stile di Welles, che accentua i contrasti tra bianco e nero, trasformatasi qui in un grigio cupo opprimente e claustrofobico, per via delle prospettive sfasate delle scenografie.

 

Gli obiettivi grandangolari deformano i visi dei personaggi, regalandoci atmosfere allucinante dall’alta sperimentazione visiva, con sequenze che arrivano a sfociare in puro horror avanguardista mescolato all’espressionismo tedesco, generando nuovi barocchismi esasperati, in linea con il cinema wellesiano dagli anni 50’ in poi.
Dai piani sequenza iniziali, si passa mano a mano sempre più verso un montaggio frammentato, che scompone lo spazio-tempo in una miriade di frame sempre più caotici nel loro oscuro significato.

 

Un film quindi pienamente kafkiano nello spirito, che gioca dell’impossibilità di una qualsiasi distinzione tra realtà ed incubo, comprimendo la vicenda anche dal punto di vista temporale.

Questa volta la figura del titano, più che incarnata da un singolo personaggio, assume le fattezze di un sistema dalle logiche incomprensibili, tramite un processo senza contraddittorio alcuno, nel quale il potere dei giudici è immenso, finendo con il negare all’uomo ciò a cui in uno stato democratico sarebbe destinato; la legge, chiudendogli in faccia le porte.

Recensione Il Processo: il potere totalitario nel film di Orson Welles

 

Ogni tutela legale è scomparsa, chi si occupa della legge, abusa del proprio potere sfruttando per il proprio piacere, le donne come emanazione esterna della propria autorità sempre più corrotta; perfettamente conniventi con una corrotta classe forense incarnata qui nella persona dell’avvocato Hastler (Orson Welles).

Chi dovrebbe difendere la parte debole nel processo, in realtà è complice dell’apparato giudiziario farraginoso, contorto e senza fine, arrivando ad annichilire tramite ripetute umiliazioni i clienti che da anni si affidano alla loro “pseudo-professionalità”, trovandosi invece in un girone infernale con attese senza fine.

 

Josef K. assume un atteggiamento di ribellione attiva a tutto questo, gridando l’iniquità del sistema che lo schernisce, mentre altre vittime subiscono passivamente tale situazione da tempo immemore, sospese in un assurdo non-luogo surreale.

Si invecchia per i tempi infiniti, giungendo per chi si oppone, ad un sinistro finale apocalittico, con chiari rimandi alla corsa agli armamenti USA-URSS.

 

Perkins, alla miglior interpretazione della sua carriera, risulta perfettamente abile ad incarnare un individuo comune quanto sempliciotto, alle prese con una situazione surreale priva di qualsiasi logica, conducendo la battaglia con vigore attivo, ma sempre più chiara nel giungere ad una sconfitta.

Ottimo come sempre Orson Welles, così come le varie attrici come Jeanne Moreau, Elsa Martinelli e la stupenda e bravissima Romy Schneider, – finalmente svincolata dai panni di Sissi, – in un ruolo di forte rottura.

 

Flop di pubblico alla sua uscita, con critiche negative da parte della stampa degli Stati Uniti, evidentemente non in grado di comprendere un film di tale portata epocale, né tantomeno il romanzo di partenza, troppo elevato per i loro orizzonti culturali.

Nel tempo è stato rivalutato da qualche critico e finalmente oggi, lo si può considerare un capolavoro assoluto della storia del cinema.

Voto:
5/5
Alessio Minorenti
5/5