Recensione – I cavalieri dalle lunghe ombre: il western capolavoro di Walter Hill

La recensione del western capolavoro di Walter Hill risalente al 1980: I cavalieri dalle lunghe ombre

Articolo pubblicato il 3 Novembre 2022 da Giovanni Urgnani

I cavalieri dalle lunghe ombre – in originale The Long Riders – è un film risalente al 1980, capace di rielaborare la leggenda all’interno del genere western. Diretto da Walter Hill, con David Carradine, Keith Carradine, Robert Carradine, James Keach, Stacy Keach, Dennis Quaid. Ecco la recensione del western capolavoro di Walter Hill, I cavalieri dalle lunghe ombre.

I cavalieri dalle lunghe ombre, la trama del film

Missouri, 1866. Finita la Guerra di secessione, Jesse James (James Keach) si guadagna da vivere assaltando treni e rapinando banche a capo di una banda composta dal fratello Frank (Stacey Keach), dagli Younger (David, Robert e Keith Carradine) e dai Miller (Dennis e Randy Quaid). I malviventi decidono di diventare tali dandosi al crimine e rapinando banche, proprio perché non gli è rimasto nulla se non lo spirito della guerra, della violenza e del timore. Il primo colpo è alla filiale di Gallatin, ma la banda è implicata nell’omicidio del cassiere e Jesse resta ferito. Espediente che permette a Rixley, spietato investigatore al servizio della compagnia Pinkerton, di mettersi sulle loro tracce per coglierli sul fatto e arrestarli; non esita a usare metodi brutali pur di catturarli.

 

Il vecchio West diventa una cornice bellissima per il regista che ne fa un uso narrativo esemplare, analizzando la società Americana partendo dal post Guerra di secessione raccontando, dal punto di vista dei malviventi, una vera e propria leggenda che contamina la purezza del Missouri. Gli attori, tra l’altro, sono realmente fratelli.

La recensione del western capolavoro di Walter Hill risalente al 1980: I cavalieri dalle lunghe ombre

La recensione de I cavalieri dalle lunghe ombre, un western crepuscolare

Sa di elegia il capolavoro di Walter Hill, I cavalieri dalle lunghe ombre, western crepuscolare che attraverso la leggenda parla all’America contemporanea. Un capolavoro folgorante e commovente folgorato per intenti e messa in scena. Una tragedia collettiva con una famiglia protagonista, una dualità messa in campo con diversi elementi (due funerali, due rapine in banca) bene e male che vengono mescolati proprio su questo infimo duello tra la giustizia: i ricchi del nord vincitore della guerra contro i poveri contadini del sud. Vittime innocenti – persino dei maiali nel mezzo di una sparatoria – perdono la vita nel giro di poco per via di questo scontro; e questo è dovuto anche all’agenzia Pinkerton che teoricamente dovrebbe rappresentare il bene, eppure bagna ugualmente di sangue la purezza di alcune vittime.

 

Semplicemente magnifico nel contenuto, ma anche nella tecnica: la colonna sonora diegetica ed extra diegetica è narrativa, crepuscolare anch’essa, tanto da dare un sapore di elegia alla messa in scena di questo western che sa di classico, la cui violenza rappresentata da Walter Hill è influenzata dal cinema western di Sam Peckinpah (Il Mucchio Selvaggio). Fotografia eccelsa nel suo essere volutamente sporca, quasi fiacca e impolverata; regia che offre ralenti virtuosamente eleganti con l’utilizzo di un montaggio nervoso a causa dell’ombra della morte che incombe sui personaggi inquadrati. Lo spettatore non sa mai cosa aspettarsi in questo gioco sovversivo di ruoli e di valori.

 

Western a 360° si respira grazie all’esemplare I cavalieri dalle lunghe ombre: si inizia da John Ford con i suoi I cavalieri del Nord Ovest e L’uomo che uccise Liberty Valance, ad esempio, in cui la leggenda vince sulla realtà; ma il discorso di Ford, tramite Hill, viene contaminato dalla violenza di Peckinpah. Così facendo si distorce il detto iniziale “la leggenda vince sulla realtà”, perché questa volta è la realtà a farla da padrone, prendendo la leggenda alle spalle in modo vigliacco, mentre pensa tranquillamente di aggiustare un quadro storto sulla parete. I cavalieri erranti senza paura, mossi da un’ideologia, perdono tutto e alla fine anche la vita. E ad accompagnare la conclusione, come tributo totale al western e ai suoi continui discorsi sulla leggenda e la quotidianità, il contadino che si toglie il cappello mentre passa il treno che trasporta il corpo di Jesse, chiude il film in bianco e nero. Commovente la potenza meta cinematografica che il finale del film racchiude in sé: il western è un genere che muore, così come la leggenda. Prevale la cruda realtà.

Voto:
5/5
Andrea Boggione
4/5