Articolo pubblicato il 14 Febbraio 2025 da Giovanni Urgnani
Esce nelle sale italiane giovedì 27 ottobre “Triangle of sadness” il film diretto da Ruben Östlund (già vincitore della Palma d’oro con “The Square”) e vincitore nell’edizione del 2022 del Festival del cinema di Cannes del premio più prestigioso, ossia la Palma d’oro.

La trama di “Triangle of Sadness”
Questa è la trama presente sul sito ufficiale del film: “In questo film perfidamente divertente (vincitore della Palma d’oro) di Ruben Östlund, le gerarchie sociali vengono capovolte, rivelando la pacchiana relazione tra potere e bellezza. La coppia di modelli famosi, Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean), sono invitati a una crociera di lusso per i super-ricchi, guidata da uno sfrenato capitano di barca (Woody Harrelson). Ciò che prima sembrava instagrammabile si rivela catastrofico, lasciando i sopravvissuti bloccati su un’isola deserta e in lotta per la sopravvivenza.”

La recensione di “Triangle of Sadness” vincitore della Palma d’oro
Le ultime due provocazioni di Ruben Östlund sembrano aver trovato la giusta chiave per accedere ai cuori e alle menti dei giurati del festival di Cannes. Dopo la sferzante critica al mondo dell’arte contemporanea con “The Square”, il regista svedese amplia (o riduce a seconda dei punti di vista) la gittata del suo tiro attaccando mordacemente il famoso 1% più ricco della popolazione mondiale. Il film è stato letto da molti analisti come una staffilata alla categoria degli influencer ma, nonostante ovviamente questa tematica sia parte della pellicola, ridurre tutto il lavoro intellettuale alla base di questa opera a questo singolo aspetto sembra quantomeno riduttivo.
Innanzitutto è interessante constatare un fatto, ovvero che per essere un film “arthouse” o comunque appartenente a quella risma di titoli, a torto o ragione, considerati d’autore “Triangle of sadness” parla un linguaggio comprensibile anche per un pubblico vasto e non necessariamente appassionato della settima arte (caratteristica che di sicuro lo differenzia da “The Square” e forse persino da “Force Majeure”). Nonostante la corposa durata infatti il film ha un tono da commedia nera che rende stimolante ogni avvenimento a schermo e soprattutto imprevedibile ciò che la scena seguente può riservare. L’approccio adottato da Östlund poi privilegia in questo caso una messa in scena e una regia prevalentemente sensoriali. A corredo dell’evidente apparato di critica sociale abbiamo infatti una regia che ama rimestare nel torbido, elevando a effetto speciale le secrezioni corporee, rendendo parossistico il malessere e risparmiando solo di rado dettagli raccapriccianti (anche se il finale riserva un meraviglioso fuoricampo come elegante contrappunto di tutto ciò che la pellicola ha volutamente mostrato fino a quel momento).
L’artista svedese si diverte nel mescolare e rimodellare senza soluzione di continuità le interrelazioni tra i personaggi, facendo abilmente leva sugli stereotipi di genere, il divario salariale, l’estrazione sociale e tutta un’altra serie di costrutti che caratterizzano la comunità odierna. La parola costrutti in questo caso è perfettamente calzante, in quanto legata al concetto di artificialità, per definire molte delle caratteristiche dei personaggi protagonisti, da loro ritenute invece intrinseche. Ciò che conta è trasmettere un’immagine di sé il più convincente possibile e instillare nella società la convinzione che il nostro “valore” si rappresentato dai nostri risultati. Ecco che invece Östlund compie una brutale scissione tra questi due aspetti che non sono più due facce della stessa medaglia ma solo caratteristiche circostanziali. L’esteriorità e l’interiorità dei personaggi sono violentemente separate l’una dall’altra e il valore che si assume nella gerarchia sociale ha lo stesso valore intrinseco di un lancio di dadi, il cui risultato è a completo appannaggio della sorte.
La critica dunque mossa da Östlund al mondo degli influencer si estende a tutti i personaggi del film che con sguardo obnubilato si osservano attraverso uno specchio distorto, confondendo ciò che appare con ciò che è.
P.S. “Triangle of Sadness” è anche l’ultima apparizione di Charlbi Dean Kriek, l’interprete di Yaya (l’influencer protagonista del film) che si è spenta prematuramente all’età di 32 anni.