Fase 3 Del MCU: La Classifica Dei Film Dal Peggiore Al Migliore

Articolo pubblicato il 3 Dicembre 2022 da Bruno Santini

Diversamente dalle altre fasi, la fase 3 del Marvel Cinematic Universe già comincia con un film evento a cui seguiranno numerosi altri tasselli per chiudere il primo importante arco narrativo di Kevin Feige, intitolato la Saga dell’Infinito. Dopo la classifica della fase 1 che è poi proseguita con la classifica della fase 2, ecco che si organizza il punto cinematografico più prolifico del MCU, dal momento che stavolta i film sono 11! Si continua quindi con la top che va dal peggiore al migliore della fase 3.

Thor: Ragnarok (2017) di Taika Waititi

L’impostazione narrativa di Thor cambia totalmente grazie all’arrivo di un autore come Taika Waititi che decide di dargli una linea molto più spensierata ed anarchica rispetto a ciò a cui si era abituati con il Dio del Tuono, spesso mostrato in un lato molto più serioso e drammatico.

Tuttavia, non è sempre detto che un autore lasciato a briglia sciolta in un blockbuster sia sempre la soluzione: questo terzo capitolo presenta una parte centrale troppo lunga che rallenta il ritmo, un villain bidimensionale (nonostante una bravissima Cate Blanchett), un’enorme difficoltà nel riuscire ad equilibrare l’epica con la demenzialità e la peggior caratterizzazione che Hulk abbia mai ricevuto, qui ridotto ad un bambino irragionevole.

Non si tratta comunque di un disastro completo, dal momento che ci sono dei concetti interessanti come l’importanza del popolo che ha sempre grande valore al di là della propria terra di origine (cosa che si collega alle origini ebraiche dello stesso Waititi) ed una straordinaria messinscena delle scene d’azione che appaiono di grande impatto anche grazie all’intelligente uso della colonna sonora che mischia il peplum con la cultura pop, ma non bastano a salvare un’opera fin troppo difettata.

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Ant-Man And The Wasp (2018) di Peyton Reed

Se il film di Waititi pecca nel non riuscire a gestire bene l’autorialità nel contesto Marvel, il problema del sequel di Ant-Man è invece l’apparire troppo anonimo. La trama vuole essere più originale impostando tutta la vicenda attraverso il salvataggio di una persona, ma proprio tale semplicità viene diluita in un’enorme ridondanza degli eventi.

Più accettabile è invece il villain Ghost, il quale sembra ispirarsi al tormento dei mutanti che vedono il proprio potere più come una maledizione che come un dono ed il loro scopo è liberarsene anche con il costo di non fermarsi davanti a nulla, rendendo tutto pericoloso nonostante la ricerca di empatia per il personaggio.

L’alchimia tra Ant-Man e Wasp funziona ed è apprezzabile il fatto che tutti e due hanno bisogno l’uno dell’altra, ma le scene d’azione non riescono ad ottenere l’effetto impattante del primo capitolo, dal momento che si capisce che Peyton Reed riusciva a rendere il tutto memorabile perché un umano che si rimpicciolisce non si era mai visto prima, piuttosto che grazie alla sua bravura registica.

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Spider-Man: Homecoming (2017) di Jon Watts

Questo film è una svolta storica, dal momento che si tratta della prima volta che la Sony realizza uno stand-alone su Spider-Man all’interno del Marvel Cinematic Universe. Da qui, è interessante l’impostazione da commedia adolescenziale, la quale da una boccata d’aria fresca al personaggio interpretato da un bravissimo Tom Holland.

Un altro elemento a favore è la ricerca dell’umiltà da parte di Peter Parker il quale, ancora nel pieno del suo entusiasmo giovanile, si focalizza più sul voler essere considerato dai suoi colleghi supereroi più celebri e famosi piuttosto che sul volersi concentrare nelle sue reali capacità e sul vero obiettivo di ciò che vuol dire aiutare davvero gli altri.

Il problema è che, nonostante le premesse interessanti, manca in diversi punti il tormento delle proprie responsabilità che l’eroe è costretto a mettere da parte per seguire ciò che è giusto (salvo poche scene), creando problemi di ritmo che non sono aiutati da una messinscena estremamente standardizzata e soprattutto impoverita da una fotografia incomprensibilmente grigiastra. Nota di merito invece al villain dell’Avvoltoio interpretato da un grande Michael Keaton, il quale riflette le azioni reazionarie di fronte ad un governo completamente insensibile ai bisogni del proletariato.

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Captain Marvel (2019) di Anna Boden e Ryan Fleck 

E da qui si comincia ad andare con i cinecomic sopra la media: il film con Brie Larson, tra le opere più sottovalutate di tutto l’universo di Kevin Feige, mostra un bel misto tra il genere dello spionaggio e quello della fantascienza, aiutati da una regia ben impostata ed un grande utilizzo degli effetti visivi, specialmente per quanto riguarda la cgi che ringiovanisce un sempre in forma Samuel Jackson.

Ma al di là del divertimento, il film appare molto efficace grazie ad un’analisi sociopolitica della manipolazione mediatica, la quale fa apparire le persone che vengono da fuori e che hanno bisogno di aiuto (gli Skrull) come i nemici da sconfiggere, esprimendo un chiaro attacco nei confronti del governo Trumpiano

Inoltre è molto apprezzabile anche il fatto che, diversamente dalle altre opere, lo scontro finale tra nemici non sia realizzato attraverso un enorme combattimento, ma attraverso un confronto mentale che definisce l’importanza della forza di volontà contro la mania del controllo dei potenti, creando una delle risoluzioni più originali che si siano viste all’interno dell’MCU.

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Spider-Man: Far From Home (2019) di Jon Watts

Il secondo capitolo della trilogia di Watts è un bel miglioramento rispetto al film precedente, soprattutto per quanto riguarda il lato visivo: il regista è infatti molto più creativo e si sbizzarrisce particolarmente nelle scene con le illusioni di Mysterio, le quali cercano di immergere lo spettatore in sensazioni di straniamento che facciano urlare “wow” senza però mai perdere il controllo della macchina da presa e del montaggio.

Anche la caratterizzazione di Spidey cresce notevolmente, concentrandosi molto sulla ricerca di una vita normale (cosa che si rivelerà ovviamente impossibile) tormentata anche dal peso di essere visti a tutti i costi come l’eredità che segua la grandezza dei predecessori (Iron Man), riflettendo sul peso che le nuove generazioni sentono sulle proprie spalle.

Inoltre ancora una volta ci si dimostra capaci di saper scrivere un villain ben caratterizzato, con un Mysterio (interpretato da un superbo Jake Gyllenhaal) che si sente costretto a crearsi un’immagine che piaccia a tutti, ingannando ogni persona perché convinto che il surclassare ogni essere umano esistente sia l’unico riscatto del ceto medio, collegandosi in parte alle stesse tematiche dell’Avvoltoio.

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Black Panther (2018) di Ryan Coogler

Black Panther è uno dei blockbuster più importanti del 21° secolo (ed unica opera Marvel candidata agli Oscar al miglior film) per quanto riguarda il profondo impatto socio-culturale avuto in madrepatria, di cui temi anti-trampiani anticiperanno quelli di “Captain Marvel”, ma con una maggior sorpresa: mai ci si sarebbe aspettati l’utilizzo di una civiltà afroamericana avanzata che scende negli stessi peccati della società bianca conservatrice.

Da qui nasce Killmonger, straordinario villain nato in condizioni orribili, poiché il Wakanda lo ha abbandonato per la paura di portare i problemi dei paesi del terzo mondo nella loro terra, causando conseguenze di vendetta reazionaria da parte di chi ha imparato che solo la supremazia sugli altri stati può cancellare il male del mondo, mentre Black Panther dovrà cercare la comunicazione tra i popoli per non tornare ai tempi barbari.

Le scene d’azione, per quanto accompagnate da guizzi interessanti come i piano sequenza delle scene del casinò, sono più standardizzate, ma tale standard viene compensato dall’inteligentissima scrittura, tra cui una trattazione del razzismo nella quale ci sono numerose sfumature di bontà e cattiveria sia nei neri che nei bianchi. Infine va sottolineata l’originale ed evocativa colonna sonora di Ludwig Göransson (premiata dall’Accademy) che tornerà anche alla composizione del sequel.

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Doctor Strange (2016) di Scott Derrickson

Il concetto di cinema delle attrazioni di George Melies si fonde con lo spettacolo che la Marvel vuole dare al pubblico, attraverso straordinarie sperimentazioni visive sfogate negli effetti che fondono numerosi soluzioni universali con i corpi umani, lasciando sempre a bocca aperta lo spettatore in incantesimi creativi ed originali che rimandano anche ad opere come “2001: Odissea Nello Spazio“.

Oltre all’eccellente apparato tecnico, il concetto di uomo che si fonde con l’ambiente circostante entra in contrasto con la percezione di Stephen Strange (interpretato da un convincentissimo Benedict Cumberbatch) che dovrà confrontare il suo ego smisurato con la nuova percezione che siamo esseri più piccoli in un mondo molto più grande e non gira tutto attorno a noi.

Ma il contrasto continua, poiché tale umiltà viene poi accompagnata dalla consapevolezza che l’uomo, con la propria volontà, è capace di sovvertire le regole per raggiungere un obiettivo, ma solo quando questo obiettivo è il bene comune del mondo, diversamente da Strange che prima agiva sempre per sé stesso. L’anima dell’essere umano che si modella nella scrittura ma anche nella forma, in un percorso di grande spettacolo che si dimostra anche tanto intelligente nel contenuto.

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Avengers: Infinity War (2018) / Avengers: Endgame (2019) di Anthony e Joe Russo

L’autorialità di Kevin Feige si afferma definitivamente nell’immaginario collettivo del cinema grazie a questi due ambiziosissimi blockbuster girati in contemporanea e che rappresentano il finale della saga dell’Infinito. Un percorso durato dieci anni che viene riassunto in questa straordinaria conclusione che fa capire l’incredibile ed accurata progettazione che non è mai più stata replicata da nessuna altra saga sul grande schermo.

Ed al di là dell’intenso progetto che riporta miracolosamente la narrazione fumettistica in quella cinematografica, non si può evitare di parlare di Thanos, iconico villain profondamente temibile ed inquietante ma che si può anche comprendere ed empatizzare riflettendo in un problema globale (senza mai giustificarlo ovviamente), avanzando nella prima parte come una minaccia che gli eroi devono affrontare in uno schema che si rifà alla trilogia cinematografica di Peter Jackson.

E nella seconda parte, la fine dei giochi, forse meno riuscita a livello narrativo di “Infinity War” ma comunque di profondo impatto, si respira la grandezza della speranza della volontà degli uomini che non si arrendono in favore della vita, anche quando il dolore li hanno completamente distrutti ed atterrati (vedasi la reazione umana di Thor), in attesa di un unione che riporterà tutti alla grande battaglia insieme agli spettatori che si sono precipitati tutti in sala.

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Captain America: Civil War (2016) di Anthony e Joe Russo

Non si toglie nulla ai due crossover evento citati prima, ma forse i fratelli Russo riescono a creare la migliore alchimia tra gli Avengers proprio raccontando la loro separazione, attraverso un’opera spionistica che mette in luce le difficoltà umane nell’agire secondo il proprio istinto piuttosto che secondo le regole imposte dal governo.

Viene fuori la totale mania del controllo degli Stati Uniti che potenzia ancora di più, negli eroi più fragili, la paura di non riuscire a prevenire le minacce più potenti, generando tale paura anche negli occhi delle persone più fidate ed ottenendo quindi solo contrasto, ridimensionando quella certezza di agire sempre fuori dagli schemi ed interrogandosi sulle conseguenze.

Inoltre vanno segnalati anche due dei migliori esordi nell’universo Marvel con Black Panther, ossessionato dalla vendetta rischiando di consumarlo, e Spider-Man, spinto solo dalla volontà di dare una mano. Se si pensa poi che questo progetto è nato per rincorrere “Batman v Superman” ed è riuscito comunque a vincere, la grandezza del disegno diventa sempre più forte in questo film che dimostra la profonda fragilità supereroistica moderna.

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Guardiani Della Galassia: Volume 2 (2017) di James Gunn

Non si poteva non concludere con James Gunn che ritorna alla sua creatura, continuando la resurrezione della space opera nel cinema moderno, attraverso una regia elegantissima che mette in evidenza le bellezze dell’universo attraverso un’incredibile fotografia che dimostra che nella creatività dell’infinito ogni cosa è possibile e credibile, rivitalizzando ciò che era il sogno di George Lucas negli anni 70.

Tale libertà registica si amalgama splendidamente con i tempi comici, i quali cercano soluzioni bizzarre ed estreme che ricordano, come sempre da parte di Gunn, il cinema della Troma che viene inserito senza esagerare con una delicatezza che difficilmente si trova nei blockbuster moderni, fondendo perfettamente l’autorialità con qualcosa che il grande pubblico accoglie con gioia.

E tale creatività si inserisce anche nella profondità dei temi, in cui vengono ricalcate più volte l’importanza della mortalità dell’uomo contro un potere immortale che però non garantisce affetti emotivi e che per questo non lascia niente, perché la vera libertà dell’essere umano è quella di sapere amare, lo stesso amore che non può essere classificato nel nostro sangue, ma che trova la reale verità solamente attraverso le nostre azioni, molto più forti di qualunque gesto onnipotente.

 

 

Leggi anche: Fase 1 del MCU: i film dal peggiore al migliore, Fase 2 del MCU: i film dal peggiore al migliore

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