Articolo pubblicato il 4 Dicembre 2022 da Bruno Santini
Tra tutte le linee del Marvel Cinematic Universe, quella della fase 4 (conosciuta come l’inizio della saga del Multiverso) è stata la più divisiva e discussa, dal momento che l’obiettivo futuro che unisce tutti i personaggi è estremamente misterioso e le sperimentazioni, dopo la conclusione di “Avengers: Endgame”, sono state tantissime. Avendo classificato l’iconico inizio della fase 1, proseguendo con l’intermezzo della fase due fino ad arrivare all’amata fase 3, è il momento di realizzare anche la top dei film della fase 4, formata da 9 titoli (si considerano anche i film televisivi) andando dal peggiore al migliore.
Black Widow (2021) di Cate Shortland
Ci sono voluti anni affinché i fan potessero averlo, ma finalmente si è arrivati ad uno stand-alone su Natasha Romanoff, interpretata sempre da una più che carismatica Scarlett Johnasson, qui affiancata dall’ottima scoperta Florence Pugh. Rispetto agli altri film presenti in classifica, questo è il titolo più standard e meno sperimentale della fase, nonostante ci siano comunque dei punti da non sottovalutare.
Fa infatti piacere che si ritorni ad un’atmosfera puramente spionistica ed in dei punti l’opera sa anche essere spietata dal punto di vista psicologico, ma allo stesso tempo si sente in dei momenti l’essere fin troppo fissati con il ricalcare il ben più riuscito “Captain America: The Winter Soldier“, come il mai ben troppo sfruttato villain Taskmaster le cui scene vogliono spesso emulare il pathos del Soldato d’Inverno.
Se gli stereotipi del maschio alpha poco intelligente di Red Guardian risultano ridicoli, dall’altra parte è molto apprezzabile la simbologia del villain Ray Winstone, volutamente somigliante ad Harvey Weinstein, che mostra l’orribile mania del controllo sulle donne e che rende quest’opera un gradevole manifesto del me too in nome della libertà femminile ancora più intensificata in scene d’azione niente male.
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Black Panther: Wakanda Forever (2022) di Ryan Coogler
Si prosegue subito molto bene con il Wakanda che va finalmente avanti dopo la tragica scomparsa di Chadwick Boseman e, di conseguenza, anche di T-Challa, così nasce una struggente ed atipica elaborazione del lutto che riflette su come la privazione dei nostri affetti personali ci spinga a vedere il mondo con occhi che possono essere più maturi, ma anche più distruttivi, andando ad incidere sui nostri doveri morali e politici.
Al di là delle grandi ambizioni, ci sono degli elementi che fanno storcere il naso, come un ritmo non ben gestito a causa di eventi fin troppo diluiti, la mancanza di un dovuto approfondimento delle tensioni tra l’America ed il Wakanda e l’introduzione di Iron Hearth che appare più debole rispetto a quella di altri suoi comprimari più giovani, nonostante l’interessante luce di speranza sulle nuove generazioni.
Ma pur non raggiungendo le vette dello straordinario primo capitolo, i difetti di questo sequel vengono colmati anche dall’ottima messinscena di Ryan Coogler (il quale inserisce anche maggiore tangibilità nelle scenografie), dal grandioso villain Namor che ha visto solo la violenza nel mondo ed è totalmente chiuso ad ogni apertura mentale, ma soprattutto dalla continua e calcata ricerca della comunicazione che, in qualunque condizione, è sempre fondamentale. Da lodare, ancora una volta, la colonna sonora di Ludwig Gorasson.
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Shang-Chi E La Leggenda Dei 10 Anelli (2021) di Destin Daniel Cretton
I canoni del MCU si rifanno al cinema action orientale, da cui Cretton riprende il campo visivo a mani basse creando degli scontri davvero suggestivi che somigliano molto a delle danze, ottenendo un impianto spettacolare che mischia arti marziali con il fantasy e che fanno pensare che allora è davvero possibile realizzare delle opere occidentali tratte da manga o anche da anime.
Tony Leung nel ruolo del Mandarino tira fuori una delle interpretazioni più intense che si siano viste nei villain del Marvel Cinematic Universe (sembra che la classifica si stia ripetendo, ma nei film di questa fase i villain sono tra i punti di forza principali) e colpisce l’ambiguità del personaggio tra la redenzione della sua anima ricercando l’amore per i figli ed il suo continuo ancorarsi al passato, sia dal punto di vista della tradizione che dal punto di vista dei ricordi irrecuperabili.
Non a caso gli occhi coperti dal passato generano l’interessante ribellione nei figli protagonisti, tra uno Shang-Chi che vuole allontanarsi dai lati oscuri del suo padre controverso ed una Xialing che invece vuole essere riconosciuta per le sue reali capacità sminuite per il suo sesso femminile. Il fatto che entrambi soffrano dell’abbandono genera un forte conflitto che immedesima lo spettatore in una forte ricerca di sé stessi attraverso l’unione.
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Licantropus (2022) di Michael Giacchino
Ci si trasferisce sul piccolo schermo attraverso questo mediometraggio in bianco e nero che vede l’esordio di Giacchino davanti alla macchina da presa, dimostrando di avere talento in Licantropus: i piani sequenza dei combattimenti, accompagnati da una scia di sangue che sorprende molto per i canoni MCU (si vedono parti umane strappate a morsi), sono estremamente impattanti ed è interessante la claustrofobia usata.
Estremamente sorprendente l’uso minimo di cgi, a fronte di un utilizzo molto forte di effetti speciali pratici che omaggiano il cinema dei mostri Universal degli anni 30 e degli anni 40, tra cui l’eccellente animatronic fatto per realizzare Man-Thing ed il trucco dello stesso protagonista che richiama all’iconico film “L’Uomo Lupo“.
Ma al di là dell’anomalia visiva che è al di fuori di ogni film mai prodotto dall’MCU, questo special colpisce anche per la destrutturazione dei mostri, i quali sono delle creature martoriate perché aventi aspetti diversi dagli esseri umani, a differenza dei “normali” cacciatori di mostri che però come primo pensiero hanno l’idea di uccidersi a vicenda per arrivare primi al premio della cattura. Da qui esce fuori il lodevole concetto della pulizia del male dal mondo (evidenziato anche con una bella citazione a “Il Mago di Oz”), capitanato dalla speranza di cancellare le tradizioni estremiste.
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Guardiani Della Galasia: Holiday Special (2022) di James Gunn
E non poteva mancare anche la firma di James Gunn in questa fase con Guardiani della Galassia: Holyday Special, ricercando una fortissima originalità con il primo prodotto della Marvel in cui la presenza di un antagonista è assente, a cui invece si preferisce una semplicità che vuole entrare nel cuore dei personaggi con un racconto che evidenzia l’importanza della grandezza di un gesto volto a scatenare un semplice sorriso.
Davvero intenso è infatti il rapporto tra Star-Lord e Kevin Bacon, perché si mettono a confronto due icone di due tempi del cinema diversi, evidenziando però quanto sia importante avere un punto di riferimento nella cultura pop, perché storie ideologicamente giuste ci danno l’ispirazione per essere persone migliori, proprio come il Natale stesso ci ricorda sempre di comportarci meglio nelle nostre azioni umane che dovrebbero essere guidate dall’armonia.
E qui un’altra punta di diamante la toccano Drax e Mantis, eccellente coppia comica attraverso cui l’autore inserisce stilemmi che si rifanno all’horror (viene evidenziato il punto di vista di Bacon che osserva come alieni pericolosi vogliano rapirlo) ma con i quali l’innocenza ingenua dei due diffonde un’atmosfera delirante ed assolutamente divertente, confermando sempre gli omaggi alla Troma che mancheranno davvero alla Marvel dopo che James Gunn abbandonerà gli studios una volta concluso il suo ultimo lavoro.
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Thor: Love And Thunder (2022) di Taika Waititi
Diversamente dal debole capitolo precedente, Taika Waititi riesce stavolta ad equilibrare al meglio l’epica con la comicità più anarchica, evidenziando quasi tutte le continue gag di Thor: Love and Thunder come riflesso dello smarrimento del personaggio, il quale ha perso qualsiasi obiettivo principale dopo la morte di suo fratello e la rinuncia al trono di Asgard, affrontando il ritrovamento per quello che significa davvero vivere.
Il ritorno di Jane Foster, qui nella migliore interpretazione di Natalie Portman nella saga, mostra un toccante inseguimento della propria stessa esistenza, indecisa se prolungare la sopravvivenza della sua tragica malattia o se buttarsi in ultimi intensi atti facendo finalmente la supereroina. Qui Waititti continua il suo affidamento ai sogni dei giovanissimi, calcando l’importanza dell’immedesimazione nei propri eroi che è ciò che manda avanti il Marvel Cinematic Universe.
Eccellente anche l’interpretazione di Christian Bale nel ruolo di Gorr, il macellatore di Déi, il quale esprime il suo disappunto verso una società borghese sempre più corrotta ed egoista che non pensa ai bisogni del popolo, qui ridicolizzata dall’autore attraverso l’eccesso voluto degli déi greci che in realtà sono codardi. Tutti questi interessanti aspetti sono racchiusi in un Waititi a briglia sciolta che si riconferma essere ancora molto creativo anche nelle scene di combattimento, sfornando quello che potenzialmente è il miglior titolo mai realizzato su Thor nel Marvel Cinematic Universe.
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Spider-Man: No Way Home (2022) di Jon Watts
Si comincia con il trio delle meraviglie e non poteva non entrarci il più grande evento di questa fase che può essere tranquillamente chiamato come un vero e proprio miracolo cinematografico: l’essere riusciti ad unire tre generazioni di cinema, mantenendo comunque l’importanza della più giovane e contemporaneamente svecchiando le altre facendo tornare attuali le due saghe precedenti sul personaggio, dando loro un’importante conclusione (per ora), è qualcosa che conferma lo straordinario genio produttivo di Feige che rientra nella storia del cinema.
Infatti la difficoltà alla base di un’operazione così ambiziosa non impedisce di trasformare Goblin, la nemesi assoluta dello Spider-Man di Tobey Maguire (interpretato dal nuovamente divino Willem Dafoe), nella nemesi principale dello Spider-Man di Tom Holland, diventando il lato oscuro di Peter Parker e mostrando come a fare del bene non ci sia alcuna ricompensa, diversamente da chi approfitta delle proprie straordinarie capacità per depredare tutto ciò che c’è e diventare superiore.
Ed è qui che si sottolinea ancora di più la potenza del film, dato che definitivamente viene mostrata l’importanza del sacrificio di un eroe, il quale mette tutto il dolore sulle sue spalle lottando per l’importanza del bene comune, mentre le sue varianti più mature sono sia il simbolo del fallimento che mostra la grandezza del riscatto (lo Spider-Man di Garfield) che della saggezza piena di esperienze come punto di riferimento (lo Spider-Man di Maguire), evidenziando l’importanza di supporto e unione tra tutte le generazioni… e questi elementi sono molto più importanti di qualunque logica legata al multiverso.
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Doctor Strange Nel Multiverso Della Follia (2022) di Sam Raimi
Il ritorno di Raimi alla regia di un film fa una differenza gigantesca: è straordinario il modo in cui inserisce delle scene realmente horror, capaci di far scappare i bambini dalla sala, mentre il terrore della morte e la violenza della disperazione aumentano imperterriti in questo trip di allucinogeni folle (come il titolo), attraverso fusioni eccellenti tra i supereroi e lo slasher, con i demoni che escono dagli incantesimi di Strange e sperimentazioni visive molto forti che richiamano anche agli anime (la battaglia musicale).
Le azioni di Wanda Maximoff completamente accecata dalla ricerca dei figli perduti richiama ad una visione macabra della negazione della morte e dell’ossessione del sogno perduto ormai irrealizzabile, in linea con la visione del Doctor Octopus nel capolavoro “Spider-Man 2”, sempre di Raimi, mostrando come anche la parte più buona di noi può deteriorare e trasformarsi in un mostro assatanato anche quando in cuor nostro sembra che si sta agendo nel giusto perché il fine sembra giustificare i mezzi.
Ed è qui che il tema del doppio, sempre tipico del cinema di Raimi che sa fondere benissimo l’autorialità con ciò che vuole il pubblico, si riflette anche sullo stesso protagonista Stephen Strange, il quale deve confrontarsi con le sue varianti, veri e propri visioni distruttive di sé stesso, per non entrare anch’esso nella tentazione, tentazione che può essere respinta solo con la volontà di proteggere diversamente dall’egoismo di Wanda, anche perché chi si è perso non è mai perso per sempre, come dice anche il professor Xavier in quest’opera che è uno dei cinecomic più coraggiosi che si siano visti negli ultimi anni.
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Eternals (2021) di Chloé Zhao
Ed il coraggio continua con Chloé Zhao la quale, inaspettatamente (all’epoca della realizzazione non aveva ancora vinto l’oscar), ottiene il via libera da Kevin Feige che le permette di realizzare l’opera più atipica che i Marvel Studios abbiano mai prodotto, con un’impostazione estremamente seriosa e concetti dell’anima che si rifanno ad opere come “Blade Runner“, attraverso una regia perfetta che racchiude l’immensità dello spazio come rappresentazione della nostra complessità interiore.
La sensazione di straniamento di fronte a tutto ciò che ci circonda riprende il senso di smarrimento affrontato già in “Nomadland” dalla Zhao, evidenziando la difficoltà più grande quando dei veri e propri déi (o quasi) devono confrontare i loro sentimenti con la mortalità degli esseri umani, entrando nel loro dualismo tra i difetti ed i pregi di tutto il popolo terrestre, qualcosa che va oltre il senso del destino.
In questa epica molto forte viene messo al centro una profonda dolcezza e non è un caso che ogni membro del gruppo abbia una caratteristica che, messe insieme alle altre, racchiude tutto l’organismo mortale: saggezza, rabbia, dolcezza, disabilità (sia fisica che mentale), amore e qualunque altro elemento che ci faccia interrogare su quanto effettivamente valga la pena vivere su questo pianeta, attraverso un’opera che decide di sacrificare volutamente numerosi stilemmi del cinema per il grande pubblico, sfidando ad andare su qualcosa di inedito… e questa novità è qualcosa che ha una potenza senza pari nell’universo Marvel.
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