Articolo pubblicato il 6 Dicembre 2022 da Bruno Santini
Usciva in poche sale europee nel 1975 (sarà distribuito negli Stai Uniti solo nel 1983) “Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles”, secondo lungometraggio di finzione, se si esclude il mai completato “Hanging Out Yonkers”, della regista belga Chantal Akerman. Il film ha visto rinascere la sua popolarità ed è rientrato al centro del dibattito cinefilo a seguito della molto discussa classifica dei migliori 100 film della storia del cinema pubblicata di recente dalla rivista ufficiale del British Film Institute “Sight and Sound”, primeggiando in questa graduatoria a discapito di titoli ben più celebri di questa piccola e misconosciuta produzione belga.

La trama di “Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles”
Il film ruota intorno alla routine casalinga di una donna single per tre giorni. La madre, Jeanne Dielman (il cui nome si evince solo dal titolo e da una lettera che legge al figlio), ogni pomeriggio fa sesso con clienti maschi a casa sua, per garantire la sua sussistenza e quella di suo figlio. Come le altre attività da lei svolte, il lavoro sessuale di Jeanne fa parte della routine che svolge ogni giorno in modo sistematico e asettico. La durata del film di circa 200 minuti copre l’arco di tre giorni.

La recensione di “Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles”
“Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles”, fin dal suo titolo difficoltoso e alienante, è un film che si pone come una visione non adatta a tutti. Questa parrebbe una precisione inutile ma è necessaria per spiegare la scarsa fama di cui gode un film che una rivista autorevole ha classificato come il migliore della storia cinema. Chi scrive questo articolo dissente rispetto all’opinione espressa dal sito inglese, tuttavia questo piccolo film belga è un’opera artistica estremamente stratificata e formalmente complessa, in grado di dialogare con la contemporaneità in maniera assolutamente lucida e puntuale.
La pellicola è una sequenza di più di tre ore composta da soli quadri fissi; nessun movimento di macchina è presente all’interno del film, che è una successione di inquadrature e stacchi di montaggio. Appare dunque subito evidente come una scelta così radicale forzi gli spettatori a focalizzarsi sulla messa in scena di questa opera, che in modo algido e preciso descrive per tre giorni la vita di una casalinga.
Prima di analizzare ciò che queste spesso lunghe riprese contengono, bisogna però chiedersi il perché la regista abbia deciso di mettere in gioco una scelta stilistica così drastica. Ebbene questo espediente formale risulta estremamente calzante in quanto dialoga sia con l’impianto diegetico della pellicola che con i suoi fruitori. Jeanne infatti è imprigionata dall’inizio alla fine in una estenuante routine, composta da gesti, parole, suoni e spazi sempre uguali tra loro. Il rendere così statica la narrazione mette chi guarda il film enlla stessa posizione di oppressione che fin dalle prime battute affligge la protagonista. Il penetrare nella sua vita privata e nella sua intimità non è un processo affatto semplice e né un voice over né tantomeno i dialoghi tra i personaggi (quasi assenti e spesso puramente formali) favoriscono l’immedesimazione. Ciò che la Akerman sembra richiedere è una comprensione più profonda delle vicende narrate, un’immersione in un inferno gelido e desolante che è la vita di una casalinga belga a metà degli anni 70.
Il senso di monotonia, il fastidio, l’irrequietezza che suscita la visione di questo film sono sensazioni coerenti con la volontà della regista, dunque additare questo film di essere “lento” sarebbe come accusare un film di Michelangelo Antonioni si essere noioso, laddove la noia è parte integrante della poetica del regista.
Questa opera dialoga esteticamente in modo molto raffinato ed efficace attraverso diversi elementi della scenografia (i quadri che tappezzano le pareti della casa non sono mai inquadrati a sproposito) e posizionando sapientemente il corpo della protagonista nello spazio che la circonda. Jeanne non è mai predominante all’interno dell’inquadratura e le attività da lei svolte sono puramente accessorie e mai decisive. La ripetitiva vita nella quale è intrappolata non accetta imprevisti o problemi da risolvere, né tantomeno svaghi o passatempi che possano appagarla. Ci si accorge della sua presenza nella casa in cui vive solo per le sue cure domestiche o il rumore prodotto dalle pentole mentre cucina, raramente nella storia del cinema un personaggio è stato così profondamente oggetto e mai soggetto della sua vita, mai padrone dei compiti che svolge ma completamente assoggettato a essi. Il film è un grido disperato soffocato dalla monotonia e annegato nell’indifferenza in cui nessun tipo di variazione è ammessa, dove la vita e la morte arrivano ad apparire come due scelte in fondo intercambiabili senza che si rinunci a molto.
Nei fugaci dialoghi che intercorrono tra Jeanne e suo figlio (perennemente perso nella lettura e incapace di empatizzare anche solo minimamente con la madre) tuttavia si scorge anche altro, in particolare la straziante consapevolezza della protagonista del ruolo da lei ricoperto e persino una sua visione. Jeanne è una donna che non ha mai trovato l’amore, che si è sposata per pura convenienza e che vede il sesso non solo come un momento di intima connessione ma anche come pura merce di scambio che le garantisce, al pari del baby-sitting e del cucinare, la sussistenza. In tal senso si ribalta con poche battute lo stereotipo romantico legato alla figura della donna e la si cala in un contesto assai più terreno e di conseguenza complesso. Anche la scelta di lasciare fuori campo tutti i suoi intercorsi sessuali è funzionale al fine di rendere questa attività al pari di tutte le altre da lei svolte, pura routine.
Tuttavia al terzo giorno qualcosa comincia a incrinarsi e in modo magistrale si innesta nelle inquadrature, fino a quel momento assimilabili a una natura morta, un senso di tensione latente, a tratti insopportabile, che deflagra in un finale inevitabile e che sancisce l’inizio della personale rivoluzione del tragico personaggio di Jeanne.