I migliori film d’animazione del 2022

Di seguito i migliori film d'animazione del 2022: la top 5

Articolo pubblicato il 22 Dicembre 2022 da Christian D'Avanzo

Il 2022 sta per concludersi, ed è il momento di concedersi una riflessione sulle proposte di quest’annata cinematografica. L’animazione è una tecnica frequentemente utilizzata dai creatori di prodotti audiovisivi, e anche questa volta non sono di certo mancati dei titoli entusiasmanti distribuiti al cinema o in streaming. Per fare ordine, ecco una classifica dei migliori film d’animazione del 2022: la top 5.

5) La fortuna di Nikuko

Si anticipa che, La Fortuna di Nikuko è l’unico titolo nipponico presente nella seguente top. Non poteva non segnalarsi uno dei migliori film d’animazione distribuiti al cinema quest’anno, anche se per pochi giorni come evento extra. Scritto e diretto da Ayumu Watanabe (I figli del mare), la pellicola è un coming of age al femminile, dove le protagoniste sono Kikuko, bambina di 11 anni che vive in una casa galleggiante al porto con sua madre Nikuko, l’altra protagonista, una giovane donna di 38 anni, molto alla mano e golosa di cibo. Il character design e le animazioni dalle linee morbide e dai colori vividi, risaltano una semplicità che il più delle volte oggi viene tacciata come banale, quando invece in alcuni casi cela una genuinità loquace. Il cibo acquisisce valore sociale, contenitore di piaceri sia nella cucinata che nel successivo consumo; alcune sequenze visive sono da ricordare, come il flashback da pellicola retrò. L’idea di dare spazio ai due punti di vista, spesso in opposizione, quello genitoriale e quello della prole, è delicata, squisitamente didascalica. Con una profonda riflessione sul senso materno e sul significato di vivere la quotidianità, anche di fronte una certa ciclicità e/o monotonia, il film rende straordinario l’ordinario.

Di seguito i migliori film d'animazione del 2022: la top 5

4) Il Gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio

Il Gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio, sequel diretto da Joel Crawford, racconta come il coraggioso micio si ritrovi coinvolto in una nuova avventura che lo porterà in un viaggio epico alla ricerca della leggendaria Stella dei Desideri nella Foresta Nera per riappropriarsi delle vite perdute. Il Gatto, con la sola vita rimastagli, è costretto a chiedere aiuto all’ex partner: l’affascinante Kitty “Zampe di Velluto”. Questo nuovo capitolo dell’universo di Shrek è una grande sorpresa, partendo dall’incredibile comparto tecnico che richiama alle innovazioni portate dal capolavoro Spider-Man: Un Nuovo Universo. Ma al di là di quello, il film sorprende per essere una favola estremamente delicata, perché dall’idea di action avventurosa si evolve poi in una matura riflessione sulla consapevolezza della morte e nella destrutturazione della figura dell’eroe tradizionale, qui ridotto a nascondersi. Inoltre ha regalato al pubblico un villain inquietantissimo come non se ne vedevano da tanto tempo nel cinema d’animazione occidentale per il grande pubblico, specialmente da parte della Dreamworks che, con quest’opera, potrebbe realizzare definitivamente la sua rinascita artistica.

3) Apollo 10 e mezzo

Il film più personale di Richard Linklater, distribuito quest’anno su Netflix, Apollo 10 e mezzo è il racconto di un’infanzia al sole di Houston. A narrare le vicende dell’estate del ’69 è la voce di uno Stan ormai adulto (in originale Jack Black), alter ego del regista; il pretesto narrativo di un bambino intento a diventare astronauta per un errore di costruzione del veicolo spaziale, lascia spazio ad uno splendido stream of consciousness. La capacità della sceneggiatura di spiegare con piglio personale, emotivo ed elettrizzante tutto il contesto degli anni ’60, risulta talmente valido da non aver quasi bisogno delle immagini. Ammaliante l’approccio umoristico e familiare alle vicende storiche, tra gag e ricordi Linklater trasporta lo spettatore in un’altra dimensione per circa 1 ora e 38. Il film ricorre al digital rotoscoping per curare le animazioni, e ciò evidenzia proprio l’aspetto fuggente del racconto, come se ci si trovasse all’interno di una mente umana, contenitore di stupori e interessi. Lo spirito libero del regista squarcia il confine tra realtà e finzione, documentario e testo scritto, in una prelibata anarchia accesa dalla nostalgia. La guerra del Vietnam, l’allunaggio, l’avvento della televisione e l’amore per i film di fantascienza: elementi posti sotto la lente di ingrandimento dello sguardo di un ragazzino sognatore unito all’osservazione acuta di un adulto, consapevole di un tempo ormai passato.

2) Wendell & Wild

Wendell & Wild è il nuovo film di Henry Selick (Coraline e la porta magica), il cui ritorno è segnato dall’approdo su Netflix. Due demoni chiamati Wendell e Wild, prigionieri nella narice di una gigantesca creatura, stringono un patto con un’adolescente amante del punk rock per poter lasciare l’Oltretomba e realizzare il loro sogno nella Terra dei Vivi. Kat è orfana e, avendo avuto problemi di bullismo, ha scelto la strada dell’isolamento. Due mondi concettualmente e visivamente diversi tra loro finiscono per entrare in contatto, generando una storia atipica di ricerca dell’identità, dialogo generazionale e astuta critica al capitalismo. Da un lato c’è il mondo grigio e freddo degli esseri umani, divorato dal vile denaro; dall’altro c’è quello dei morti, coloratissimo e formato da componenti miracolose, anche in termini di creatività. I villain, i Klaxon, sono una parodia nemmeno troppo velata di Trump, ossia conservatori il cui scopo è costruire un carcere riabilitativo per arricchirsi facilmente tramite finanziamenti, spazzando via qualsiasi altro appartamento o costruzione collocata sul suolo interessato. Film d’animazione in tecnica stop-motion dai meccanismi narrativi semplici e con una bellissima morale, assolutamente contemporanea e necessaria. La creatività accompagna ancora una volta il buon nome di Selick: dal character design dei demoni, passando per lo stereo d’ossa alla crema per capelli in grado di riportare in vita i personaggi. Il grottesco e il punk sono presenti nelle atmosfere, e si sceglie l’estetica afroamericana per parlare di una storia di formazione, capitalismo e disumanizzazione. 

1) Pinocchio di Guillermo del Toro

Al primo posto non poteva non esserci il titolo più recente, distribuito prima in sala e poi su Netflix. Pinocchio di Guillermo del Toro, con la tecnica dello stop-motion, è un’autentica lezione di come si attinge al materiale di base, le cui trasposizioni sono già varie e differenti, per sposarla perfettamente alla propria poetica e all’estetica personale. La rielaborazione della storia classica del burattino conosciuto in tutto il globo, passa per l’atmosfera gotica tipica del regista messicano, con un’entrata in scena di Pinocchio quasi orrorifica. Geppetto ha perso un figlio, Carlo, a causa della Guerra; il burattino non è altro che l’incarnazione di una notte all’insegna dell’alcol, della nostalgia e della depressione. Pinocchio è il desiderio di vita di Geppetto, e il falegname fa fatica ad accettarlo nell’immediato in quanto figlio. Questa declinazione del rapporto padre-figlio, esteso anche al podestà e Lucignolo, a Mangiafuoco e Spazzatura, mette di fronte alla profonda riflessione sulla figura genitoriale, sul dialogo con i figli e come questi ultimi possano essere fonte di rinnovamento, modernità. Non è un caso che, i personaggi multidimensionali, partano con fini egoistici per arrivare alla conclusione del film consapevoli di aver trovato la felicità: l’amore ed il rispetto verso l’altro, fonte di ispirazione ed altruismo. Del Toro gioca con lo sfondo storico, attraverso meccanismi slapstick ridicolizza il fascismo (tra il saluto ed il duce) svuotandolo di significato, ma lo lega anche al discorso dell’obbedienza. Un’opera incredibilmente matura, magistralmente musicata tra colonna sonora e canzoni originali, in grado di porre un valido confine tra vita e morte.

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