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Recensione – The Artist: il tributo di Michel Hazanavicius che ha trionfato agli Oscar

Recensione - The Artist: il tributo di Michel Hazanavicius che ha trionfato agli Oscar

The Artist è un film del 2011 diretto da Michel Hazanavicius, con Jean Dujardin e Bérénice Bejo nei panni dei protagonisti; il prodotto cinematografico in questione rappresenta, in maniera particolarmente concreta ed esplicita, la volontà del regista francese – che ha girato, in un raro caso, all’interno di uno studio hollywoodiano – di effettuare non soltanto un nostalgico tributo, ma anche di far rivivere il cinema classifico attraverso la realizzazione di un film muto, in bianco e nero, che si serve di poche (e rare) didascalie. Vincitore di cinque Premi Oscar, per miglior film, migliore regia, miglior attore protagonista, migliore colonna sonora e migliori costumi, il film in questione rappresenta un tributo eccezionale, capace di superare i confini tradizionali del filologico. Di seguito, viene indicata la trama e la recensione di The Artist. 

La trama di The Artist, il film di Michel Hazanavicius che ha trionfato agli Oscar 

Il film The Artist, diretto da Michel Hazanavicius, si sviluppa sulla base di quattro tappe storiche – 1927, 1929, 1931, 1932 – che sono in grado di raccontare la storia dei protagonisti, George Valentin e Peppy Miller, oltre che i notevoli cambiamenti storici che hanno interessato gli Stati Uniti d’America dal punto di vista economico, sociale e cinematografico. Si parte con il grandissimo successo che il protagonista ha, grazie alle sue interpretazioni notevoli nel cinema muto che permettono di restituirgli fama e ammirazione; mentre il suo matrimonio sembra vacillare per mezzo di un’incomprensione costante con sua moglie, George conosce Peppy. Dopo essere stati paparazzati per un bacio sulla guancia, i due recitano anche all’interno di un film, con la donna che, da semplice comparsa, diventa attrice sempre più in vista all’interno di numerose produzioni.

 

La nascita del cinema sonoro cambia radicalmente la storia del cinema hollywoodiano e George Valentin, così come tanti altri suoi contemporanei, non accetta l’emergere di un’idea di cinema che ritiene quasi parodistica e sbagliata. Il suo declino, dovuto soprattutto a un orgoglio non capace di fargli accettare la volontà di cambiamento, si contrappone al grandissimo successo che Peppy Miller ha nel cinema sonoro; la resa dei conti c’è in occasione della prima dei film di entrambi, che avviene in occasione della stessa data: George ha investito tutti i suoi risparmi per realizzare un ultimo grande film muto nelle vesti di produttore, regista e protagonista, mentre Peppy è la diva hollywoodiana che cavalca il successo e schernisce le precedenti generazioni. A seguito del fiasco del primo e del grande ritorno di pubblico della seconda, i due sapranno collaborare generando la nascita di un nuovo grande genere: il musical

The Artist trama e recensione del film di Michel Hazanavicius

Recensione di The Artist: il coraggio di far rivivere la tradizione

Realizzare un prodotto che tratti il cinema muto nel 2011 sarebbe stato, di per sé, un qualcosa di ardito; dirigere un film muto, servendosi di poche didascalie, lo è ancor più. The Artist è sicuramente un film capace di vincere una sfida molto importante, in un’epoca che fuoriusciva appena dalla nascita del 3D e dall’incredibile successo mondiale di Avatar di James Cameron. Come se il suo grande amore incontrasse quello stesso orgoglio che viene restituito dal personaggio di George Valentin, la trasposizione nel film del regista stesso, Michel Hazanavicius decide di realizzare un qualcosa di fortemente ardito, ben lontano nel tempo e nello spazio da quelle epoche che hanno permesso – al cinema muto – di esistere e ottenere un notevole successo in tutto il mondo. 

 

Ad osservare il film nelle sue definizioni sembra di rivivere quel passato che ha interessato, tra gli altri, anche uno dei più grandi registi che la storia del cinema abbia consegnato ai posteri: Charlie Chaplin. Ben consapevole della nascita e lo sviluppo del cinema sonoro, il regista di City Lights continuò a proporre il suo ideale artistico, dovendo però scontrarsi con un mondo che ormai era cambiato e che richiedeva il suono della voce; fu con Il grande dittatore che Chaplin decise di realizzare il definitivo grande passo, regalando al mondo il canto del cigno del cinema muto attraverso una splendida e memorabile sequenza, in cui Heynkel gioca con il mappamondo per qualche minuto. Qui, il processo storico (dettato anche dall’emergere della crisi del ’29 e dalla povertà industriale che può abbattere anche un uomo di così tanto grande successo, come George) viene ricostruito per mezzo di una rappresentazione melodrammatica, che permette ad Hazanavicius di mostrare tutta la sua grandissima passione per il cinema classico. 

 

Più che essere un semplice film muto, The Artist è un prodotto che sceglie autonomamente di tapparsi la bocca: spogliandosi di tutti quegli elementi tecnici e quegli artifici retorici tipici di una concezione di cinema da cui il regista vuole essere ben lontano, il prodotto viene concepito come la risposta reazionaria ad un’epoca che inevitabilmente conosce il suo progresso, affacciandosi al cambiamento tecnologico, oltre che di linguaggio. Non a caso, il rumore è l’oggetto dell’inquietudine del protagonista, che sogna di vivere in un mondo che si esprime con i suoi rumori mentre non può produrre voce; sarà proprio quest’ultima, anche se in brevi e didascaliche battute finali, a segnare il passaggio verso un nuovo genere, il musical, che si osserva per mezzo del ballo che ha richiesto quattro mesi di preparazione ai protagonisti. Il passaggio dall’assenza del rumore alla sovrabbondanza dello stesso è il meccanismo di redenzione di George Valentin, capace di superare il suo orgoglio e comprendere le esigenze che il mondo ha: è l’idea più pura di compromesso che non comporta necessariamente una svalutazione artistica e stilistica, quanto più la creazione di forme ibride (un attore tipico del cinema muto e un’attrice divenuta celebre con il cinema sonoro) che vivono di ogni elemento di genialità. 

Recensione di The Artist, film vincitore di 5 Premi Oscar

The Artist tra citazioni e filologia: perché il film non è un solo esercizio di stile

Al di là del grandissimo pregio che The Artist assume, se posizionato all’interno di un’epoca storica come quella attuale, si può dire di più a proposito di un percorso artistico che vede Michel Hazanavius fortemente impegnato in un ideale rappresentativo piuttosto atipico: ben lontano dal realizzare meri esercizi di stile, che sarebbero volti a dimostrare la sua intelligenza e conoscenza storica in maniera quasi auto-celebrativa, il regista si è impegnato in un’epopea capace di far (ri)circolare canoni storici che hanno dettato, cambiato e – per molti versi – determinato la storia del cinema. Ognuna delle citazioni presenti all’interno del film, dunque, muove da due origini: la prima di natura prettamente filologica, la seconda che attiene alla sfera affettiva del regista stesso. 

 

Hazanavicius è un perfetto amanuense che parafrasa, cita, talvolta addirittura copia con garbo scene e sequenze che hanno fatto la storia del cinema, con l’intento di farle esistere nuovamente all’interno di una realtà cinematografica e artistica che sia ben lontana da quegli ambienti da cui attinge. L’obiettivo, però, ancora una volta non è dimostrare che si è capaci di riconoscere alcune delle suddette (dal momento che appartengono ad una tradizione cinematografica altamente basica per ogni addetto ai lavori), quanto più quello di restituir loro nuovo corpo e nuova vitalità, di innescare – cioè – un meccanismo secondo il quale pezzi di storia, staccati e riattaccati in nuove forme e versioni, sono capaci di funzionare allo stesso modo, regalando le stesse emozioni e generando (la critica lo dimostra con i numerosi premi destinati al film) la medesima reazione dal punto di vista sociale. 

 

Così, la sequenza iniziale in cui il pubblico applaude e osserva George Valentin in un film muto, accompagnato dall’orchestra in primo piano, richiama alla memoria il fascino di quella prima grande opera di meta-cinematografia che era stata oggetto di Dziga Vertov in L’uomo con la macchina da presa; la sequenza di campo e controcampo, capace di mostrare il declino del matrimonio tra George Valentin e sua moglie, invece, è in tutto e per tutto Quarto Potere, la cui potenza evocativa è richiamata anche dal grande quadro dell’attore, poi acquistato da Peppy in un’asta. 


Se la trama del film ricorda vagamente É nata una stella, inoltre, la scena del sogno di George Valentin (che sente i rumori di ogni cosa, tranne che della sua voce) ricorda molto da vicino quel clima di inquietudine presente nel sogno di Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, mentre il finale del lungometraggio generato dall’ambiguità del rumore tra sparo-incidente è la parafrasi di quello stesso lieto fine atipico che Billy Wilder aveva inserito all’interno del suo L’appartamento. In quel caso il rumore dell’eventuale sparo e della bottiglia stappata si confondevano dal punto di vista sonoro mentre, in questo, basta la didascalia “Bang!” a confondere gli spettatori: George Valentin non si è ucciso, ma è Peppy ad aver fatto un incidente nella volontà di giungere velocemente dall’amato.


Dulcis in fundo, la colonna sonora del film (meritevole del Premio Oscar) cita integralmente il tema composto da Bernard Herrmann per Vertigo di Alfred Hitchcock; in ognuna delle scelte, dunque, c’è un rimando a grandi nomi, che hanno permesso di cambiare definitivamente la storia del cinema: The Artist si configura, dunque, come un perfetto tributo che non fa della nostalgia un excursus fine a se stesso, ma un elemento capace di rivitalizzare ciò che c’è stato, inserendolo perfettamente in un meccanismo di contemporaneità e sfidando, con successo, l’ostacolo naturale del tempo. 

Voto:
4.5/5
Andrea Barone
5/5
Andrea Boggione
4/5
Vittorio Pigini
4.5/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

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