Recensione – Il primo giorno della mia vita: il limbo di Roma nella commedia drammatica di Paolo Genovese

Il primo giorno della mIa vita recensione del film di Paolo Genovese con Tony Servillo

Articolo pubblicato il 1 Febbraio 2023 da Vittorio Pigini

Prodotto dalla Lotus Production e distribuito nelle sale da Medusa Film, “Il primo giorno della mia vita” è il 14° lungometraggio diretto dal regista romano Paolo Genovese, il quale aveva già coronato il suo successo superando diversi record con “Perfetti Sconosciuti” del 2016. Questa commedia drammatica con elementi fantasy-sovrannaturali italiana è uscita nelle sale il 26 gennaio 2023 e, nel cast, figura nomi di spicco quali Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea e Sara Serraiocco. Ecco di seguito la recensione di “Il primo giorno della mia vita”, l’ultimo film di Paolo Genovese.

Il primo giorno della mia vita, di Paolo Genovese: la trama del film

In una piovosa notte romana, la poliziotta Arianna conduce assieme al suo collega una ronda notturna di routine ma, una volta che quest’ultimo scende dal veicolo per potersi procurare due caffè la donna, impugnando la sua pistola, è intenta a suicidarsi. Giunge all’abitacolo un uomo misterioso, anziano e trasandato, che la convince ad allontanarsi dall’auto, mentre nella vettura si sente lo sparo.

 

Entrata in macchina della misteriosa figura, Arianna fa la conoscenza anche di altre 2 persone: Napoleone, uno stimato motivatore ma dall’atteggiamento scontroso ed Emilia, giovane campionessa dell’atletica rimasta sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente; a questi si aggiungerà poi il giovane Daniele, bambino di 7 anni sfruttato dai genitori a diventare uno youtuber di successo dedito a mangiare spesso dolci in live nonostante sia diabetico. Il misterioso Uomo conduce tutti in un hotel dando loro appuntamento alla mattina successiva e così Arianna riesce a capire quello che sta succedendo: lei e tutti gli altri si sono in realtà suicidati nella stessa sera e l’Uomo ha concesso loro una settimana di tempo per decidere se continuare a vivere, oppure scegliere di andarsene per sempre. In questi 7 giorni l’Uomo anziano cercherà di far tornare loro la voglia di vivere.

 

Recensione – Il primo giorno della mia vita: il nuovo film di Paolo Genovese poco “fantasyoso” e molto di già visto, ma non solo

Cogli l’attimo“, “Vivi la tua vita, non sprecarla!“, “Sai perché cadiamo? Per imparare a rimetterci in piedi”, “La vita è meravigliosa” (sì, anche e soprattutto l’intramontabile classico di Frank Capra del 1946).

Quante volte lo spettatore si è posto davanti ad una visione che trasmettesse questo messaggio? Un film inno alla vita – che faccia percepire la doverosità di non arrendersi ai nefasti periodi della propria esistenza attraverso la forza delle immagini – che risulta sempre di più necessario e ben accolto, anche se i temi sostanzialmente tendono a ripetersi (semplicità non è sempre sinonimo di mediocrità). Peccato che il nuovo film di Paolo Genovese sia in tal senso estremamente banale, retorico e a tratti ruffiano per una determinata fetta di pubblico, ma non solo.

 

La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2018 scritto dallo stesso regista, che appunto ambienta qui la narrazione nella sua Roma in una notte particolarmente piovosa, ravvicinando la memoria a qualche mese fa con “Piove” di Paolo Strippoli, accomunati per un gioco di specchi anche da un determinato legame con la morte e la rinascita, nel mezzo di manifestazioni – se non bibliche – angeliche. La fiaba inscenata da Genovese risulta essere però appunto particolarmente superficiale e scontatamente banale nella sua realizzazione, con la vittoria dei buoni sentimenti e sciupando diversi sviluppi narrativi che avrebbero goduto sicuramente di una miglior trattazione del lato emotivo. In “Il primo giorno della mia vita” – oltre al focus primario di inno – si va infatti a toccare molte corde emotivamente dolenti e tematicamente pregne, come l’elaborazione del lutto, l’abbandono, il bullismo e il sofferente esistenzialismo umano che non necessita di una motivazione, ma bagnando il tutto all’acqua di rose, risolvendo i vari e complessi problemi a forza di slogan e con un classico <<non se ne sono andati veramente, sono sempre qui dentro”>> indicando il cuore.

 

Ripetendo che il tutto non sarebbe di fatto un vero elemento di stroncatura al nuovo film di Paolo Genovese – in quanto i buoni sentimenti (pur ribaditi) sono sempre ben accetti ed in quanto si giocherebbe molto col gusto personale dello spettatore riferito al livello “diabetico” – i problemi sorgono non solo quando il focus/messaggio viene didascalicamente ripetuto per tutta la durata del film, ma anche quando si visiona una superficialità di scrittura e di messa in scena che non ci si può aspettare da un regista acclamato alla sua 14a opera. Nella sceneggiatura dello stesso Genovese (ed altre 6 mani, con Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar) sono strabordanti le forzature sia per quanto riguarda la scrittura dei personaggi alquanto macchiettistici (il padre di uno dei personaggi è a dir poco inverosimile), sia riguardanti l’incapacità di giocare con il fantasy. In “Il primo giorno della mia vita” ad essere perenne è la sospensione dell’incredulità riferita alla situazione “paranormale”: a volte spiegata – per poi essere ripetutamente smentita – a volte no, creando solo una gran confusione.

 

Ma certo non finiscono alla sceneggiatura i punti critici del film, coinvolgendo molto la messa in scena tutta. Oltre all’esasperazione dei “buoni sentimenti” sopracitati a mezzo di colonna sonora di Maurizio Filardo, che avverte dichiaratamente lo spettatore dell’arrivo di un momento drammatico (ben 2 volte si canta Hallelujah), la regia di Genovese risulta essere fastidiosamente dinamica per una narrazione del genere, tendendo a lasciare l’inquadratura per brevissimi secondi, per poi poi tagliarla con riprese da ogni angolazione possibile e continui scavalcamenti di campo senza cognizione di causa. Inspiegabile e ci si ricollega anche al fatto di aver sciupato spesso la potenza drammatica della visione.

 

Recensione – Il primo giorno della mia vita: luci a Roma, di una sera piovosa

Sicuramente il nuovo film di Paolo Genovese non sembrerebbe aver lasciato una prova sufficiente, anche se, a conti fatti, non è tutto da buttare giù da un ponte. Ripetendo che “Il primo giorno della mia vita” vince in buoni sentimenti e che questi non siano affatto da condannare in termini assoluti, il film comunque riesce a mostrare diverse situazioni drammatiche e scottanti con una certa delicatezza, riuscendo a suscitare anche qualche sorriso di black humor. Sebbene poi la realizzazione sia – se non da dimenticare – comunque discutibile, l’ultima opera di Paolo Genovese avrebbe potuto godere di una buona base di partenza per qualcosa di comunque inusuale soprattutto in un determinato panorama di cinema italiano e l’idea (soprattutto produttiva) è sicuramente da premiare in vista di futuri emulatori, nonostante il regista non abbia inventato niente di nuovo per il cinema.


Inoltre – registrando comunque la presenza di alcune sequenze ad effetto, molte delle quali vedono come protagonista il personaggio di Napoleone, ma anche un affascinante “gioco di luci” (decisamente meno quando goffamente si tenta di spiccare il volo) – a vincere in simpatia, e riuscendo a far chiudere molti occhi ai punti critici del film, è sicuramente la forza attrattiva del suo cast. Genovese mette in scena ancora dei perfetti sconosciuti riuscendo a dare ad ognuno una propria impronta sul film, senza oscurare nessuno ma anzi valorizzando tutti i suoi componenti.


Nel validissimo cast corale si ricordano innanzitutto le giovani prove convincenti di Gabriele Cristini e Sara Serraiocco (“Siccità”, “Il signore delle formiche”), che supportano quelle più di spessore delle sofferte e scavate maschere di Margherita Buy (“Tre Piani”, “Esterno Notte”) e Valerio Mastandrea (“Diabolik – Ginko all’attacco!”, “Siccità”) alla sua 4a collaborazione con Paolo Genovese. Capitano del cast è sicuramente però l’angelica prova di un coinvolgente Toni Servillo (“La grande bellezza”, “È stata la mano di Dio”, “La stranezza”, “Qui rido io”) che, soprattutto negli ultimi anni – e questi “ultimi anni” stanno continuando ormai da tanto tempo – conferma di non riuscire a sbagliare un film. Molti punti a favore che purtroppo però non riescono a bilanciare il resto.

Valutazione
2.5/5
Christian D'Avanzo
1.5/5