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Da Rocky a Creed: l’eredità di una leggenda

Da Rocky a Creed, il reca della saga con Sylvester Stallone

Nove film e quasi 3 miliardi di dollari di incassi: in quasi cinquant’anni l’epopea di Rocky ha saputo emozionare gli spettatori di tutto il mondo.  In previsione di Creed III ecco un riassunto della saga che va da Rocky a Creed, dal 1976 ad oggi. 

Anni ’70, la genesi del personaggio di Rocky

Sylvester Stallone ad oggi è considerato una delle star più importanti del panorama hollywoodiano e insieme al nemico-amico Arnold Schwarzenegger, il prototipo dell’action hero moderno. Eppure ci fu un tempo in cui l’ex Demolition Man faceva letteralmente la fame.  Con una moglie a carico e un figlio in arrivo, per esigenze economiche il futuro Stallone Italiano si riduce a fare lavoretti umili e poco retribuiti, costretto adddirittura a vendere il proprio cane Butkus pur di racimolare qualche spicciolo. 

Il giovane Sylvester però coltivava il sogno di lavorare nel cinema e, durante i primi anni 70,  sbarcava il lunario arrotondando con piccole comparsate in produzioni di seconda fascia, riducendosi a recitare in un soft-porno (il suo primo vero esordio da protagonista) per la misera cifra di 200 dollari. Non esattamente una partenza memorabile per il promettente attore che, nonostante le difficoltà, non demorde e dopo essersi trasferito da New York a Los Angeles riesce ad ottenere dei piccoli ruoli in Anno 2000 – La corsa della morte, Il dittatore dello stato libero di Bananas di Woody Allen e un ruolo più rilevante in Quella sporca ultima notte.

 

Qualcosa si sta muovendo nella vita dell’attore italoamericano e la svolta avvenne nel 1975, grazie ad un incontro di boxe. L’idea alla base di Rocky venne a Sly dopo aver assistito al match tra Mohammed Alì e Chuck Wepner, un pugile semisconosciuto dal fisico imponente e dall’aggressività piuttosto marcata.  Alì era una vera macchina da guerra all’epoca, nessuno riusciva a tenergli testa, nessuno tranne Wepner.  Il pugile newyorkese resistette per ben 15 riprese prima di andare al tappeto, riuscendo nella storica impresa di mettere KO il campione del mondo dei pesi massimi.  Sly rimase folgorato, prendendo spunto dall’incontro scrisse il soggetto di Rocky in soli tre giorni e lo propose ai produttori Robert Chartoff e Irvin Winkler della United Artist durante un provino per un altro ruolo. I produttori, stupefatti dalla storia, vollero produrre il film ma Stallone impose una sola condizione: il protagonista di Rocky doveva essere lui perché, nonostante Sly non fosse un pugile, il film era una sorta di autobiografia.

 

Nonostante lo scetticismo iniziale dei produttori, che preferivano attori ben più esperti come Robert Redford o Burt Reynolds, Sly riuscì a strappare l’accordo e le riprese di Rocky iniziarono nei mesi successivi. Non scherzava Sly quando diceva che Rocky era fondamentalmente un biopic, la storia di un pugile di periferia squattrinato e sconosciuto a cui viene concessa la chance per svoltare: sfidare il campione del mondo in carica in un match per il titolo. Esattamente la stessa occasione che ha avuto un attore sconosciuto per emergere dal nulla più assoluto.

 

Il successo di Rocky e i guadagni del film con Sylvester Stallone

 

Un film intimo, personale e con grande cuore, Rocky fa breccia nell’animo degli spettatori di tutto il mondo che si rispecchiano nel carattere introverso e solitario dei protagonisti, dallo stesso Balboa alla timida Adriana (Talia Shire) fino al burbero Paulie (Burt Young) e all’anziano manager Mickey (Burgess Meredith).

Costato 1 milione di dollari, Rocky incassò a fine corsa la bellezza di 225 milioni risultando il maggior incasso del 1976.


Tecnicamente innovativo, con l’invenzione della Steadycam che farà la fortuna di tanti film a venire tra cui Shining, scritto col cuore, interpretato con l’anima e con una colonna sonora (ad opera di Bill Conti) destinata a diventare epica: il film venne nominato a dieci Oscar portando a casa tre statuette tra cui Miglior film, Miglior regia (a John Avildsen, futuro regista di Karate Kid) e Miglior montaggio, battendo concorrenti illustri come Taxi Driver e Tutti gli uomini del presidente.  La stella di Sylvester Stallone (nominato come Miglior attore e Miglior sceneggiatura) era in procinto di esplodere, con le porte dell’Olimpo di Hollywood che si spalancarono definitivamente per l’attore italoamericano.  Piccola curiosità: l’assegno che Sly incassò per la sceneggiatura permise all’attore di ricomprare il suo cane, il molosso Birillo che appare nel film come animale domestico di Balboa.

Anni ’80: i sequel di Rocky diretti da Stallone

Il successo globale di Rocky fece letteralmente girare la testa ai vertici della United Artist, che diedero immediatamente il via libera allo sviluppo del seguito. Passarono solo 3 anni, infatti, per vedere su grande schermo il continuo della storia dello Stallone Italiano.


Rocky II uscì nel 1979 con lo stesso cast del primo film, Stallone torna nelle vesti di attore, sceneggiatore e anche regista a causa degli impegni di John Avildsen nella pre-produzione de La febbre del sabato seraIl secondo film inizia dove finisce il primo: Apollo Creed (Carl Weathers) pur avendo vinto il primo incontro, sfida di nuovo Rocky in una clamorosa rivincita.  Balboa, reduce da un trauma subito all’occhio sinistro, inizialmente cerca di tirare a campare con lavoretti saltuari e poco remunerativi (altra allegoria alla vita privata di Sly pre-Rocky) ma alla fine cede alla tentazione della sfida e riprende ad allenarsi sotto la sapiente guida di Mickey. 

 

Sly, in questo sequel, riporta lo Stallone Italiano con i piedi per terra spostando l’attenzione tanto sulla disastrata famiglia Balboa quanto sulla rabbia di uno scontento Apollo, amareggiato di aver vinto ai punti il primo match senza però aver mai mandato KO Rocky.  Rocky II, esattamente come il primo, fu un successo straordinario con un incasso di 200 milioni di dollari nel mondo. Squadra che vince non si cambia se i ritmi di lavoro e i risultati sono sempre gli stessi.

 

Fu così che nel 1982 uscì nelle sale il terzo seguito, Rocky III, sempre scritto, diretto ed interpretato da Sylvester Stallone. Rocky, ormai campione del mondo, è diventato borioso ed arrogante, talmente superbo da sottovalutare le gesta del brutale Clubber Lang (Mr.T), un pugile di colore affamato e violento.  La perdita del titolo e la morte di Mickey saranno dei duri colpi per Balboa, solamente l’intervento dell’ex campione Apollo Creed, deciso ad allenare Rocky, faranno tornare a Rocky i cosiddetti “occhi della tigre” risvegliandolo dal suo torpore. La saga ormai è talmente rodata che non c’è nemmeno bisogno di dire che il terzo film fu un successo epocale, arrivando ad incassare quasi 300 milioni di dollari nel mondo e lanciando nelle hit parade del pianeta il singolo Eye of the Tiger dei Survivor.

Rocky IV: il film più iconico

Rocky IV, uscito nel 1985, è tuttora considerato un classico senza tempo, probabilmente il film più famoso della saga forse anche più del primo.  L’Unione Sovietica lancia una sfida di carattere sportivo al mondo occidentale: il pugile dilettante Ivan Drago (Dolph Lundgren) sbarca col suo team negli Stati Uniti per un incontro amichevole con il campione del mondo Rocky Balboa.  Indispettito dall’arroganza dei russi, Apollo Creed (ormai pugile in pensione) accetta la sfida al posto dello Stallone Italiano affrontando Drago a Las Vegas. 


Tuttavia la potenza dei pugni di Drago lasceranno il segno sul corpo di Creed, che morirà tra le braccia di Rocky sotto gli occhi glaciali e pieni di odio del colosso sovietico.  Spinto dal desiderio di vendetta, Balboa sfiderà i propri limiti in un allenamento estremo tra le gelide lande dell’Unione Sovietica prima di affrontare lo spietato Drago davanti al pubblico di casa. Sebbene venga additato come un film Reaganiano e di propaganda (soprattutto per l’amicizia nemmeno tanto velata tra Stallone e il presidente degli Stati Uniti), Rocky IV in realtà è una palese metafora dell’antico conflitto dell’uomo contro la macchina: il personaggio di Ivan Drago è la perfetta rappresentazione del mostro di Frankenstein in chiave pugilistica, creato ad arte dai suoi padroni, Drago si ribella cercando un’indipendenza che non troverà mai.

 

Nel mezzo troviamo Rocky con un allenamento spartano fatto di sangue, sudore e lacrime; un perfetto contraltare del distaccato training sovietico fatto di tecnologia, ipercontrollo e apparente insensibilità. Stallone, ancora una volta dietro la macchina da presa, fotografa perfettamente il dualismo di questi due grandi personaggi in una metafora grottesca della Guerra Fredda in salsa sportiva.  Sly, inoltre, nel 1986 metterà a segno una doppietta, Rocky IV fu il secondo film con gli incassi più alti dietro a Rambo 2 – La vendetta, con la stella di Stallone nella Hall of Fame di Hollywood che è più viva che mai.

La delusione e la rinascita: il quinto e il sesto film di Rocky

Dopo aver affrontato degli avversari temibili ed apparentemente invincibili, Rocky V uscito nel 1990 riporta lo Stallone Italiano in una dimensione più urbana e decisamente più in linea con il capostipite del 1976. A causa della speculazione di un bieco commercialista, Balboa finisce in bancarotta. Impossibilitato a proseguire la sua carriera di pugile a causa delle lesioni cerebrali subite nel combattimento contro Drago, l’ex campione del mondo è costretto a ritirarsi e a tornare nel suo vecchio quartiere ricominciando tutto da capo. L’occasione di rivalsa per Rocky si manifesta nella figura di Tommy Gunn (Tommy Morrison), giovane pugile promettente in cui Balboa si rivede. Allenando Tommy, tuttavia, il protagonista perde di vista il valore della famiglia iniziando a trascurare suo figlio Robert (interpretato dal vero figlio di Stallone, Sage) e sua moglie Adriana. Il quinto film della saga vede il ritorno di John Avildsen alla regia, trasportando nuovamente lo Stallone Italiano nel ghetto di Philadelphia.


Purtroppo però, il film non convince appieno: la stanchezza inizia a farsi sentire tanto nella scrittura quanto nell’interpretazione di Sly, palesemente annoiato e mai coinvolto appieno nel progetto. Stallone in un primo momento aveva addirittura tentato di far morire Rocky nello showdown finale, tuttavia la scelta fu scartata dai produttori Chartoff e Winkler a favore di un finale più lietoUna pigrizia di scrittura da parte di Sly che si riflette inesorabilmente sull’effettiva qualità del film, con i fans che non hanno mai gradito l’allontanamento di Rocky dal ring, nonostante la pellicola tenti di recuperare il sapore nostalgico del primo film anche grazie a convincenti flashback con protagonista il defunto Mickey. Rocky V incasserà la misera cifra di 40 milioni di dollari in America e un incasso globale di 119 milioni, rivelandosi un flop e facendo allontanare Stallone dalla sua creatura per ben 16 anni.


Rocky Balboa, uscito nel 2006, segna il ritorno in pompa magna del pugile più amato d’America. Stallone, scontento del misero risultato ottenuto col quinto capitolo, cercò in più modi di riportare in auge lo Stallone Italiano nel corso degli anni ma senza successo. Fu solo nel 2005 che la Revolution Studios stanziò i fondi necessari alla realizzazione del film, con Sly in prima linea a scrivere, dirigere ed interpretare ancora una volta (all’epoca l’ultima) il ruolo che lo rese famoso nel mondo. Stallone, ancora una volta, sfrutta Rocky come allegoria della sua vita privata e lavorativa, un attore che dalla seconda metà degli anni 90 in poi ha fatto fatica a rimanere a galla, complici dei flop clamorosi come Driven (2001), La vendetta di Carter (2000) e D-Tox (2002).


Il pugile italoamericano, esattamente come Sly, risorge dalle sue ceneri tornando sul ring alla veneranda età di 60 anni: rimasto vedovo e senza stimoli, Balboa accetta la sfida del campione in carica Mason Dixon (Antonio Carver), dopo che quest’ultimo è stato virtualmente sconfitto dallo stesso Rocky in una simulazione mandata in onda sulla ESPN. Rocky Balboa è un atto d’amore verso il personaggio e il suo mondo, dopo la bellezza di 16 anni nulla è cambiato: ritroviamo Rocky maturato ma a tratti disilluso, reduce da un grave lutto e incapace di instaurare un rapporto affettivo col figlio Robert (Milo Ventimiglia), stufo di vivere all’ombra del padre. Il sesto film riesce nell’ardua impresa di riavvicinare i fans storici alla saga grazie ad uno script delicato ed emozionante, capace di commuovere senza però risultare ruffiano o ridondante.

Un rilancio in grande stile per la carriera dell’attore newyorkese, che sfrutta l’occasione non solo per rinascere come artista ma anche per dare una degna conclusione al viaggio del pugile più amato del cinema dopo il deludente quinto film. Rocky Balboa si rivelerà un successo straordinario, grazie al quale Stallone tirerà fuori dalla naftalina (nel 2008) un altro iconico personaggio della sua variopinta carriera: John Rambo.

Creed e Creed II: il passaggio di testimone

Rocky Balboa sembrava la fine della corsa per Sly e il suo boxeur di Philadelphia ma non era dello stesso avviso Ryan Coogler che, fresco di accordo con la MGM, propone a Stallone il soggetto del primo spin-off della saga: CreedLo script del progetto, firmato dallo stesso Coogler, narra delle vicende del giovane Adonis (Michael B. Jordan), figlio illegittimo dell’ex campione Apollo Creed, che cerca di farsi strada nel mondo della boxe cercando in Rocky un mentore.

 

 

Creed – Nato per combattere (questo il titolo in italiano) riesce ad essere, nella sua natura di spin-off, anche un soft reboot della saga: elegante nella messa in scena, emozionante e malinconico nel voler raccontare una storia più umana che sportiva, in pieno stile RockyUna pellicola che mette in risalto le doti attoriali (e fisiche) di Michael B. Jordan senza però relegare la figura di Rocky-Stallone ad una mera figurina.  Anzi, il ruolo dello Stallone Italiano è di vitale importanza per la crescita del protagonista, che emerge dalla sua mediocrità elevandosi ad un livello più alto, sia come pugile ma prima di tutto come uomo.  Creed inoltre frutterà un Golden Globe come Miglior attore a Sylvester Stallone e una nomination agli Oscar come Miglior attore non protagonista. Come da programma, il successo di Creed spalancò le porte del sequel, uscito nel 2018.

 

 

Il film riprende alcuni personaggi e parecchie tematiche da Rocky IV: mentre Adonis diventa campione del mondo dei pesi massimi, parallelamente in Ucraina il giovane e sconosciuto pugile Viktor Drago, figlio di Ivan, fa mattanza di avversari nei circuiti minori.  Stanchi di una vita passata nell’ombra per colpa di Rocky, Ivan e suo figlio sfidano Adonis per il titolo mondiale. Orfano alla regia di Ryan Coogler (preso nella pre-produzione di Black Panther) e con Stallone che torna alla sceneggiatura, Creed II è un sequel palesemente più debole del precedente sia come struttura narrativa (che riprende fin troppi canovacci da Rocky IV), sia per una messa in scena troppo patinata e poco realistica nei combattimenti. 

 

Tuttavia, al netto dei difetti, la pellicola porta avanti l’eredità di Rocky trattando il lato umano della vicenda in maniera convincente: il rapporto padre-figlio, la perdita degli affetti e il rischiare il tutto per tutto pur di vincere per dimostrare a se stessi qualcosa, tematiche sempre care alla saga fin dal capostipite del 1976.

 

Stallone, come già largamente anticipato, non tornerà nel ruolo di Rocky per Creed III, in uscita il 2 marzo 2023 al cinema e che segna il debutto alla regia del protagonista Michael B. Jordan.  Adonis questa volta sarà alle prese con i fantasmi del suo passato che prendono vita nella figura di Damian Anderson, un ex galeotto ed amico d’infanzia del campione del mondo.  Anderson sarà interpretato dal lanciatissimo Jonathan Majors, visto di recente nei panni del villain Kang Il Conquistatore nell’ultimo film dei Marvel Studios Ant-Man and the Wasp: Quantumania.