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Recensione – Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores

Recensione - Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores

Distribuito in sala a partire dal 30 marzo 2023, Il ritorno di Casanova è un nuovo film di Gabriele Salvatores, che si avvale della collaborazione con Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio, oltre che dell’amichevole partecipazione di Ale e Franz. Ispirato liberamente al racconto omonimo di Arthur Schnitzler del 1918,  il prodotto si serve di una narrazione metacinematografica per riflettere sul tema della depressione e della mancanza di stimoli che affronta Leo Bernardi (il protagonista del lungometraggio), in occasione del suo ultimo film, con una cornice di chiara derivazione felliniana. Ma avrà soddisfatto le aspettative? Di seguito, si indica la trama e la recensione del fim. 

La trama di Il ritorno di Casanova con Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio

Leo Bernardi (Toni Servillo) è un regista che affronta il montaggio del suo ultimo film, Il ritorno di Casanova, in virtù dell’imminente partecipazione al Festival del Cinema di Venezia, che inizia ad essere molto pressante a proposito della consegna del materiale e della partecipazione dell’uomo a diverse interviste promozionali. Intanto, la sua vita prosegue in modo particolarmente difficile, in virtù di due figure: la prima è Silvia (Sara Serraiocco), donna che ha conosciuto sul set del film, è una contadina di cui è innamorato ma con cui conosce diverse difficoltà a causa della differenza di età, che porta il regista a credere di potersi sentire ancora giovane; la seconda è Lorenzo Marino, giovane regista rivale che, a seguito del suo primo film, viene già riconosciuto dalla critica come il futuro del cinema italiano. 

 

 

Questi elementi sono alla base di un periodo di profonda depressione da parte del regista, che si disinteressa totalmente al film, lasciando al suo montatore (Natalino Balasso) l’arduo compito. Sulla base di queste premesse, il film studia il rapporto tra il film – che vede un Casanova (Fabrizio Bentivoglio) anziano che cerca di sentirsi ancora ai fasti della sua vita – e il suo regista, per mezzo di una metacinematografia che costituisce l’elemento dominante della pellicola. 

Il ritorno di Casanova, trama e recensione

La recensione di Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores

Attraverso il discorso metacinematografico, Il ritorno di Casanova si propone di offrire un parallelo tra la vita del regista Leo Bernardi e la sua creatura, di cui si disinteressa a causa delle distorsioni di una vita che alimenta la sua depressione. I problemi, che si evidenziano nell’approccio con un film che non riesce ad essere concluso, rimandano immediatamente ad un contenuto di natura felliniana che vede – in 8 e mezzo – il riferimento costante del film. Purtroppo, se già lasciarsi ispirare da un film che ha cambiato la storia del cinema apparirebbe ardito, il risultato del film di Gabriele Salvatores non può dirsi certamente soddisfacente osservando la resa di un prodotto che sembra aver dimenticato (o peggio, non compreso) l’insegnamento che Federico Fellini voleva offrire all’interno del suo capolavoro. 

 

Il ritorno di Casanova si presenta, per questo motivo, come un film totalmente smunto e privo di significato, in cui il tema della vecchiaia vuole essere unito a quello dell’insofferenza pur in assenza di una soluzione di continuità valida, che si osserva nella concezione narrativa del prodotto, oltre che nel suo formato. L’espediente con cui viene rappresentato il passaggio dalla vita di Leo Bernardi al suo film è non soltanto debole, ma anche mal fatto, per mezzo di stacchi improvvisi e poco fluidi che, pena un montaggio mai intelligente, hanno come unico obiettivo la confusione dello spettatore. Una parentesi va aperta anche sulla fotografia che, specie nel suo bianco e nero assolutamente scolastico, minimizza le figure appiattendole sullo schermo, restituendo una visione totalmente anonima che non riesce a giustificare il senso della sua esistenza. Di anonimato si parla anche per quanto riguarda la gestione dei dialoghi e dei monologhi presenti all’interno del film: in una scena, il Leo Bernardi di Toni Servillo cita Hitchcock in quello che dovrebbe essere il momento cardine della pellicola ma che, per la consistenza goffa dell’intero prodotto, si riduce ad un’esaltazione tronfia dell’inconsistenza dell’autore.

 

Purtroppo, non si può certamente considerarlo un risultato premeditato: Leo Bernardi vorrebbe essere un Guido Anselmi che si confronta con il mondo dell’inquietudine, dell’ansia sociale, della pressione mediatica, in una rivisitazione di quella cornice felliniana che dovrebbe arricchirsi di oggetti smart. Purtroppo, però, manca la materia prima, insita in quella comprensione intestina della concezione umana che qui manca totalmente, riducendo l’intero film a sterili attimi che tentano di essere resi epici ma che, a posteriori, appaiono soltanto goffi: Toni Servillo non è Marcello Mastroianni, non soltanto in tema di recitazione, quanto più per un discorso relativo all’estetica di personaggi che, naturalmente, appaiono diametralmente opposti. La stessa concezione della donna, che qui viene ridotta a fugace immagine di onanismo onirico, è lontana anni luce del contenuto che Federico Fellini offriva all’interno del suo obiettivo, per cui certamente non basta offrire un insieme di sequenze distorte per capovolgerne la resa. Vien da chiedersi, per questo motivo, se Il ritorno di Casanova volesse essere un tributo, la conseguenza di un’ispirazione o una nuova volontà di rappresentare un tema fino a questo momento intoccabile: in ogni caso, il risultato non può che dirsi pessimo. 

La recensione di Il ritorno di Casanova

Il ritorno di Casanova: un film sconclusionato e fuori dal tempo

C’è un elemento che, a margine della recensione di Il ritorno di Casanova, può essere citato al fine di sottolineare maggiormente quale sia la gravità del prodotto, considerando tanto gli aspetti tecnici quanto quelli narrativi e coinvolgendo, al di là della scrittura, anche il suo concepimento artistico e ideologico. Il vero problema di Il ritorno di Casanova si ritrova nella sua atemporalità, che contraddistingue il film pur dovendo necessariamente rendersi conto del fatto che si tratta di un elemento tutt’altro che volontario. Alcuni dettagli del film dimostrano, da parte di Gabriele Salvatores, una passione morbosa per elementi personali (come se un film fosse riducibile a pastiche di elementi sensoriali, evocazioni, idee fugaci da annotare o passioni da inserire contemporanemente) non trovano spazio o senso logico all’interno della pellicola, che vengono inseriti senza alcuna soluzione di continuità e che, a margine dell’osservazione del film, appaiono noiosamente ridondanti. 

 

 

In un punto del film, in cui Leo Bernardi cerca di rincorrere Silvia, il regista ricrea l’opera Bambina con il palloncino di Bansky (capovolgendo addirittura le figure rispetto alla loro prospettiva originale) senza alcun tipo di connessione logica con il senso del film e smarrendo, allo stesso tempo, anche il pensiero che sta alla base del quadro/murale dell’artista britannico. In un altro momento del lungometraggio, invece, la casa automatizzata del regista si ribella al suo spirito – come esplicitamente detto da un apparentemente rassegnato Bernardi -, azionando contemporaneamente rubinetti, elettrodomestici e ogni altro dispositivo connesso; in una rappresentazione grottesca che attinge (anche in questo caso non volontariamente) dall’estetica e dalla considerazione superficiale dell’intelligenza artificiale degli anni Ottanta, Gabriele Salvatores dimostra di essere ancorato ad un passato ideologico di cui anche il film nel film, che riflette sul tema della vecchiaia, cerca di fare a meno. 

 

 

E ancora, il film compie un’operazione che appare totalmente illogica – riuscendo a non funzionare neanche se la si pensa come provocazione sterile – servendosi del corpo batchiniano di Fabrizio Bentivoglio, rappresentato nella sua nudità: a nulla servono il ventre flaccido o il fallo in primo piano, che certamente appaiono ancora una volta dissonanti rispetto all’idea di racconto di Casanova. Un Salvatores che tradisce, dunque, costantemente se stesso, proponendo versioni su versioni dello stesso racconto e restituendo costantemente l’idea un lavoro realizzato da più età (o più versioni?) dello stesso autore, non riuscendo mai a convivere dignitosamente. 

Voto:
1.5/5
Gabriele Maccauro
1.5/5
Andrea Barone
3/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
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