Recensione – Pulp Fiction: cult e capolavoro di Tarantino

La recensione di Pulp Fiction, di Quentin Tarantino

Articolo pubblicato il 24 Maggio 2023 da Christian D'Avanzo

Pulp Fiction è un film di genere pulp, thriller e drammatico, uscito in sala nel 1994, diretto da Quentin Tarantino. Si tratta del secondo film del regista statunitense, talmente apprezzato sin da subito da valergli l’Oscar per la Miglior sceneggiatura originale, ma le nomination nel 1995 erano ben 7. Ma non solo, il film vinse anche la Palma d’oro, non senza contestazioni. La durata di Pulp Fiction è di circa 153 minuti, e nel cast ci sono John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Harvey Keitel, Tim Roth, Bruce Willis, Amanda Plummer, Christopher Walken, Rosanna Arquette, Eric Stoltz, Ving Rhames, Maria de Medeiros. Di seguito la trama e la recensione di Pulp Fiction, cult e capolavoro di Quentin Tarantino

La trama di Pulp Fiction, diretto da Quentin Tarantino

La trama di Pulp Fiction, diretto da Quentin Tarantino:

 

“La storia è composta da tre racconti distinti, in ordine non cronologico, che si sviluppano intrecciandosi in una sorta di percorso circolare, con inizio e fine al mattino e nello stesso posto, una caffetteria di Los Angeles chiamata Hawthorne Grill. Nel primo racconto troviamo una coppia di amanti rapinatori, Yolanda (Amanda Plummer) e Gringo (Tim Roth), che derubano la caffetteria. La seconda scena invece è ambientata a bordo di una macchina, dove i due scagnozzi Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Vincent Vega (John Travolta) al servizio del boss malavitoso Marsellus Wallace (Ving Rhames) sono in viaggio verso l’appartamento dei ragazzi che hanno rubato una valigetta di proprietà del loro capo, con l’intenzione di recuperarla e punire i ladri. Quando tornano al locale di Wallace, lo trovano in compagnia del pugile Butch (Bruce Willis), che sta ricevendo istruzioni per andare al tappeto di proposito durante il prossimo incontro.

 

La terza scena racconta dell’appuntamento tra Vincent e Mia (Uma Thurman), moglie di Marsellus, che ha chiesto al suo uomo di portare fuori la ragazza. Prima dell’incontro, Vincent acquista dell’eroina, poi porta a cena Mia nel locale anni ’50 Jack Rabbit Slim’s, dove i due si lanciano in una gara di ballo. Tornati a casa, la serata prende una piega inaspettata quando Mia trova la droga di Vincent e va in overdose; a quel punto inizia la folle corsa di Vincent per tentare di salvarla. Queste naturalmente sono solo le ambientazioni principali e sono moltissime altre le scene che si susseguono in un crescendo di avvenimenti e colpi di scena“.

La recensione di Pulp Fiction, di Quentin Tarantino

La recensione di Pulp Fiction: decostruzione pulp firmata da Tarantino

Quentin Tarantino è appena al suo secondo film in carriera, ma dimostra nuovamente, dopo Le Iene, di essere un cinefilo coi fiocchi. Il suo postmoderno torna a mettere in auge una danza della violenza, dove gangsters, rapinatori e un pugile allo sbando, diventano contenitori ed esternazione eccessiva del pulp, con tanto di didascalia iniziale ad annunciare cosa verrà messo in scena in questo romanzo decostruito. Ancora una volta il regista parte da Rapina a mano armata di Stanley Kubrick, dai Cani Arrabbiati di Bava, ma ne deforma i connotati: l’amalgama di anime macchiate prende vita in maniera fumettosa, dal punto di vista narrativo. Infatti, tra flashback e trama episodica, la cronologia (a)temporale di Pulp Fiction è il primo grande esempio di circolarità ritmata e intervallata dagli stessi protagonista che, per l’appunto, come in un fumetto, perdono la vita e risorgono grazie alla magia del cinema. Il montaggio fa miracoli, ed è la base del linguaggio filmico che in Pulp Fiction sprizza vitalità da tutti i pori.

 

Spirituale il percorso vissuto dai protagonisti, i quali sono in grado di passarne di tutti i colori per poi trovare la loro vocazione − e dimensione − districandosi tra i vicoli del labirinto generato da Tarantino. Incredibile notare quanto ogni elemento sia perfettamente bilanciato e delicatamente inserito nei diversi contesti episodici mostrati nel film. I dettagli drammatici ed evocativi dei dialoghi sono di livello assoluto, evidenziando alcuni passaggi legati e arricchiti da un rapporto di causa-effetto, del quale lo spettatore riesce a goderne appieno le potenzialità con l’inesorabile scorrere del tempo diegetico, poiché ogni momento è un’occasione per costruire e decostruire, affacciandosi sulla vita dei personaggi. Tarantino già aveva dimostrato con Le Iene di essere abile nel mettere in scena causa ed effetto in un susseguirsi sia psicologico che violento, alternando momento di pausa con dialoghi e monologhi iconici − basti pensare al monologo di Jules che recita un verso inventato della Bibbia, ossia Ezechiele 25:17 − le cui sfumature ritornano pedissequamente, come ad esempio quelle legate al cambio di lingua e di contesti, tra fast food e droga.

 

Vincent, non a caso, avanza paragoni con Amsterdam in più episodi, distendendo un vero e proprio filo conduttore memorabile, basato sulle differenze tra gli Stati Uniti e l’Europa (spagnoli, francesi, olandesi), rendendo terrene le conversazioni. Lo spettatore, così facendo, che si americano o europeo, riesce a rispecchiarsi nei racconti di questi bizzarri e volgari personaggi, tra risate e sorprese enfatizzate dai climax perfettamente piazzati e bilanciati, durante le circa 2h32 di Pulp Fiction. Persino l’entrata in scena di Winston Wolf (Harvey Keitel), quasi simultanea a quella di Jimmie (Quentin Tarantino), rende ansiogeno una “semplice” pulizia di un auto, a seguito di un incidente. D’altronde, per sbaglio è banalmente partito un proiettile a Vincent nella vettura, colpendo in faccia ed ammazzando brutalmente un ragazzo, il cui cadavere è stato fatto sparire in men che non si dica. E che dire della rapina iniziale che viene poi sventata da Jules nella caffetteria alla fine del film, dopo uno scontro psicologico e verbale tra lui e la coppia di criminali decisamente provinciali e fuori di testa.

Pulp Fiction: toni solenni e grande teatralità

Toni solenni e grande teatralità evidenziano i contrasti nei monologhi-dialoghi dei brutali personaggi, persino quando uno di questi deve consegnare uno storico e prezioso orologio di famiglia ad un bambino (il piccolo Butch) che ha perso il padre in guerra. La poesia di quest’ultimo monologo, si perde non appena viene sottolineato che, letteralmente, l’orologio da taschino è stato in realtà portato per 7 anni lì dove non batte il sole; e con un gesto, il personaggio in questione porge immediatamente l’oggetto nelle mani innocue del piccolo. Ecco come viene portato avanti il parallelismo con l’ormai tramontato pugile Butch, che ha in un certo senso infangato il buon nome della sua famiglia, come un rozzo monologo apparentemente ha fatto poco prima con il cimelio.

 

Debordanti le pieghe che prende il film quando ripropone oggetti o battute finemente, perché il minimalismo è in realtà sintomo di personalità grezze, e non può essere altrimenti, data l’identità dei protagonisti. Altro punto forte che dimostra di avere a suo favore il regista, è la direzione degli attori, irresistibili nel rendere ancor più umoristici alcuni dialoghi, sdrammatizzando i momenti più seriosi. Tarantino con Pulp Fiction fa sua la cosiddetta “narrazione da quattro soldi” e sfonda nell’immaginario collettivo con tutti i suoi paradossi, generando un cult che allo stesso tempo è anche un capolavoro dalla sceneggiatura studiata e ristudiata nel corso degli anni, per la struttura circolare dove la decostruzione è in realtà costruzione

Voto:
5/5
Andrea Barone
5/5
Andrea Boggione
5/5
Sarah D'Amora
5/5
Gabriele Maccauro
5/5
Alessio Minorenti
5/5
Matteo Pelli
5/5
Paola Perri
5/5
Vittorio Pigini
5/5
Bruno Santini
5/5
Giovanni Urgnani
5/5
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