Recensione – Cocainorso: un b-movie all’insegna del trash

Articolo pubblicato il 18 Gennaio 2025 da Giovanni Urgnani

Nel 1985, in Georgia, un orso nero, l’esemplare più comune dell’America del Nord, ingerì per errore una grossa quantità di cocaina, finendo per morire d’overdose e che, in seguito venno soprannominato goliardicamente “Pablo Eskobear”. Una storia realmente accaduta nel parco nazionale Chattahoochee–Oconee National Forest che ha ispirato il thriller intitolato “Cocainorso”, in uscita oggi nelle sale italiane. Di seguito la trama e la recensione di questa disavventura divenuta col tempo una leggenda metropolitana dai toni eccessivi. 

La storia di “Pablo Eskobear”

A differenza di quanto realmente accaduto nel 1985, il film diretto da Elizabeth Banks prende una strada più cinematografica. L’incipit resta lo stesso: nel tentativo di salvarsi e salvare il carico di stupefacenti, il narcotrafficante Andrew C. Thornton () perde i sensi e resta inerme sul suo aereo che finisce per precipitare a Knoxville, nel Tennessee, dove il corpo senza vita del pilota viene identificato da un detective locale. Si scopre, però, che l’enorme carico è sparso tra i boschi di un parco nazionale, il Chattahoochee-Oconee, dove gran parte della cocaina viene ingerita inconsapevolmente da un grande orso. Di conseguenza si scatena una vera e propria carneficina, una situazione ai limiti della follia in cui si imbattono un gran numero di personaggi: da Colette (), una madre alla ricerca di sua figlia e del suo compagno di classe, al detective Bob (Isiah Whitlock Jr.) incaricato di risolvere questo caso e recuperare il carico di cocaina, passando per una coppia di scagnozzi ed un gruppo di teppisti adolescenti. 

 

 

Ognuno di loro incarna una lunga serie di stereotipi che si riflettono sulle loro azioni: tra chi si imbatte nell’orso e chi segue le sue tracce. Una storia ambientata tra i boschi che mescola generi con un ritmo frenetico che finisce per coinvolgere il pubblico, ma solo in parte. Non mancano gag e sequenze che tentato attraverso situazioni ai limiti del trash di strappare una risata. La sensazione, però, resta quella di trovarsi di fronte ad un prodotto cinematografico fin troppo superficiale. Il classico “ci prova, ma non si applica” potrebbe essere la definizione perfetta per descrivere una libera e totalmente fuori di testa interpretazione di una storia vera decisamente più drammatica, per l’animale in se. La narrazione, invece, finisce per porre l’attenzione su una sfilza di personaggi poco caratterizzati che non fanno altro che imbattersi o scontrarsi con il cosiddetto “mostro” della pellicola. 

“Il bosco è un posto pericoloso.”

La recensione di Cocainorso

Fin dal titolo, il film richiama il classico b-movie ed è quasi impossibile non pensare subito a lungometraggi simili che ricordano questo tipo di operazione, come ad esempio “Snakes on a Plane” (2006). “Cocainorso” resta un prodotto che appare fin troppo datato, anche se disponibile proprio da oggi 20 Aprile nelle sale cinematografiche italiane. Non mancano degli spunti molto interessanti, sequenze e scelte narrative che hanno tutte le carte in regole per dar vita ad un film, pur sempre di serie b, quantomeno fresco e divertente, ma ovviamente lo svolgimento resta molto superficiale. Una regia anonima da parte di una Elizabeth Banks che si limita a portare sullo schermo una storia tratta, o meglio liberamente ispirata a fatti realmente accaduti, stravolgendone i fatti e cercando di creare un pacchetto che racchiuda vari generi e stili. Il risultato è un purpurei molto confusionario che ha dalla sua un incipit, come già sottolineato molto interessante, ma che non basta. Inoltre le uniche parti o scene che davvero meritano si trovano tutte nel materiale promozionale che circola tra i vari trailer e materiale pubblicitario. 


Non basta sicuramente riunire un cast di tutto rispetto se ogni singolo personaggio sembra realizzato e scritto con l’accetta, ma quella di un falegname alle prime armi. Keri Russell, Alden Ehrenreich, O’Shea Jackson Jr., Jesse Tyler Ferguson e Isiah Whitlock Jr. sembrano trovarsi li per caso e non possono che risultare opachi e semplici macchiette all’interno di un film dove l’unico e vero protagonista di tutto rispetto resta un grande e grosso realizzato completamente in computer grafica. Gli stessi bambini regalano momenti e dialoghi fuori dall’ordinario e poco credibili per dei ragazzini di quell’età. Teoricamente c’è una grande differenza tra divertente e ridicolo, ma non per “Cocainorso”, dove questa linea risulta fin troppo sottile. 


Gli stessi effetti visivi appaio quasi imbarazzanti all’interno di un panorama cinematografico dedito ai più disparati avanzamenti tecnologici che permettono tutt’oggi di ringiovanire o invecchiare oppure ricreare da zero personaggi, creature ed universi solo attraverso l’uso della CGI. Di fronte ad un budget di “soli” 30 milioni non ci si può aspettare il blockbuster di turno, ma sicuramente il pubblico odierno è abituato a ben altro. Inoltre, il film dalla sua ci mette una grande volontà di prendersi a tratti davvero sul serio nei momenti meno opportuni, un aspetto che finisce per scontrarsi con la riuscita del prodotto audiovisivo. La pellicola fin dal primo momento non ha una direzione precisa e questo si riflette nei toni, nel ritmo, nella narrazione e in tutto ciò che alla fine finisce per dar vita al classico prodotto che riesce alla fine, attraverso una superficialità disarmante di fondo, ad sbancare al box office grazie a costi contenuti a fronte di ben poca sostanza e tanta azione. 

“Un super predatore… fatto di cocaina… fuori di testa.”

Un B-movie all’insegna del trash 

Insomma “Cocainorso” si rivela essere una commedia dalle tinte horror, un B-movie all’insegna del trash che, però, non riesce a perseguire nessuna scelta: vuole far ridere? Vuole spaventare lo spettatore? Manca una vera e propria idea di fondo che avrebbe regalato un pizzico di originalità ad una leggenda metropolitana di cui si conosce poco e da cui si poteva tirar fuori un prodotto thriller horror terrificante con sfumature comiche e grottesche. L’assurdità del racconto è percepibile fin dal primo fotogramma, ma il pubblico al giorno d’oggi potrebbe ottenere molto di più. Ogni personaggio pare interpretare una parodia dei classici protagonisti dei film horror, quelli più scadenti che riprendono o copiano i grandi successi del genere. 

 

Nonostante aspettative molto basse e un’idea dai toni bizzarri e fuori dagli schemi, il film di Elizabeth Banks, prodotto e distribuito dalla Universal Pictures, se si fosse preso qualche rischio in più scegliendo una singola strada o percorso da seguire avrebbe sicuramente centrato quantomeno l’obiettivo minimo per un film di puro intrattenimento. Sapere che si parla già di nascita di un possibile nuovo franchise a tema “animali sotto stupefacenti” farà rabbrividire i più appassionati e sicuramente sazierà i palati di quel pubblico cinematografico più sporadico che, come giusto che sia, si accontenta dei prodotti che le major offrono sul mercato. L’ennesima occasione sprecata di partire da un’idea bislacca per dar vita ad un’opera di tutto rispetto, giocando proprio come hanno tentato sulla commedia o parodia passando per lo slasher puro dalle sfumature horror. Infine, proprio per quella fetta di spettatori più legato al mondo della settima arte, fa molto male venire a conoscenza che un attore del calibro di Ray Liotta appaia per l’ultima volta sul grande schermo con “Cocainorso”, anche se ovviamente è stata all’epoca sicuramente una sua scelta.

Voto:
1.5/5
Sarah D'Amora
1.5/5
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