Articolo pubblicato il 5 Luglio 2023 da Bruno Santini
La saga di Alien è una delle più longeve nel panorama del cinema di fantascienza. Da più di quarant’anni lo xenomorfo creato dal visionario H.R. Giger infesta gli incubi degli appassionati di tutto il mondo con atmosfere lugubri e soffocanti: il primo film della saga, diretto da Ridley Scott nel 1979, ha dato inizio a questo lunghissimo viaggio fatto di sangue, sacrificio, morte e resurrezione. Ecco la recensione di Alien, capostipite del franchise, con Sigourney Weaver, Tom Skerritt, Ian Holm e John Hurt.
La trama di Alien, diretto da Ridley Scott
I sette membri che compongono l’equipaggio della Nostromo, una gigantesca nave spaziale cargo carica di minerali, vengono svegliati dall’ipersonno dal computer centrale Mother, durante il viaggio di ritorno verso la Terra. I sette, comandati da Dallas (Tom Skerritt) con il vice Kane (John Hurt) e il terzo ufficiale Ripley (Sigourney Weaver), vengono presto a conoscenza del motivo per cui sono stati svegliati: un misterioso SOS proveniente da un satellite naturale di un grosso pianeta; per motivi contrattuali, pena la perdita dell’intero compenso, l’equipaggio è costretto a scendere per indagare sull’origine del segnale di soccorso. Durante la spedizione, Kane viene accidentalmente infettato da un parassita: riportato prontamente sulla Nostromo per apportare le prime cure mediche, nonostante la reticenza di Ripley su un possibile contagio, Kane darà inconsapevolmente vita ad un orrida creatura che seminerà morte e distruzione all’interno dell’astronave.

La genesi dell’opera e la recensione di Alien
Prima del 1979, l’horror fantascientifico era considerato un genere di Serie B, buono solamente per soddisfare i palati di una nicchia di fans sfegatati ma completamente snobbato dal grande pubblico. Alien, opera seconda del britannico Ridley Scott, cambia le carte in tavola togliendo il genere dal sottobosco ed elevandolo ad una categoria superiore. Il merito di questo cambio di marcia si deve non solo al futuro regista di Blade Runner e Il Gladiatore, ma anche (e soprattutto) a Dan O’Bannon, sceneggiatore che solo pochi anni prima aveva firmato lo script di Dark Star, esordio alla regia di un certo John Carpenter. Ispirandosi, nemmeno troppo velatamente, a classici come La cosa da un altro mondo (1951), Il pianeta proibito (1956) e Terrore nello spazio profondo (1965, del nostrano Mario Bava), O’Bannon mischia le tematiche dei film da cui trae ispirazione, “rubando” un po’ da tutti ma al contempo riuscendo a metterci del suo in uno script semplice ma efficace.
Ma una buona forma rimane tale se non c’è un ottimo direttore a trasformarla in sostanza. Dopo l’ottimo esordio con I Duellanti (1977), Sir Ridley Scott venne scelto tra tanti candidati a scapito di Walter Hill (rimasto comunque come produttore del film), già impegnato in altri progetti. Nonostante Scott, almeno inizialmente, descrisse Alien come una sorta di Non aprite quella porta in salsa sci-fi, sarebbe ingiusto e ingeneroso etichettare l’esordio dello xenomorfo sul grande schermo come un semplice slasher movie. Scott, nella prima ora del film, preferisce dare la priorità alle dinamiche interne dell’equipaggio: dai malumori per i compensi non adeguati dei meccanici Parker (Yaphet Kotto) e Brett (Harry Dean Stanton), allo stress che si viene a creare per la lunga permanenza sul pianeta, alla scoperta del facehugger che infetta Kane fino alla rivelazione del mostro durante la celeberrima scena della cena di gruppo. Una dinamica, quella usata da Scott, che serve per introdurre i personaggi con la conseguente evoluzione deI terrore che cresce mano a mano, sempre più lento ed inesorabile, per poi esplodere nell’orrore più brutale e sanguinolento possibile: Scott, che ha imparato da Alfred Hitchcock, mette in atto gli insegnamenti del Maestro della Suspense portando in scena un tripudio di sangue non indifferente, talmente inaspettato che nemmeno i membri del cast (ad eccezione di John Hurt) sapevano della scena in questione.
Nella seconda parte del film, Alien inizia a mostrare i muscoli letteralmente parlando. Lo xenomorfo, creato dal visionario artista svizzero H.R. Giger e mostrato strategicamente col contagocce, si muove all’interno della Nostromo in maniera completamente autonoma e senza nessun tipo di rimorso, paura o illusione di moralità. L’astronave è il suo terreno di caccia e l’equipaggio, completamente inerme contro una creatura che ha acido al posto del sangue, è la sua preda. Con un sapiente gioco di luci e ombre, Scott mostra la Nostromo quasi come se fosse uno dei personaggi principali: i lunghi e labirintici corridoi dell’enorme astronave inglobano lo spettatore in un incubo senza fine, facendolo immedesimare con le paure e le ansie dei membri dell’equipaggio che, loro malgrado, non sanno come destreggiarsi essendo completamente impreparati ad affrontare una minaccia del genere.
Tranne Ripley, interpretata da una giovane Sigourney Weaver, che cerca disperatamente di far sentire la sua voce, venendo inizialmente snobbata da un equipaggio prettamente maschile e poco incline a prendere ordini da una donna. Forte, determinata e senza dubbio progressista, Ripley nel suo essere autoritaria, introduce sul grande schermo il prototipo della figura femminile che sa il fatto suo, allontanando di netto gli stereotipi della fanciulla in pericolo. Inoltre la presenza di un certo tipo di sottotesto politico all’interno del film è un altro degli argomenti vincenti dell’opera seconda di Scott, una tematica che diventerà uno dei motori trainanti della futura saga dello xenomorfo. L’interesse della Weyland-Yutani per la creatura aliena, per scopi puramente bellici e capitalistici, è la rampa di lancio verso il sacrificio dei dipendenti della Compagnia ad una causa che non dovrebbe esistere, mossa solo dal becero interesse verso il guadagno più becero e meschino a scapito della vita umana. Alien, quindi, risulta avanguardista tanto nella messa in scena quanto nei variegati sottotesti che Ridley Scott e Dan O’Bannon offrono agli spettatori.

Considerazioni finali e dove vedere Alien in streaming
“Nello spazio nessuno potrà sentirti urlare”, una tagline divenuta leggendaria e che risulta piuttosto indicativa sulla strada che Alien percorre nelle sue due ore di durata al cardiopalma. Il debutto cinematografico di uno degli alieni più iconici di sempre è esattamente come lo spazio profondo: cupo, freddo, inesorabile, pericoloso. Il film di Scott riesce a tenere sulle spine con una narrazione ragionata e per niente caotica, un crescendo di emozioni che vanno dallo straniamento iniziale, al raccapriccio più totale. Sir Ridley è infido e scaltro a non mostrare la bestia nella sua interezza, creando così la suspense necessaria allo spettatore in un autentico turbinio di emozioni contrastanti. Alien, primo film di una lunga saga disponibile interamente su Disney+, è un capolavoro senza tempo: una pellicola che ha regalato al grande pubblico una delle figure femminili più forti della storia del cinema, ma anche uno dei mostri più celebri della fantascienza moderna. Un perfetto organismo con una perfezione strutturale che è pari solo alla sua ostilità.