Articolo pubblicato il 24 Luglio 2023 da Paola Perri
Come era prevedibile, a soli tre giorni dall’uscita nelle sale Barbie è il nuovo film evento dell’estate. Arrivato nei cinema italiani il 20 Luglio 2023, è diretto da Greta Gerwig (Lady Bird, Piccole Donne) e vede come protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling rispettivamente nei ruoli delle bambole più iconiche mai esistite al mondo, Barbie e Ken dell’azienda di giocattoli Mattel. Il film è distribuito dalla Warner Bros. Di seguito la spiegazione del finale del film Barbie, di Greta Gerwig.
Il finale di Barbie, film diretto da Greta Gerwig
Partendo dal presupposto che nella pellicola ci sia una distinzione netta fra il personaggio di Barbie e quello di Ken – ciò accade nel mondo di Barbieland quanto nel mondo reale, seppure con chiavi di lettura diverse – quest’ultimo realizza inevitabilmente che la società mondiale (a lui sconosciuta) è gestita da un sistema patriarcale. Si rende, dunque, conto che l’uomo è una figura di rispetto e prestigio, a differenza della condizione maschile a Barbieland, in cui i vari Ken sono ridotti a meri personaggi di contorno per Barbie realizzate e in carriera.
Di ritorno da un viaggio illuminante nel mondo degli umani, la versione originale di Ken (interpretato brillantemente da Ryan Gosling) decide di sovvertire le regole e di sfidare lo status quo che vede le donne al comando di Barbieland. Le bambole “femmine” vengono ora relegate a ruoli di cameriere o fidanzate senza apparente scopo, e gli uomini prendono il loro posto. Tuttavia la loro vittoria ha vita breve, dato che la Barbie originale (interpretata dalla splendida Margot Robbie) riesce ad escogitare un piano per manipolarli con l’aiuto delle sue amiche, spingendoli a litigare fra loro.
Dopo aver restaurato l’ordine come era in principio, Barbie (Robbie) e Ken (Gosling) hanno un confronto in cui si scusano a vicenda delle proprie azioni. Barbie consiglia a Ken di cercare una sua identità, poiché non può vivere costantemente come futile riflesso altrui. Dopo aver incontrato Ruth Handler, ovvero la creatrice della Barbie, la bambola capisce che la condizione della donna è in continuo mutamento, e che lei stessa è uno stereotipo. Decide infine di diventare umana e di trasferirsi nel mondo reale, dove nell’ultima scena si presenta euforica ad una visita ginecologica.

La spiegazione del finale di Barbie, film di Greta Gerwig
Quando si tratta delle pellicole della regista Greta Gerwig, lo spettatore non è estraneo al suo intenso approccio femminista nella scrittura dei prodotti. Come già mostrato in Lady Bird e Piccole Donne, infatti, la condizione della donna nella società risulta il tema principale all’interno delle sue opere. Anche Barbie si muove su questi binari. L’emancipazione di Barbie “bambola”, tuttavia, non risiede nel suo ruolo stereotipico di donna modello e tuttofare, quanto nel lasciare andare suddetto ruolo. Ed è qui che si scopre una delle chiavi di lettura del film.
Il film si muove costantemente su un confine sottile che separa efficacemente (fino ad un certo punto almeno) gli stereotipi femminili da quelli maschili. E questo si ripete in due condizioni diverse: nel mondo reale e nel mondo immaginario delle Barbie. In entrambi i mondi, una delle due figure prevale sull’altra. Nel mondo di Barbieland comandano le donne, nel mondo reale purtroppo esiste ancora il patriarcato. Insomma, Barbie gioca e critica senza dubbio la disparità di genere. Questo è un problema che affligge tuttora la società in cui viviamo.
Sempre con un occhio di riguardo verso i personaggi femminili, Greta Gerwig sembra quasi punire l’uomo (ovvero Ken), mostrandolo sul finale del film estremamente insicuro e privo di identità personale. Ed effettivamente chi è Ken senza una Barbie? Lo stesso uomo che ha creato l’iconografia di una bambola in carriera, quasi per sopperire a quello che una donna in carne e ossa non poteva raggiungere nella realtà. Eppure anche quella visione, ad oggi appare superata. Sembra quasi che per sentirsi realizzata, la donna sia ora costretta ad ottenere un certo standard di vita.
Forse quello che tenta di spiegarci la Gerwig è che la donna non vuole fare la dottoressa, ma deve fare la dottoressa, così da essere considerata adeguatamente. E questo approccio, comprensibilmente, potrebbe apparire paradossale a qualcuno, così come afferma il personaggio della madre umana interpretato da America Ferrera nel suo monologo. Barbie dunque si fa specchio di una donna che, nonostante gli sforzi, non è mai abbastanza. Il suo mondo crolla quando scopre che sulla Terra le persone possono addirittura invecchiare, e che non vestono tutti di rosa.
Scopre di provare sentimenti, piange più volte, quasi disillusa dal suo “irrealistico” stile di vita. E stanca decide di andare altrove, di sperimentare la vita di tutti i giorni, dove la donna affronta alti e bassi, può diventare vincitrice del premio Nobel, ma anche essere una madre che si occupa a tempo pieno dei figli, o una dolce vecchina in pensione incontrata su una panchina. Insomma, il vero male della società risiede nelle aspettative. Quindi anche se a volte non si riesce ad essere abbastanza, non fa nulla. Va bene così.

Perché il finale di Barbie non funziona?
Nonostante il resto del film risulti godibile e riesca ad intrattenere con una buona dose di comicità e musicalità, il finale del film appare purtroppo slegato dal resto del minutaggio. Gli ultimi venti minuti circa, nello specifico, non sono coerenti con quanto raccontato fino a quel momento. La regista quasi dimentica di aver trattato e criticato su un doppio binario gli stereotipi di genere, sia maschili che femminili. Nel finale l’uomo (tramite Ken) viene esplicitamente deriso e messo in secondo piano rispetto alla donna (tramite Barbie).
Dunque, Greta Gerwig passa repentinamente dal tendere la mano alla condizione maschile (quanto a quella femminile) a deriderla e ridicolizzarla. Una mossa innanzitutto anticlimatica, ma anche rischiosa poiché porta lo spettatore a ridimensionare tutto quello a cui ha assistito durante il film. Sotto questa nuova luce gli uomini a capo della Mattel non rappresentano più lo stereotipo sociale “dell’uomo in affari”, bensì sono letteralmente dei maschilisti nonché imbecilli fatti e finiti, così come lo sono tutti i Ken – i quali vivono unicamente in funzione di Barbie.
Persino la scena della guerra sulla spiaggia, che si trasforma in un improponibile quanto ironico balletto volto ad evidenziare la smaccata virilità maschile che la società ha per tanto tempo sponsorizzato (anche nei media), perde di comicità considerando che stiamo guardando solo dei gorilla lottare per conquistare la propria ragazza. A peggiorare le cose è la gelosia di Ken, che mostra nel momento del dialogo con Barbie nella Casa dei Sogni.
Per seguire i binari di partenza, in quel momento, entrambi i personaggi avrebbero dovuto realizzare di essere stereotipi e di essere soggetti (chi in un modo, chi in un altro) a “categorizzazione“. Questa presa di coscienza, tuttavia, avviene solo per Barbie, che è l’unica in grado di lasciare Barbieland. Mentre Ken viene lasciato indietro a disperarsi. Il concetto di femminismo non dovrebbe comportare la prevaricazione della donna sull’uomo, quasi come forma di vendetta, bensì la parità dei due sessi.
A quanto pare, la Gerwig non la pensa così. Tralasciando tutto il montaggio retorico finale in cui vengono mostrati filmati di repertorio e un insieme di donne che vivono il proprio quotidiano – in cui si percepisce un po’ di didascalismo – la chiusura del film risulta deludente perché si ha la sensazione di non aver chiuso coerentemente il “racconto a due voci”. Anzi, nella morale del film solo una di queste due voci è in grado di affrontare i problemi della vita. L’altra non è ancora pronta.