Recensione: Jeanne Du Barry – La Favorita Del Re: un riscatto femminile ostacolato

Jeanne Du Barry con Johnny Depp: la recensione

Articolo pubblicato il 17 Settembre 2023 da Andrea Barone

Jeanne Du Barry: La Favorita Del Re“, presentato fuori concorso come film d’apertura del Festival di Cannes 2023, era particolarmente atteso: non solo perché si tratta della nuova opera di Maïwenn, la quale è una regista molto chiacchierata in Francia, ma soprattutto perché segna il ritorno al cinema di Johnny Depp, attore che non si presentava sul grande schermo da “Il Caso Minamata” (e che tornerà presto con un nuovo biopic).

La trama di Jeanne Du Barry – La Favorita Del Re

“Nel regno di Francia del diciottesimo secolo, Jeanne nasce come ragazza di umili origini, ma, grazie al suo fascino ed alla sua intelligenza, riesce ad assicurare la propria ascesa sociale facendosi notare tra i nobili più importanti del regno. La sua fama e la sua bellezza riesce a catturare Re Luigi XV, il quale si innamora di lei e la invita a trasferirsi a Versailles nonostante lo scandalo creato a corte.”

Recensione in anteprima di Jeanne Du Barry – La Favorita Del Re

Dal punto di vista registico, si nota l’ambizione, da parte dell’autrice Maïwenn, di ispirarsi al cinema di Stanley Kubrick, rifacendosi ai guizzi che hanno reso celebre “Barry Lyndon“:  sono presenti infatti numerose inquadrature che ritraggono la corte si rifanno visivamente ai quadri di Hogarth e di Chardin e illuminazioni serali che cercano di catturare la luce del lume di candela. L’ispirazione è evidente ma non per questo inefficace, dal momento che le opere d’arte ricreate in carne ed ossa dalla cineasta risultano essere una gioia per gli occhi, aiutate da costumi e scenografie di livello altissimo. Colpiscono anche i campi lunghi che catapultano la protagonista in un’immensità naturale che quasi la abbraccia: questa immensità, che la protagonista percepisce come fonte di felicità, è mostrata anche nei lunghi corridoi e nelle immense architetture della reggia di Versailles, la quale fa apparire la contessa Du Barry come una creatura molto piccola, ma le cui pulsazioni sono sempre messe al centro della macchina da presa.

La recitazione di Maïwenn colpisce nel modo in cui, attraverso lo sguardo, riesce a trasmettere un senso di innocenza e di ricerca di affetto senza, allo stesso tempo, far perdere al personaggio la percezione di sicurezza e di desiderio. Dall’altra parte Johnny Depp dimostra di essere perfettamente all’altezza del ruolo affidatogli, il quale spesso comunica attraverso espressioni che fanno sembrare il personaggio apparentemente assente dalla realtà che lo circonda, ma quando si parla di Jeanne o si rivolge a lei, la dolcezza che viene fuori dai suoi occhi è estremamente evidente. L’impostazione recitativa imposta da Maïwenn è una ricerca di equilibri tra apparenze che obbligano di trattenersi ed un’esplosione di eccesso urlato dalle ricerche interne dei personaggi. Anche il resto del cast riesce a colpire, tra cui soprattutto Benjamin Lavernhe.

Recensione di Jeanne Du Barry La Favorita Del Re

Una comunicazione troppo evidente

I rimandi a Stanley Kubrick con “Barry Lyndon” sono creati anche dall’impostazione narrativa scelta dall’autrice: le vicende del film sono infatti spesso raccontate da un narratore esterno che spiega quello che sta succedendo durante il corso degli eventi. Quando si tratta di riassumere delle cose per cercare di arrivare a dei salti temporali, la scelta si rivela anche utile, ma diverse volte il narratore spiega degli elementi che sono perfettamente evidenti anche dalle sole azioni dei personaggi (come per esempio l’imitazione dei costumi di Jeanne), creando un eccessivo didascalismo. Fortunatamente non tutti gli elementi simbolici mostrati dall’autrice sono accompagnati dalla voce del narratore e diverse scene sanno parlare da sole, ma quando questo viene utilizzato, la cosa potrebbe essere sfiancante. Anche qui si vede una ricerca di equilibrio da parte dell’autrice nel creare qualcosa di accessibile a tutti e che allo stesso tempo stimoli per bene lo spettatore, con un risultato che a volte risulta essere un po’ goffo. Inoltre il narratore viene utilizzato per riassumere tutta la giovinezza di Jeanne Du Barry: per quanto la cosa sia stata fatta per spezzare il ritmo e dia un’idea giusta e precisa di ciò che ha portato all’evoluzione del personaggio, sarebbe stato opportuno approfondire almeno una parte del cambiamento di Jeanne, in modo da creare un contrasto maggiore con la sua vita a palazzo.

La felicità ottenuta ma sempre negata

Nonostante i difetti citati, l’opera sa essere molto interessante per la rappresentazione della continua ricerca di gioie da parte di Jeanne Du Barry: la donna è dipinta come un personaggio sognante, che vuole apparire libera come un uccello che vola in paesaggi e strutture incantate, le quali non ha potuto avere quando era una ragazza, abituata ad essere sfruttata come una bambola fino alla fine. Il suo passaggio da cortigiana di strada a ricca madame è celebrata non per ciò che possiede, ma per la sua felicità nel aver finalmente avuto la possibilità di esprimersi liberamente, libertà a cui non vuole rinunciare nemmeno di fronte ai pregiudizi della corte, le quali accolgono la donna sempre e solo come un’estranea. Le sfide che lancia Jeanne, apparentemente leggere per il pubblico odierno ma trasgressive per la realtà del diciottesimo secolo, è un invito ad abbracciare le proprie pulsioni e i propri istinti espressivi che ancora oggi vengono contestati dalla società come il male, così come i conti e le duchesse osservano Jeanne come una specie di demone.

Non è un caso che le abitudini dell’aristocrazia, dettate come simbolo della prosperità dei nobili, siano ritratte da Maïwenn come oggetto di riso, che agli occhi degli spettatori e della stessa Jeanne sembrano delle gag a cui riesce difficile credere e che ritraggono tutta l’essenza di una società viziata da dei costumi antiquati e grotteschi. Se le apparenze della corte sono additate per la loro ridicolaggine, mentre le trasgressioni di Jeanne sono evidenziate dalle inquadrature e dall’ottima colonna sonora di Stephen Warbeck come dei trionfi, l’aristocrazia di Versailles non trova spazio per la pace in nessun dialogo. Gli aristocratici sono dipinti come persone estremamente lontane dal popolo perché la stessa Versailles, luogo di libertà per Jeanne, è usata dai suoi rivali come barriera per proteggersi dalla sporcizia dei sudditi. Il razzismo, sia per i poveri che per i popoli delle colonie, è intrinseco in ogni sguardo ed in ogni parola cattiva delle nobildonne. Nonostante Jeanne riesca ad integrarsi perfettamente tra gli altri nella sua incantevole bellezza, così come uno schiavo di umili origini riesce ad acculturarsi ed a compiere incredibili servigi, il titolo degli aristocratici schiaccerà sempre il sangue di queste persone che si ritrovano ad essere mancate di rispetto anche di fronte al lutto, con una cattiveria gratuita.

Jeanne Du Barry - La Favorita Del Re: recensione in anteprima

In questa ondata di negatività si percepisce il vuoto di Luigi XV, ritratto come un uomo costantemente annoiato e stanco delle abitudini dell’aristocrazia, le quali riescono ad apparire più belle solo quando Jeanne si ritrova ad essere accanto a lui. Estremamente intelligente è la lenta evoluzione del Re, mostrato come tipo solitario ma in cui, con il passare del tempo, si percepiscono lentamente e sempre di più i fastidi nel vedere la donna che ama trattata come l’ultima delle sguattere. L’intelligenza dell’autrice è infatti quella di evidenziare come le persone più abituate a comunicare delle loro sensazioni, poiché hanno bisogno di ricercare queste ultime per la ricerca della vita, siano più tenute ad essere sensibili rispetto a chi invece fa delle proprie apparenze come unica soddisfazione personale. I nuovi membri della famiglia delle figlie del re sono viste come pedine per riempire il proprio piatto da predatore, per spedirle contro la povera Jeanne, mentre per quest’ultima ogni amicizia ed ogni atto d’amore è la vera fonte di ricchezza. L’imposizione sociale va in parallelo con l’imposizione religiosa: il pudore ricercato dalla Bibbia è rappresentato come atto finale che simboleggia la carenza di tutto il genere umano, per cui ogni persona non è altro che un oggetto che deve soltanto servire il sistema e che può essere facilmente sostituito.

“Jeanne Du Barry: La Favorità Del Re” è un’opera che non è esente da difetti causati da uno squilibrio tra didascalismi e simbolismi, con alcuni elementi che meritavano di essere approfonditi di più (tra cui anche quell’unico accenno al lato oscuro del re). Ma nonostante i limiti, riesce nel suo obiettivo di mostare il racconto di una rivalsa femminile che, fino alla fine, rischia di essere ostacolata dalla gelosia e dal bigottismo. Il ritratto di Jeanne Du Barry è una fiaccola luminosa in una lunga scia di spine, dove la stessa ricerca della protagonista è l’unica via di fuga da una gabbia fatta di rancori e pregiudizi. Il risultato finale ne fa un racconto emotivamente brutale, ma di cui dolcezza (che lo spettatore vuole come la vuole la stessa Jeanne) riesce ad espandersi anche nei momenti più fatali, tra cui il toccante e tragico finale.

Voto:
3.5/5
Andrea Boggione:
3.5/5
Riccardo Marchese
3/5
Matteo Pelli:
3.5/5
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