Articolo pubblicato il 20 Agosto 2023 da Bruno Santini
SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: Panic Room
Genere: Thriller
Anno: 2002
Durata: 108 minuti
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: David Koepp
Cast: Jodie Foster, Kristen Stewart, Jared Leto, Forest Whitaker
Fotografia: Conrad W. Hall, Darius Khondji
Montaggio: James Haygood, Angus Wall
Colonna Sonora: Howard Shore
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
A tre anni di distanza dal suo film generazionale, Fight Club, David Fincher torna alla regia di un film perfettamente hollywoodiano nella sua struttura, nel suo senso estetico e nella morale rappresentata sullo schermo: Panic Room. Film del 2002, che si avvale di un cast di prim’ordine date le interpretazioni di Jodie Foster, Jared Leto, Kristen Stewart e Forest Whitaker, Panic Room è il quinto film del regista statunitense: di seguito, la trama e la recensione di Panic Room.
La trama di Panic Room di David Fincher
Prima di proseguire con la recensione di Panic Room di David Fincher, si indica innanzitutto la trama del film del regista statunitense: “Panic Room è un film thriller americano del 2002. Meg Altman (Jodie Foster) ha recentemente divorziato e, insieme a sua figlia di undici anni Sarah (Kristen Stewart), si trasferisce in una casa nell’Upper West Side di New York City. Il precedente proprietario dell’immobile, un milionario solitario, ha installato una “stanza del panico” per proteggere gli abitanti della casa dai criminali. Questa stanza ha un ingresso blindato, scorte di cibo, una linea telefonica indipendente e un sistema di videosorveglianza in grado di coprire tutte le zone della casa mediante fotocamere. La stessa notte in cui le due si trasferiscono nella casa, fanno irruzione tre rapinatori: Junior (Jared Leto), nipote del precedente proprietario, Burnham (Forest Whitaker), impiegato della società di sicurezza privata dell’abitazione, e Raoul (Dwight Yoakam), esperto in furti. Il trio è alla ricerca di una cassaforte, nascosta proprio all’interno della Panic Room, contenente obbligazioni dal valore di tre milioni di dollari. Dopo aver scoperto che le Altman si sono trasferite prima del previsto, Burnham è riluttante a proseguire con la rapina, ma Junior lo convince a non desistere. Quando i tre entrano in casa, Meg si sveglia, e tramite il monitor situato nella Panic Room, si accorge della loro presenza. Così, recuperata la figlia, si barrica nella stanza del panico, non sapendo che questa sia proprio l’obbiettivo dei tre malviventi. Il telefono all’interno della stanza non funziona, perciò madre e figlia si ritrovano intrappolate in casa loro. Il solo modo per entrare nella Panic Room, spiega Burnham, è che Meg e Sarah aprano la porta: per costringerle a fare ciò, i tre delinquenti non si faranno scrupoli, ma dovranno fare i conti con le doti di Meg, decisa a proteggere la figlia in tutti i modi.”

La recensione di Panic Room, il film perfettamente hollywoodiano di David Fincher
Dopo aver considerato la trama di Panic Room di David Fincher, si può proseguire con la recensione del film con Jodie Foster, Kristen Stewart, Jared Leto e Forest Whitaker nei panni dei protagonisti. Se bisognasse scegliere un film in grado di rappresentare il perfetto esempio di modello produttivo, visivo, morale ed estetico hollywoodiano, Panic Room ne sarebbe sicuramente un esempio. David Fincher, pur se sempre impegnato nel tentare di innovare tecnicamente il cinema statunitense e contemporaneo, è un perfetto uomo e regista di Hollywood, come da intenzioni manifeste anche nei suoi film che maggiormente sembrano distaccarsi da quell’epopea “classica” (vedasi Fight Club, il suo capolavoro post-moderno); per questo motivo, approcciare ad un’opera come Panic Room richiede un certo intervento da parte dello spettatore: è pur vero che i film sono il risultato di uno sforzo artistico e produttivo, ma allo stesso tempo vivono anche del contesto storico-sociale in cui vivono, costruendo quella rappresentazione della moralità che non può che essere aderente alla cultura in cui l’arte si esprime.
Le panic room, particolarmente in voga negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni 2000, sono strumenti concepiti e diffusi in virtù di quell’isteria verso l’altro tutta americana; una paranoia che spesso il cinema si è occupato di rappresentare ma che, nel caso di Fincher, muove dall’espediente di fondo del film: trasformare un luogo sicuro e a prova di effrazione in un luogo di pericolo e di potenziale morte. Sulla base di questo elemento, si dipana una serie di rappresentazioni così tanto mainstream da sembrare macchiettistiche: Fincher pone al centro del suo film la donna divorziata, impegnata in un processo di empowerment femminile che si accompagna alle difficoltà di una vita da gestire da sola e di una figlia che presenta dei problemi di salute; i criminali, che giungono sul luogo nella prima notte di soggiorno delle due, sono anch’essi rappresentazioni caricaturali; il primo, interpretato da Jared Leto, è un isterico figlio di papà che non conosce la vita e che approccia alla stessa con l’ignoranza di chi non ha saputo mai stare al mondo; il secondo, interpretato da Dwight Yoakam, è l’uomo freddo e impassibile, il criminale per eccellenza che non ha sentimento, lo straniero da cui l’americano vuole difendersi attraverso la panic room; la redenzione passa invece attraverso il terzo criminale, a cui Forest Whitaker presta il volto: un uomo che diventa criminale per necessità, che in fondo è buono e che per questo viene punito e assassinato.
Con un finale anch’esso prevedibile e telefonato, l’interrogativo resta chiaro: che cosa si può salvare di un film come Panic Room? È a questo punto che interviene quel processo di sforzo da parte dello spettatore, specie se non aderente a quel medesimo sotto-testo culturale che ha permesso ad un film come Panic Room di esistere. Prodotti di questo genere nascono all’interno di contesti che li rendono attuali e che offrono linfa ad un discorso che, così com’è posto, risulta essere addirittura apologetico: in tal senso, il quinto film del regista statunitense non ha né l’intenzione di innovare, né quella di sconvolgere o destabilizzare lo spettatore, quanto più quella di condensare e cristallizzare una realtà esistente, rendendola pericolosa, ansiogena o semplicemente narrativa a seconda dello sguardo di chi si rapporta ad un film di questo genere. Ed è naturale (deve esserlo), per gli occhi di un europeo o di un occidentale non statunitense, non aspettarsi nient’altro che questo: i 50 milioni di dollari di budget utilizzati per questo film, specie per il massiccio utilizzo del digitale che permette di creare degli indimenticabili piani sequenza che attraversano i piani e le trombe di un ascensore, aderiscono anch’essi ad un bisogno produttivo che risponde alle medesime esigenze estetiche e morali precedentemente descritte.
Sulla base di questi elementi, una provocazione regista: se il film fosse stato diretto da un altro regista, quale sarebbe stato il risultato? Per chi scrive, si sarebbe assistito a qualcosa di disastroso. Panic Room è un film tecnicamente perfetto, in cui Fincher esprime magistralmente il suo grande amore per Hitchcock e la sua ossessione visiva per La finestra sul cortile, film che gli ha permesso di innamorarsi della regia; lo spazio chiuso lo affascina, il racconto per interni anche, così come una rappresentazione strutturale progettata punto per tutto, in cui la cura maniacale di ogni dettaglio diventa (in maniera quasi ossessiva a partire da questo film) il marchio di fabbrica di una carriera in cui Fincher si è sempre dimostrato ciò che è e sarà: un perfetto uomo e regista hollywoodiano, migliore di molti altri.