Recensione – The Wonderful Story of Henry Sugar di Wes Anderson

Recensione - The Wonderful Story of Henry Sugar di Wes Anderson

Articolo pubblicato il 12 Febbraio 2025 da Giovanni Urgnani

Presentato in anteprima al Festival di Venezia del 2023, The Wonderful Story of Henry Sugar è un mediometraggio di Wes Anderson con Benedict Cumberbatch nei panni del protagonista. Il regista torna a confrontarsi con un materiale letterario di Roal Dahl, dopo il grande successo di Fantastic Mr. Fox, nei 40 minuti complessivi del prodotto che sarà distribuito su Netflix. Di seguito, la trama e la recensione di The Wonderful Story of Henry Sugar.

La trama di The Wonderful Story of Henry Sugar

Prima di indicare la recensione del mediometraggio di Wes Anderson, viene sottolineata la sinossi di The Wonderful Story of Henry Sugar, presentato in anteprima al Festival di Venezia del 2023. Si tratta della seguente: “Un’amatissima storia di Roald Dahl: un uomo molto ricco viene a conoscenza dell’esistenza di un guru in grado di vedere senza usare gli occhi e decide di imparare a padroneggiare questa tecnica per barare al gioco d’azzardo.”

La recensione di The Wonderful Story of Henry Sugar, film Netflix presentato a Venezia80

Dopo aver sottolineato la trama di The Wonderful Story of Henry Sugar, si può proseguire con la recensione del mediometraggio realizzato da parte del regista di Grand Budapest Hotel e presentato in anteprima al Festival di Venezia80, prima di essere distribuito direttamente su NetflixChe Wes Anderson sia un abilissimo costruttore di mondi, c’è ben poco dubbio. Anche quando adatta una materia letteraria che non gli appartiene, il regista è in grado di imprimere un tocco riconoscibilissimo che ha bisogno di ben poche esplicitazioni e che, nei fatti, costituisce da sempre il marchio distintivo del regista statunitense. La carriera wesandersionana può essere riassunta attraverso una linea retta, metaforicamente in grado di esprimere la qualità dei film del regista, al di sotto della quale appare francamente impossibile andare; in diversi momenti, è stato possibile osservare delle creste in cui il regista ha messo la sua mente al servizio del racconto, soprattutto se quest’ultimo è stato funzionale all’espressione di determinati temi sociali. Gli ultimi prodotti hanno però mostrato che esiste una deriva del cinema di Wes Anderson: per quanto chi scrive abbia sempre cercato di avversare l’idea che il regista sia, ormai, solo ed esclusivamente autoreferenziale, The Wonderful Story of Henry Sugar ha davvero poco da dire e c’è ancor meno da recensire a proposito di un prodotto simile. 

 

L’etichetta di Netflix accompagna un mediometraggio che, indipendentemente dal suo ritmo e dalla sua durata, si presenta fin da subito per il suo essere vuota cornice da dedicare a Roald Dahl, a cui il regista guarda nuovamente dopo il successo di Fantastic Mr. Fox. I tempi sono differenti, così come la percezione d’essay di cui attualmente lo statunitense gode, e se ne osserva il risultato: la struttura a scatole cinesi del film, tanto cara a Wes Anderson, introduce all’interno di un racconto in cui i volti di Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Dev Patel e Ben Kingsley si intercambiano e confondono, nel proporre quella che – nei fatti – è una piccola storia arricchita (troppo) pomposamente di estetica. 

 

Se il parco contenuto è da sempre un limite attribuito al cinema del regista, qui c’è terreno fertile per proseguire con tali attacchi; The Wonderful Story of Henry Sugar è semplicemente la declamazione di un breve scritto, una sequela di preziosismi estetici piuttosto stucchevoli che lasciano ben poco, se non un’armonia di colori e forme che non stanca l’occhio, allo spettatore. Anche quando nel suo mediometraggio Wes Anderson riesce a proporre qualcosa di interessante, si parla ad esempio delle inferenze verbali o della rottura della quarta parete di Dev Patel, il tutto diventa eccessivamente ridondante e retorico, appesantendo quella che dovrebbe e potrebbe essere una narrazione molto più leggera e scorrevole, pur nel rispetto dell’autore. L’incessare dei dialoghi non ha altro effetto che non sia l’estraniazione dagli stessi, in un film purtroppo deludente. Nota a margine dedicata alla didascalia extradiegetica finale, in cui si dedica – pur con altre parole – il mediometraggio a Roald Dahl: che si tratti o meno dell’effetto Netflix, osservare un agire simile, da parte di uno tra i registi più immaginifici della nostra contemporaneità, appare piuttosto ossimorico.

Voto:
2.5/5
Andrea Barone
2/5
Christian D'Avanzo
2.5/5
Gabriele Maccauro
2/5
Alessio Minorenti
0/5
Paola Perri
3/5
Vittorio Pigini
2/5
Emanuela Di Pinto
2.5/5
Arianna Casaburi
2/5
0,0
0,0 out of 5 stars (based on 0 reviews)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

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