Recensione – Lubo: il film di Giorgio Diritti a #Venezia80

Recensione: Lubo di Giorgio Diritti

Articolo pubblicato il 7 Settembre 2023 da Andrea Barone

Il regista Giorgio Diritti torna sul grande schermo presentando il suo nuovo film, intitolato “Lubo“, all’ottantesima edizione del festival di Venezia. L’opera uscirà nelle sale cinematografiche il 9 Novembre 2023 e quindi ecco la recensione in anteprima.

La trama di Lubo, diretto da Giorgio Diritti

Il nuovo lungometraggio di Giorgio Diritti, tratto dal romanzo “Il Seminatore” scritto da Mario Cavatore, è girato in tre lingue diverse che attraversano la seguente trama

“Nel 1939 lo jenisch Lubo, un artista di strada nomade, viene chiamato alle armi dell’esercito svizzero per prepararsi ad un’ipotetica invasione della Germania nazista. Tuttavia tale chiamata si è rivelata essere solamente un diversivo per allontanare Lubo dalla sua famiglia: il governo ha infatti realizzato un piano per distruggere le famiglie jenish, chiamato “Kinder Der Landstrasse“. Di conseguenza i bambini di Lubo vengono portati via e sua moglie viene uccisa. Lubo allora decide di disertare e di assumere l’identità di un’altra persona, partendo alla ricerca dei suoi figli.”

La recensione di Lubo di Giorgio Diritti

Giorgio Diritti è estremamente ambizioso perché vuole raccontare una delle tragedie più importanti che siano avvenute negli ultimi anni, perché la deportazione degli jenisch è ancora un argomento molto spinoso che nel cinema non è mai stato particolarmente trattato rispetto ad altri argomenti seri come L’Olocausto. Allo stesso tempo l’autore non vuole essere banale e crea una struttura in tre atti: il primo mostra la fuga di Lubo dall’esercito e la ricerca dei suoi figli, il secondo mostra l’inizio di una nuova vita ed il terzo è l’epilogo che ricollega tutti i pezzi seminati negli atti precedenti per dare la botta finale. Il primo atto è quello più problematico, poiché Diritti non gioca molto sulla paura che Lubo venga scoperto, diluendo estremamente delle parti che potevano durare molto meno e creando lunghe pause che rendono freddi i momenti che dovrebbero essere emotivamente coinvolgenti. Inoltre i rapporti che Lubo costruisce con persone una volta nascosta la sua identità non espandono l’evoluzione del personaggio ed uno in particolare sembra creare un filler di una fiction Rai che non ha alcuna utilità. Le scene in cui si vede il personaggio coinvolto nell’esercito ed i suoi tentativi di fuga sono gestite sicuramente meglio, ma anche lì si avverte eccessivo dilungamento.

Fortunatamente il film si riprende proprio nel secondo atto, durante il tentativo, da parte di Lubo, di costruire qualcosa di nuovo e di creare un ponte vero con altre persone attraverso un amore sincero. Durante questa parte della narrazione, Giorgio Diritti ci tiene ad evidenziare il tentativo di resurrezione di Lubo, sensibilizzando lo spettatore sulla sua ricerca nuova dell’amore. Viene estremamente premuto il suo tentativo di redenzione, il suo voler dimenticare la sofferenza che ha dovuto passare per tanti anni, come se volesse entrare in un mondo nuovo, dove è possibile ricominciare daccapo. La nuova relazione con Margherita è molto toccante, soprattutto perché anche quest’ultima viene calcata nel suo tentativo di voler amare di nuovo qualcuno dopo l’abbandono di suo marito, così come è riuscita la caratterizzazione di suo figlio che vede in Lubo un nuovo eroe che è riuscito a compiere passi importanti nella sua vita, dei passi che lui può insegnare al piccolo bambino. In questa occasione Giorgio Diritti dimostra che anche un uomo che ha perso tutto vuole avere la forza di amare ancora, evidenziando il passato da zingaro di Lubo non come una vergogna, ma come una fierezza che è testimone di come lui sia stato a contatto con la vita fino in fondo, sia grazie ai luoghi naturali all’aperto che alla sua espressione d’artista. Franz Rogowski si riconferma un ottimo attore, ma anche Valentina Bellè continua a dimostrare di essere un’attrice da tenere d’occhio.

Lubo di Giorgio Diritti: la recensione

Il dolore tragico di Lubo

Il terzo atto vuole fondere ciò che è stato mostrato nei primi due precedenti, non solo cercando di connettere allo spettatore tutta la sofferenza passata da Lubo, ma rivelando totalmente il piano “Kinder der Landstrasse”, denunciando di conseguenza un lato oscuro della Svizzera che ha guardato i suoi cittadini con diffidenza, minimizzando una tragedia organizzata da delle persone che dovrebbero aiutare e proteggere il popolo. Le associazioni a scopi umanitari vengono completamente distrutte dall’autore, senza nemmeno utilizzare un didascalismo eccessivo, ma lasciando che siano la rabbia silenziosa delle vittime e l’indifferenza fredda dei capi di stato a parlare senza essere troppo espliciti. Pur rivelando tutto, la tragedia è quasi un sussurro, quasi come se stesse riflettendo quel silenzio mimetico che ha accompagnato la Svizzera per tanti anni prima che il governo riconoscesse finalmente l’orribile crimine contro l’umanità realizzato. Tuttavia Giorgio Diritti esagera con questo silenzio, poiché, dopo essersi concentrato estremamente sulle vicende personali di Lubo estranee alla tragedia della sua famiglia, il passato dei bambini scomparsi compare di colpo, come se fosse un pezzo che lo stesso film si era dimenticato in precedenza. Quando tale pezzo compare sa essere anche potente, ma il disquilibrio si nota molto.

La grande caratterizzazione di Lubo nel suo tentativo di resurrezione, così come tutte le vittime involontarie che sono costrette a trovare dei compromessi con il suo passato oscuro, è davvero coinvolgente e crea un’interessante ritratto di umanità, evidenziando un dolore che vuole essere in tutti i modi combattuto ed addolcito. Purtroppo è proprio il tentativo di raccontare anche una tragedia storica ad essere più zoppicante, anche se le scene interessanti che analizzano una società ipocrita e razzista non mancano. Il problema non è aiutato dal ritmo: non si comprende come mai il film duri tre ore, soprattutto perché diverse parti sono superflue e potevano decisamente essere accorciate. Fortunatamente la tecnica visiva dell’autore riesce a rendere più sopportabili anche dei momenti apparentemente inutili, aiutati soprattutto dall’ottima recitazione degli attori che aiutano ancora di più il coinvolgimento in momenti sia dolci che struggenti. Tuttavia, nonostante il risultato finale di “Lubo” non sia malvagio e soprattutto con la grande ambizione promessa ed il soggetto estremamente importante, l’impressione che il film sarebbe potuto essere molto più potente è sempre dietro l’angolo.

Voto:
3/5
Christian D'Avanzo
2/5
Gabriele Maccauro
2/5
Alessio Minorenti
2/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

PRO