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Recensione – La Moglie di Tchaikovsky, il film di Kirill Serebrennikov presentato a Cannes75

Passato in sordina in Italia, la recensione di uno dei migliori film di Cannes75: La Moglie di Tchaikovsky.
La Moglie di Tchaikovsky, il nuovo film diretto da Kirill Serebrennikov

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: La Moglie di Tchaikovsky
Genere: Drammatico, Sentimentale
Anno: 2022
Durata: 143′
Regia: Kirill Serebrennikov
Sceneggiatura: Kirill Serebrennikov
Cast: Alena Michajlova, Odin Bajron, Filipp Avdeev, Miron Fedorov
Fotografia: Vladislav Opel’janc
Montaggio: Juriij Karich
Colonna Sonora: Daniil Orlov
Paese di produzione: Russia, Francia

La recensione di La Moglie di Tchaikovsky, il nuovo film diretto da Kirill Serebrennikov incentrato sul rapporto tra Pyotr Tchaikovsky e sua moglie Antonina Miljukova. Presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes, il film uscirà nelle sale italiane a partire dal 5 ottobre 2023 grazie a I Wonder Pictures. Di seguito, ecco dunque trama e recensione di La Moglie di Tchaikovsky.

La trama di La Moglie di Tchaikovsky, diretto da Kirill Serebrennikov

Prima di passare alla recensione ed analisi del film, è bene spendere due parole sulla sua trama e contestualizzare: La Moglie di Tchaikovsky è ambientato a fine XIX secolo nella Russia imperiale ed in un periodo storico in cui il ruolo della donna era, per usare un eufemismo, marginale. Il regista Kirill Serebrennikov racconta il rapporto tra Pyotr Tchaikovsky – compositore che non ha certo bisogno di presentazioni – e sua moglie Antonina Miljukova e ne narra – con tutto quello che il loro rapporto comportò soprattutto per lei – le vicende dal loro matrimonio nel 1877 alla morte di lui datata 1893.

L'ultimo film diretto da Kirill Serebrennikov, La Moglie di Tchaikovsky

La recensione di La Moglie di Tchaikovsky: Kirill Serebrennikov tra Oppenheimer e Povere Creature

D’altronde cos’è La Moglie di Tchaikovsky se non un modo di raccontare l’oggi attraverso una storia di fine XIX secolo? 53 anni dopo L’altra Faccia Dell’amore di Ken Russell, Kirill Serebrennikov torna a trattare il rapporto tra Pyotr Tchaikovsky ed Antonina Milijukova, che sposa più per necessità che per amore, per mettere a tacere voci su una sua presunta – e poi storicamente confermata – omosessualità. La sposa dopo che lei gli aveva fatto recapitare due lettere d’amore nel 1877 in cui affermava il proprio desiderio di amarlo ed accudirlo per tutta la vita, amore che nasce probabilmente a partire dal loro primo incontro datato 1865 – quando lui aveva 25 anni e lei 16 – in cui l’amore per la  musica fece da collante per un matrimonio che però, verrebbe da dire, non aveva ragione d’esistere. Un rapporto tormentato, distruttivo, che portò i due amanti ad annullarsi a vicenda, tanto che lo stesso Tchaikovsky tentò di strangolarla e affermò più volte di trovarla ripugnante. Per lui la soluzione era scappare, allontanarsi il più possibile per non impazzire, per lei la pazzia iniziò a manifestarsi proprio dopo la separazione e la fine di un rapporto che, come lei stessa affermerà, “soltanto Dio può giudicare”.

 

La Moglie di Tchaikovsky è esattamente questo, una discesa agli inferi che non si concentra sul compositore e sulle sue opere ma su di lei, Antonina, e su come impazzì. Kirill Serebrennikov ha ormai un proprio stile autoriale ben riconoscibile – non a caso, con questo film, si presenta per la quarta volta in carriera al Festival di Cannes – che richiama tanti grandi autori russi e non del passato come Aleksandr Sokurov – l’incipit del film ricorda vagamente anche la sua ultimissima opera, Fairytale Elem Klimov o il polacco Andrzej Zulawski, riuscendo però a mantenere un proprio tratto distintivo. La sua è una regia che ad una prima occhiata potrebbe sembrare barocca, di tanti e troppi movimenti di macchina ma, guardando più attentamente, si potrà notare come egli lo diriga con un costante crescendo, andando di pari passo con la storia narrata, finendo per esplodere nella parte finale dove, più che esagerare, si esaspera e d’altronde non potrebbe essere altrimenti visto che si racconta di come una donna finisca per impazzire in un mondo in cui loro, le donne, non hanno ruoli, considerazione, rispetto.

 

In questo senso, La Moglie di Tchaikovsky è uno dei più grandi film femministi contemporanei, alla stregua dei recenti ed insospettabili Oppenheimer di Christopher Nolan o Povere Creature di Yorgos Lanthimos – che gli è valso il Leone D’oro a Venezia80 – e che mai come ora appare necessario. Non è infatti con la volontà di realizzare una storia che lasci il segno che essa lo farà, ma è la necessità insita in un grande artista che lo porterà a raccontare un qualcosa d’impattante. Come il personaggio di Emma Stone in Povere Creature, che finisce per dominare attraverso la sessualità un mondo di uomini, e quello di Emily Blunt in Oppenheimer, per cui basterebbe quello sguardo nella scena finale per dire tutto, anche la straordinaria Alena Michajlova non fa altro che riaffermare il ruolo della donna in una Russia imperalista di tardo ‘800 in cui, solo per dirne una, le donne – oltre a non poter votare – esistono solamente sul documento del proprio marito. La sua Antonina è un personaggio potentissimo, una donna che non è una pazza come si è pensato per decenni, ma una donna portata alla pazzia da una società maschilista le cui radici appaiono impossibili da estirpare.

 

Come Katherine Oppenheimer che da biologa si ritrova nel ruolo di casalinga, offuscata dal marito e dalla società in cui vive, qui Antonina Miljukova è lei stessa una musicista che ha frequentato il conservatorio e che bacchetta lo stesso Tchaikovsky dopo un suo concerto sottolineando come, dopo la loro separazione, egli abbia sempre e solo diretto in modo freddo, non come i primi tempi in cui c’erano calore, amore ed in cui – così si dice – lei fu sua musa per la realizzazione di Evgenij Onegin. Il segreto di questi film non è altro che la storia stessa che gli autori decidono di raccontare, perché senza autorialità si finisce nel mondo del compromesso. Serebrennikov lo sa e va dritto per la propria strada, realizzando un grande film su uno dei compositori più importanti di sempre lasciando sia lui che la sua musica di sfondo a ciò che invece gli sta davvero a cuore, ovvero il racconto di una vedova di marito vivo, una donna forte ed a suo modo rivoluzionaria che è morta incompresa ma che oggi, grazie a questa grande opera, riesce a rivivere e ad essere d’esempio non solo da un punto di vista sociale, ma anche cinematografico per quanto concerne la scrittura di un personaggio. 

Voto:
4/5
Riccardo Marchese
4/5
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