Articolo pubblicato il 19 Gennaio 2024 da Andrea Boggione
SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: Il Grande Lebowski (The Big Lebowski)
Genere: Commedia, Grottesco
Anno: 1998
Durata: 117′
Regia: Joel ed Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen
Cast: Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, John Turturro, Philip Seymour Hoffman e Sam Elliott
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joel ed Ethan Coen
Colonna Sonora: Carter Burwell
Paese di produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito
Solo due anni dopo la definitiva consacrazione, i fratelli Joel ed Ethan Coen realizzano “Il Grande Lebowski”, un altro capolavoro che, nel corso degli anni, ha assunto successivamente la nomea di cult e di pellicola iconica. Ancora oggi è considerata un’opera rivoluzionaria e che ha permesso in secondo luogo alla coppia di cineasti di ergersi tra i più grandi nomi della storia del cinema. Attraverso la creazione di un progetto che trae molta ispirazione dai lavori del famoso scrittore e sceneggiatore statunitense Raymond Thornton Chandler (“Il Grande Sonno”, 1939, “La Signora nel Lago”, 1943 e “Il Lungo Addio”, 1953), i due maestri hanno portato sullo schermo la storia di un personaggio dai tratti distintivi e ricordato per la sua eccentricità, modo di fare e di approccio alla vita. Un altro, l’ennesimo, film dove gli autori giocano e mescolano i generi rileggendo in chiave comica il loro amato noir. Di seguito la trama e la recensione del settimo film dei Coen.
La trama del settimo film dei Fratelli Coen
Los Angeles, Stati Uniti d’America. Jeffrey Lebowski (Jeff Bridges), soprannominato “Il Drugo”, è un fannullone con un’innata passione per il bowling. Una notte viene, però, aggredito da alcuni malintenzionati per via di un casuale scambio d’identità. Tentando di far luce sul misfatto, il Drugo scopre che la vittima designata era in realtà un suo omonimo: l’attempato ed acciaccato miliardario Jeffrey Lebowski (David Huddleston). Qualche giorno dopo aver fatto conoscenza, il magnate decide di ingaggiare ed incaricare proprio il povero Drugo per consegnare una valigetta contente una grossa cifra in denaro come riscatto per i rapitori di sua moglie Bunny (Tara Reid), ma il piano non riesce alla perfezione quando entra in gioco Walter (John Goodman), caro amico e compagno di bowling del Drugo, il quale, intromettendosi nell’operazione, finisce per scatenare una serie di sfortunati eventi a catena, causando ben più di qualche stravolgimento alla vita del malcapitato fannullone.

“Smokey, amico mio, stai per entrare in una valle di lacrime.”
Walter Sobchak (John Goodman)
La recensione di “Il Grande Lebowski” (1998)
Tutto nasce dall’idea di elaborare un racconto atipico che trae ispirazione da diversi e differenti elementi, come i già citati lavori di Raymond Chandler, ma ad esempio il protagonista della storia incarna in parte la figura di Jeff Dowd, storico produttore cinematografico ed attivista che, guarda caso, era soprannominato proprio “The Dude” (“Il Drugo”) ed il suo cocktail preferito era il White Russian. Inoltre, gli stessi comprimari sono ispirati a conoscenti ed amici dei Fratelli Coen, una scelta che finisce per influenzare la resa del prodotto finale, restituendo al film una certa credibilità nelle caratteristiche e situazioni che compongono e che intraprendono i diversi personaggi lungo la narrazione. Partendo dall’idea di dar vita ad un’opera con una trama volutamente articolata, complessa a tal punto da risultare meno importante di quanto possa sembrare inizialmente, il film finisce per spostare il focus e l’attenzione dello spettatore proprio sul gran numero di protagonisti della storia. Un’atmosfera bizzarra avvolge ogni singola sequenza: da quella più drammatica ed emozionante come la dipartita dello sfortunato Donny (Steve Buscemi), a quella più onirica come il trip che sconvolge la mente del Drugo. Nonostante si tratti “solamente” di una sorta di mistero da risolvere, la pellicola riesce a raccontare e dare molto di più al suo pubblico portando in scena una storia politica e che affronta determinati argomenti legati ad un Paese figlio delle sue scelte. Il personaggio di Walter, ad esempio, incarna alla perfezione quella tipologia di cittadino americano medio reduce e sopravvissuto ad un massacro come quello avvenuto in Vietnam.
Oltre alle innumerevoli fonti d’ispirazione, le caratteristiche che permettono ancor di più a “Il Grande Lebowski” di centrare l’obiettivo si celano nei plurimi significativi che pervadono l’intera pellicola: una serie di elementi fungono da vere e proprie metafore o da semplici espedienti narrativi che stimolano, o hanno successivamente stimolato, riflessioni diverse su altrettante tematiche. Il bowling rappresenta quel lato e quell’atmosfera dallo spirito più retro, condizionato da una fotografia che riesce perfettamente ad incorniciare ogni singola sequenza grazie all’eccelso lavoro del maestro Roger Deakins, qui alla sua quarta collaborazione con Joel ed Ethan Coen. Si avverte fin da subito un certo tipo di distacco tra l’illuminazione delle sequenze terrene in contrapposizione a quelle più oniriche, infatti, se da un lato le scene considerate più fantasy assumono una colorazione più nitida e monocromatica, dall’altro cambia anche la classica tonalità relegata alle scene notturne, che passano dal classico blu ad un arancione più accesso. Una scelta che, unità all’utilizzo di inquadrature realizzate mediante un obiettivo grandangolare, ha permesso ai Coen di andare ancor più in profondità nella descrizione dei vari luoghi e delle particolari ambientazioni protagoniste della vicenda.

“Donnie era un bravo giocatore ed un brav’uomo, era uno di noi, era un uomo che amava l’aria aperta… e il bowling.”
Walter Sobchak (John Goodman)
Inoltre, come spesso accade nelle più famose produzioni dei due autori, anche questo film vanta un cast ricco di grandi nomi, infatti, tra i numerosi protagonisti che appaiono anche in alcuni ruoli secondari ci sono: Julianne Moore, John Turturro, Philip Seymour Hoffman, Sam Elliott, David Thewlis, Peter Stormare, Jon Polito, Aimee Mann e Flea. Ovviamente, quello che spicca su tutti gli altri resta l’iconico Drugo interpretato da un meraviglioso quanto sorprendete Jeff Bridges, il quale pare ritrovarsi di fronte ad un ruolo scritto e realizzato perfettamente per lui, regalando a critica e pubblico un’interpretazione memorabile che prende vita grazie a quell’originale disinvoltura che l’attore statunitense riesce a restituire attraverso una performance comica e perfettamente centrata, ma allo stesso tempo fuori luogo e dall’incredibile fascino, quasi come se gli tornasse naturale rivestire i panni di questo fannullone. In più, c’è da sottolineare che, come spesso accade nella filmografia dei Coen, anche questa volta è presente l’ennesima splendida colonna sonora firmata da Carter Burwell, lo storico collaboratore e compositore dei film dei due fratelli che, per l’occasione, compone una soundtrack memorabile che mescola brani originali a dei grandi classici ed alcune cover perfettamente eseguite, le quali si amalgamano alla perfezione con le disavventure dell’eclettico quanto eccentrico e disadattato Drugo, definendo lui ed ogni altro singolo personaggio.
Se dal punto di vista tecnico il film funziona particolarmente bene, non è da meno quello narrativo e, sopratutto, meta-narrativo: il modo di fare e lo stile di vita del protagonista, proprio come altre caratteristiche del film, è diventato decisamente iconico, tanto da dar vita ad una sorta di religione denominata dudeismo, una corrente di pensiero che esalta la pigrizia e quella voglia di non fare nulla e lasciarsi scorrere la vita e gli eventi addosso senza preoccupazioni. Inoltre, una volta entrato a far parte del club dei titoli considerati di culto, “Il Grande Lebowski” è stato e viene tutt’ora utilizzato come strumento di analisi politica e sociale, cercando di sviscerare i motivi per il quale un’opera audiovisiva è riuscita a scatenare il precedentemente citato movimento religioso oppure portare alla luce quella critica politica legata a temi come la guerra, il militarismo, la condizione umana nei confronti di un conflitto, senza dimenticare una serie di riflessioni sul femminismo, la sessualità ed i suoi feticismi, l’etica e la particolare vena filosofica protagonista di varie questioni all’interno di questo stravagante intreccio, ricco di suggestioni e diversi risvolti criptici, narrato dall’enigmatica guida silenziosa come lo Straniero (Sam Elliott).

“A volte sei tu che mangi l'orso e a volte è l'orso che mangia te.”
Lo Straniero (Sam Elliott)
La pietra miliare del cinema dei Coen
Nonostante sia considerato tutt’oggi una pietra miliare della filmografia dei Coen, inizialmente “Il Grande Lebowski” fu accolto mal volentieri da critica e pubblico, fin dalla sua prima visione al Sundance Film Festival e, successivamente, al 48° Festival di Berlino. Pronto ad essere etichettato come un passo falso della fiorente carriera della coppia di cineasti, l’opera con il passare del tempo è stata ampiamente rivalutata e, molto probabilmente, compresa ed elaborata, tanto da diventare un film manifesto non solo per i due fratelli, ma anche della storia del cinema e degli anni ’90. La sua incredibile capacità di muoversi e districarsi nell’immaginario collettivo ha permesso al film di accrescere velocemente di popolarità e valore in generale. Non si tratta di un progetto perfetto, ma è proprio attraverso i suoi difetti e la sua natura, in parte volutamente fallace, che trova la sua più grande forza, riuscendo ad essere amato sotto diversi punti di vista. Non è semplice nemmeno etichettarlo: c’è chi lo definisce un banale poliziesco oppure chi preferisce inserirlo nella commedia con delle sfumature grottesche, ma quello che conta davvero è come un titolo di fine anni ’90 riesca ad essere così perfettamente e spaventosamente attuale ancora oggi. Un trattato psichedelico sulla condizione umana che riesce nell’intento di andare oltre lo schermo per poi pervadere l’animo ed il pensiero del pubblico di qualsiasi età in modo diverso.