Articolo pubblicato il 27 Dicembre 2023 da Emanuela Di Pinto
Sembra strano da dire ma, a volte, riprendere schemi e modi di raccontare storie più tradizionali e che provengono dalle origini della narrazione cinematografica e televisiva, si può rivelare un’idea valida in un mondo dove la proposta della novità a tutti i costi tende ad essere fin troppo telefonata e, soprattutto, non originale. Con Only Murders in the Building, Hulu ha avuto la lungimiranza di accoccolarsi nei vecchi e ben rodati schemi della commedia e del giallo per tirare fuori una serie capace, nella sua semplicità, di raccontare tanto e mai in maniera banale. Con la conclusione della terza stagione di Only Murders in the Building, si chiude un nuovo caso all’Arconia che, per la prima volta ha visto il microcosmo del palazzo in cui indagano i protagonisti incrociarsi con il mondo esterno e, soprattutto, lo scorrere del tempo. Come ogni stagione di Only Murders in the Building, anche questa ha fatto di tutto per confondere lo spettatore e dargli modo, insieme ai protagonisti (e cadendo nelle loro stesse ingenuità ed errori), di capire la posizione di ogni personaggio nell’enorme e complessa scacchiera che è stata, per tutta la stagione, l’assassinio della star del cinema Ben Glenroy.
La trama di Only Murders in the Building, creata da Steve Martin e John Hoffman
Facendo un passo indietro nel tempo, non si può far altro che tornare nel 2021 quanto Disney+ fu bombardata dall’arrivo di Only Murders in the Building creata da Steve Martin e John Robert Hoffman. Ancor prima che venga presentato il primo caso che i tre protagonisti si ritrovano ad affrontare, la serie riesce perfettamente ad inquadrare i personaggi relazionandoli con quello che è il vero main character dell’intera serie: l’Arconia. L’improbabile trio, formato da Mabel, una giovane ragazza che sta ristrutturando l’appartamento di sua zia, Oliver, un regista di Broadway caduto in rovina e Charles, una ex star televisiva dimenticata, diventa un modo per raccontare non solo un giallo capace di appassionare il pubblico di tutte le età, ma anche di esplorare le differenze generazionali.
Nonostante le età diametralmente opposte, gli interessi diversi e i modi di vivere totalmente differenti, Mabel, Charles e Oliver diventano un modo per trasformarsi in finestra sul passato (per lei) e sul futuro (per loro). Se nella prima stagione l’obiettivo era trovare l’assassino del giovane Tim Kono, avvelenato e ucciso nel proprio appartamento, la seconda stagione va ancor più in profondità nelle viscere del palazzo, mettendo a rischio la posizione dei protagonisti che vengono accusati, per quasi tutti gli episodi, di essere gli assassini di Bunny Folger, l’amministratrice di condominio trovata morta da Mabel all’interno della casa di sua zia.

La recensione di Only Murders in the Building, un racconto sempre più generazionale
Nonostante si parli di un crime, Only Murders in the Building in tutte le sue stagioni ha come collante l’importanza dei rapporti e il modo in cui, anche non avendo un effettivo legame biologico, le persone possano diventare indispensabili l’una per le altre. Il trio composto da Mabel, Oliver e Charles, non è altro che la conseguenza di una solitudine che tutti e tre i personaggi palesano fin dalle prime scene della serie. Nessuno di loro sembra avere un obiettivo concreto nella vita e realizzare un podcast di true crime è un modo per dare un nuovo brio alla propria esistenza. Mabel, più di tutti, è bloccata nel limbo del “late boomer”, una persona che, nonostante abbia superato l’età della maturazione, non riesce ancor a trovare un posto nel mondo. Se nelle prime due stagioni questo “problema” era la sua dannazione, è nella terza che capisce quanto non sia una sua colpa ma una condizione che, in qualche modo, deve cercare di combattere. Insomma, Mabel diventa simbolo di una intera generazione bloccata costantemente in quel limbo tra lo scegliere i propri sogni e abbandonarli a favore di una vita “normale” e che, inevitabilmente, li annoierebbe.
Le eccellenti interpretazioni di Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez riescono a rendere l’idea del legame tra Mabel, Charles e Oliver confermando quanto, a volte, l’età non è ciò che ostacola le persone a creare un rapporto. Il modo in cui Mabel è totalmente persa a causa dell’allontanamento degli altri due nel corso della terza stagione, non è altro che la testimonianza di come, tutti e tre i personaggi abbiano creato tra di loro un equilibrio perfetto molto difficile da scardinare. Il modo in cui la serie sembra “funzionare di meno” quando i tre non sono insieme, è solo uno degli aspetti che dimostra quanto Only Murders in the Building trovi le sue dinamiche soprattutto grazie alla potenza narrativa (ed interpretativa) dei propri protagonisti. L’equilibrio delle parti è favorito anche da un grandissimo cast di comprimari che attraverso eccellenti caratterizzazioni e personaggi capaci di rimanere nell’immaginario anche grazie ad una sola scena, rende Only Murders in the Building un piccolo gioiello della serialità fin troppo sconosciuto. L’eccellente gestione del lato “crime” diventa un punto aggiuntivo ad una serie che già di sua natura funzionerebbe.
Un crime moderno con un pizzico di Agatha Christie
A differenza dei gialli che popolano il mondo della tv negli ultimi anni, Only Murders in the Building ricorda molto, nel modo di indagare e di “ricercare sbagliando”, quel modus operandi di scrittura che nel 2019 rese Knives Out – Cena con Delitto un successo al botteghino. Proprio come Benoit Blanc, presentato come un detective fallace, incapace di vedere gli indizi più palesi, anche qui Mabel, Charles e Oliver fin da subito vengono mostrati non come l’eccellenza del mondo dell’investigazione. Inciampano nei loro stessi errori e, molte volte, trascinano lo spettatore nelle loro convinzioni sbagliate. Questo, ovviamente, arricchisce ancor di più Only Murders in the Building per il modo in cui riesce a depistare continuamente il pubblico nel trovare la soluzione.
Come ogni giallo che si rispetti, usando come riferimento gli scritti di Agatha Christie, ogni pedina avrebbe avuto un motivo per volere la morte delle vittime ma, solo uno, sarà il vero colpevole. Il finale della seconda stagione si era concluso con il “quasi” esordio a Broadway di Oliver con la sua piece teatrale con protagonista il noto attore di blockbuster Ben Gleroy, interpretato da un sorprendente Paul Rudd in un ruolo inedito rispetto a quello a cui ci ha abituato nel corso della sua carriera. L’apparente morte del divo durante lo spettacolo ha lasciato tutti con il fiato sospeso per un anno in attesa dell’arrivo della terza stagione.

Only Murders in the Building, una finestra sui rapporti umani
Il tema principale dei nuovi episodi di Only Murders in the Building è chiaro fin dal primo momento: la maternità. Loretta, star nascente di Broadway e interesse amoroso di Oliver, infatti, diventa, attraverso la sua storia di ex ragazza madre che ha dovuto abbandonare da giovanissima il figlio (Dickie, il fratello-agente della vittima), il catalizzatore e la perfetta metafora per arrivare a quello che è il vero movente dell’omicidio: proteggere il proprio figlio. La maternità e la paternità nel corso delle stagioni di Only Murders in the Building, sono diventate il vero filo conduttore. Se nella prima veniva affrontato il tema del complesso rapporto tra Mabel e i suoi genitori (continuato poi nelle successive), nella seconda diventa centrale anche il legame tra Charles e la sua figlioccia e Oliver e suo figlio Will. In tutti e tre i casi, quello che viene messo in dubbio, è il valore dell’essere genitori.
Il modo in cui Oliver scopre di non essere il padre biologico di suo figlio e il legame sempre più paterno che si crea tra Charles e la figlia della sua ex compagna, sono le vere lenti di ingrandimento per analizzare più da vicino l’importanza del legame genitori-figli al di fuori del rapporto biologico che può esserci tra di loro. La terza stagione, attraverso la storia di Loretta, non fa altro che coronare un discorso che Only Murders in the Building cerca di portare avanti fin dal primo episodio. Una domanda che va altro al semplice racconto di un mistero che deve essere risolto. Only Murders in the Building è il racconto sincero e schietto di due generazioni: chi ha paura di essere in ritardo rispetto agli altri e chi è terrorizzato dal non aver fatto abbastanza nella propria vita ed è costantemente minacciato dagli anni che passano.