Articolo pubblicato il 14 Ottobre 2023 da Christian D'Avanzo
SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: Roma città aperta
Genere: drammatico
Anno: 1945
Durata: 96 minuti
Regia: Roberto Rossellini
Sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Celeste Negarville
Cast: Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Marcello Pagliero, Nando Bruno, Harry Feist, Francesco Grandjacquet, Maria Michi, Eduardo Passarelli, Carlo Sindici, Akos Tolnay, Joop van Hulsen, Giovanna Galletti, Carla Rovere, Amelia Pellegrini, Alberto Tavazzi, Turi Pandolfini
Fotografia: Ubaldo Arata
Montaggio: Eraldo Da Roma
Colonna Sonora: Renzo Rossellini
Paese di produzione: Italia
Vincitore della Palma d’oro (allora si chiamava Grand Prix) alla prima edizione del Festival di Cannes, distribuito nelle sale cinematografiche italiane l’8 ottobre 1945. Candidato all’Oscar nella categoria Miglior sceneggiatura originale.
La trama di Roma città aperta, diretto da Roberto Rossellini
Di seguito la trama ufficiale di Roma città aperta, diretto da Roberto Rossellini:
“Nella Roma del 1944, un dirigente della Resistenza, l’ingegnere comunista Giorgio Manfredi, riesce a sfuggire alle SS in una rocambolesca fuga sui tetti. A dargli ospitalità nella propria casa è la sora Pina, una vedova che alla Resistenza è legata a doppio filo tramite Francesco, un tipografo partigiano con il quale sta per risposarsi e dal quale aspetta un bambino. Il compito di Manfredi, improrogabile, è consegnare una forte somma di denaro a un gruppo partigiano che opera fuori Roma. Lo aiuterà in questo compito Pina, che tramite il figlioletto Marcello, mette in contatto Manfredi con il parroco di periferia don Pietro, attivo nella Resistenza. Lo stabile in cui abita Pina però, a causa di un autonomo, quanto improvvisato, attacco allo scalo ferroviario compiuto dai ragazzi del quartiere, è ben presto oggetto di un’ampia retata, che porta alla cattura di Francesco, Manfredi e all’assassinio a sangue freddo della stessa Pina, rea di aver inseguito l’amato mentre veniva portato via dai tedeschi. Francesco e Manfredi, aiutati da un agguato partigiano alla colonna tedesca, riescono comunque a fuggire, riparandosi da Marina, la ragazza di Francesco. Anche la Gestapo però, gioca le sue carte. Arrivato a Marina tramite Ingrid, una collaboratrice dei tedeschi che è anche la spacciatrice di morfina della ragazza, il maggiore Bergmann riesce da lei ad avere l’indirizzo dei due, stavolta insieme al nome di don Pietro. Torturato a morte senza aver parlato, Manfredi muore sotto gli occhi di don Pietro, fucilato poco dopo. Alla fucilazione, assistono, attoniti, anche i ragazzi del quartiere, che, dopo aver dato l’ultimo saluto al parroco si avviano, in gruppo, verso la città.”

La recensione di Roma città aperta, con Anna Magnani ed Aldo Fabrizi
A tutti gli effetti film manifesto del neorealismo italiano, realizzato quando ancora l’Italia non era completamente liberata, con enormi difficoltà di mezzi ed infrastrutture. Ma è esattamente l’urgenza di raccontare un paese sfinito e provato dall’occupazione e dai combattimenti a rendere il capolavoro di Rossellini, una pietra miliare del cinema internazionale del secondo dopoguerra, capace di dividere la “Settima Arte” in due ere, parafrasando l’ormai celebre frase del regista Otto Preminger. La finzione cinematografica si riduce allo stretto necessario, lasciando alla fantasia solamente i nomi dei personaggi, che ovviamente traggono ispirazione da donne e uomini realmente esistiti, così come i fatti i più salienti, di cui la messa in scena è entrata nell’immaginario collettivo delle generazioni successive, quantomeno per tutto il secolo XX. Il riferimento è ovviamente a due personaggi iconici come Pina e don Pietro, interpretati da due divi altrettanto iconici: Anna Magnani ed Aldo Fabrizi; Pina prende ispirazione da Teresa Gullace, una civile uccisa dalle truppe del Terzo Reich, mentre il secondo ricalca la figura e le vicende del sacerdote don Giuseppe Morosini.
Individui comuni con cui lo spettatore non ha problemi ad innamorarsene, soffre e gioisce con loro e per loro, proprio per la loro semplicità di esseri umani. Per apprezzarli ancora di più vengono inserite anche brevi sequenze di umorismo, per nulla fuori luogo nonostante il tono perennemente drammatico, in particolare don Pietro di fronte ad una statuetta rappresentante una nudità femminile, mostrandosi impacciato nel cercare di voltarla da un lato e poi dall’altro, non ottenendo però il risultato sperato. Per tutto il resto della durata la suspence è gestita in maniera sapiente, la tensione si percepisce fin dal primo fotogramma, grazie alla sinergia tra i movimenti della macchina da presa con le note della colonna sonora, dimostrando quanto sia vincente il connubio tra Roberto e Renzo Rossellini, non a caso tra i pochi aspetti positivi della trilogia precedente a questa pellicola.

Le tematiche di Roma città aperta, candidato ad un premio Oscar
Una città simbolo di un’intera nazione, oppressa dalla morsa nazista: i tedeschi sono l’incarnazione del male assoluto, straripante nella violenza, nell’odio, capace di qualsiasi atrocità, non risparmiando nessuna categoria di persone, manifestazione di ogni sfumatura dell’immoralità, anche sessuale. Esempio concreto è l’ascendente che esercita Ingrid su Marina: il suo atteggiamento trasmette una non indifferente tensione omoerotica, sfruttando a piene mani lo stato emotivo, fisico e psicologico della ragazza, alterato dalla tossicodipendenza e da una ricerca morbosa del benessere economico, così da riuscire ad estrapolare quelle informazioni essenziali alla cattura dei ribelli. Si ricorda anche, nella sequenza dello sgombero del condominio, l’atteggiamento rapace del soldato tedesco nei confronti di Pina, azione maliziosa nei confronti di una donna incinta, pronta quel giorno a convogliare a nozze. Queste informazioni sono sconosciute al militare in questione, ma al contrario il pubblico ne è perfettamente consapevole, con ciò scatta in automatico un sentimento di forte repulsione e sdegno, esploso poi in dolore una volta consumato l’assassinio di lei.
Luigi e don Pietro, due ideologie opposte unite per un obiettivo comune
Il 9 settembre 1943 nasce il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): il giorno dopo l’annuncio della resa incondizionata dell’Italia nei confronti delle forze alleate, i partiti e i movimenti antifascisti si uniscono nella lotta per scacciare il nazifascismo. Tra i tanti ad aver partecipato, emergono le due realtà più rappresentative, due ideologie destinate ad affrontarsi all’interno dei nuovi sistemi democratici/repubblicani del dopoguerra: comunismo e cattolicesimo; nel momento di assoluta emergenza le diversità vengono messe da parte, senza che esse vengano cancellate, per un bene superiore. La collaborazione tra Luigi e don Pietro simboleggia lo sforzo comune per liberare il popolo dall’oppressione, sacrificando da entrambe le parti numerose vite, che eroicamente hanno versato il loro sangue, consapevolmente, per garantire un futuro migliore alle generazioni successive. Entrambi i personaggi subiscono la medesima sorte, messa in scena in modo da esaltarne la dignità con cui riescono ad affrontarla: Luigi non si piega alle barbare torture in sede d’interrogatorio, portando fino in fondo una caratterizzazione granitica che lo contraddistingue fin dal primo fotogramma in cui appare; don Pietro si presenta come un uomo d’un pezzo, sempre posato e calmo, cosicché il suo unico momento di rabbia rimane impresso indelebilmente nella memoria degli spettatori, uno sfogo perfettamente umano, nato dall’orrore suscitato nell’assistere a tanta efferatezza e cattiveria, trovando nell’interpretazione di Aldo Fabrizi un contributo fondamentale.