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Stranger Than Paradise: l’America e la gioventù raccontate da Jim Jarmusch

Stranger Than Paradise (Più strano del paradiso) è il secondo lungometraggio del 1984 scritto e diretto da Jim Jarmusch in cui si approfondisce la tematica dell’inadeguatezza giovanile.
La recensione di Stranger Than Paradise, il film del 1984 scritto e diretto da Jim Jarmusch

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Stranger Than Paradise (Più strano del paradiso)
Genere: Commedia, culto, drammatico
Anno: 1984
Durata: 89′
Regia: Jim Jarmusch
Sceneggiatura: Jim Jarmusch
Cast: John Lurie, Eszter Balint, Richard Edson, Cecilia Stark, Danny Rosen, Rammellzee, Tom DiCillo, Richard Boes, Paul Sloane, Sara Driver
Fotografia: Tom DiCillo
Montaggio: Jim Jarmusch, Melody London
Colonna Sonora: John Lurie
Paese di produzione: Stati Uniti, Germania Ovest

Secondo lungometraggio scritto e diretto da Jim Jarmusch, Stranger Than Paradise (Più strano del paradiso) è un film del 1984, in cui il regista statunitense approfondisce ulteriormente il racconto di tematiche quali il disagio e l’inadeguatezza giovanili dei suoi personaggi, iniziato già quattro anni prima con il titolo d’esordio Permanent Vacation. Di seguito la trama e la recensione del film.

La trama di Stranger Than Paradise, diretto da Jim Jarmusch

Il film, presentato in anteprima al Torino Film Festival nel 1984, e vincitore del premio Golden Camera a Cannes nello stesso anno, nasce in realtà come estensione dell’omonimo cortometraggio indipendente realizzato dal regista nel 1982, proiettato per la prima volta all’International Film Festival di Rotterdam del 1983. Qui di seguito si riporta la trama del lungometraggio: 

“L’hipster newyorkese Willie intreccia un legame inaspettato con la giovane cugina ungherese Eva, che viene a trovarlo senza avvisare. Eva si trasferisce poi a Cleveland con la loro zia e un anno dopo Willie porta il migliore amico Eddie a trovarle. La visita culminerà con un viaggio in Florida.”

 

Quasi come a voler riprendere le fila del finale di Permanent Vacation, in Stranger Than Paradise Jarmusch opta come prima inquadratura la figura di una ragazza, Eva (Eszter Balint) immortalata con una valigia, in partenza dall’Ungheria per andare a New York da suo cugino Willie (John Lurie), che si ritrova costretto a ospitarla.

La recensione di Stranger Than Paradise, il film del 1984 scritto e diretto da Jim Jarmusch

La recensione di Stranger Than Paradise, il racconto on the road di Jim Jarmusch

Partendo dall’omonimo cortometraggio, Jarmusch sviluppa il suo progetto trasformandolo in un racconto on the road monocromo costruito intorno a una ripetizione simbolica del numero tre declinato in varie forme. Innanzitutto, il film sviluppa la sua narrazione in tre atti o capitoli principali: “Un nuovo mondo”, il cortometraggio da cui è stato concepito il resto del film così rinominato successivamente, “Un anno dopo” e infine “Paradiso”. A ciascuna di queste ripartizioni narrative corrispondono tre luoghi differenti degli Stati Uniti, rispettivamente le città di New York, Cleveland e la Florida. Infine, tre è anche il numero dei protagonisti del film.

Fin dalle prime scene, tra i due cugini si instaura inevitabilmente un rapporto profondo che trascende da quello della parentela: si tratta del legame che nasce dalla condivisione dello stesso sentimento di inadeguatezza che solo un giovane può provare sulla sua pelle. La comicità secca e brillante che permea tutta la pellicola nasce proprio in primo luogo dall’incontro di questi due mondi apparentemente diversi, dai loro scambi di battute a botta e risposta, a cui se ne aggiunge successivamente un terzo rappresentato dall’amico Eddie (Richard Edson) che fin da subito si amalgama con i due cugini. La dinamica triangolare alla base del film sembra omaggiare quella di Jules et Jim, qui semplificata e carica di umorismo.

 

Così ha inizio il “Nuovo Mondo” del prologo del film, che in questo senso rappresenta la scoperta di una nuova realtà, il proporsi di un’occasione da cui poter ricominciare da zero. Ogni luogo inesplorato appare agli occhi dei protagonisti pieno di stranezza, come se ricordasse un posto già visitato, così come affermato in una battuta di Eddie quando arrivano a Cleveland nel secondo capitolo. Ed è proprio questo senso di estraneità a essere la forza motrice dei tre giovani, la loro caparbia volontà di non accontentarsi mai nella continua ricerca di un paradiso perduto che sperano di poter trovare insieme in Florida.

Un ritratto frammentario in bianco e nero sull’America e l’identità giovanile

Uno a uno, i tre protagonisti entrano in scena alle prese con la propria vita, ciascuno l’incarnazione simbolica di un’inadeguatezza giovanile ineffabile ma resa palpabile tramite le immagini. La narrazione non è solo scandita esplicitamente dai titoli degli atti che compaiono sullo schermo in sovraimpressione. Visivamente la pellicola è volutamente frammentata di modo che ogni scena sia il prodotto di una singola ripresa, segnalata tramite il taglio netto dello schermo nero. Ciascuna sequenza diventa così una sorta di fotogramma in cui il regista cerca di immortalare in modo minimalista, l’essenza di quel momento, lo stato psicologico del personaggio. In questo modo ogni scena è equivalente alla sua precedente o successiva, proprio perché portatrice di un significato originale e autonomo

Il punto di vista dei personaggi e il duplice esilio

Nel contesto del film, Eva, Willie ed Eddie diventano così gli occhi attraverso cui osservare l’America degli anni ‘80 non solo in quanto nazione, ma soprattutto come incarnazione di quel sogno che illude e disincanta i giovani di quell’epoca. I tre appaiono come dei ragazzi di strada, doppiamente esiliati, non solo geograficamente parlando, ma anche da loro stessi: Eva si rifugia nell’ascolto ossessivo della solita canzone “I Put A Spell On You” di Screaming Jay Hawkins, che fa da colonna sonora al film. Inoltre Eva si ritrova a essere l’unica figura femminile in mezzo a un mondo di uomini, condizione che lei stessa esprime rifiutando di indossare il vestito a fiori regalatole da suo cugino Willie, prediligendo invece pantaloni e abiti maschili.

Di seguito la recensione di Stranger Than Paradise, il film del 1984 scritto e diretto da Jim Jarmusch

Willie, dal canto suo, rifiuta di essere chiamato con il suo vero nome Bela che rivelerebbe le sue origini ungheresi, vuole parlare solo in inglese e trascorre le sue giornate chiuso nella sua stanza alienandosi a guardare la tv, che lascia accesa anche durante la notte o andare al cinema a vedere i film del suo tanto amato regista giapponese Ozu. Come il suo amico Eddie, è patito di gioco d’azzardo e di scommesse per cui nel corso del film rischiano più volte di perdere soldi e guadagnarli nuovamente. Per quanto divisi l’uno dall’altro nelle scene finali, ciascuno immortalato nel proprio esilio per un luogo differente a causa di una catena di equivoci, lo spettatore comprende che in fondo la loro estraneità verso se stessi li ha portati inesorabilmente a una inconciliabilità reciproca.

 

Stranger Than Paradise si fa portavoce di un messaggio profondo tramite una semplificazione narrativa: come nella canzone da Eva tanto amata, l’America, in quanto paese per antonomasia portatore di un sogno, sembra aver scagliato un sortilegio su questi tre giovani, destinati ad allontanarsi, per poi ritrovarsi, perdersi di nuovo e così a ripetersi all’infinito.

Voto:
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Stranger Than Paradise (1984), Jim Jarmusch
Stranger Than Paradise - Più strano del Paradiso
Stranger Than Paradise – Più strano del Paradiso

Stranger Than Paradise racconta il viaggio di tre giovani: Willie, un giovane di New York che riceve la visita inaspettata da sua cugina Eva dall'Ungheria, che si stabilisce con lui e con il suo amico Eddie, in attesa di far visita alla zia a Cleveland: quali avventure aspettano loro?

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

01/01/1984

Regia:

Jim Jarmusch

Cast:

John Lurie, Eszter Balint, Richard Edson, Cecilia Stark, Danny Rosen, Rammellzee, Tom DiCillo, Richard Boes, Sara Driver, Paul Sloane (II)

Genere:

Commedia

PRO

La suddivisione narrativa in atti
Il rapporto profondo tra i tre giovani
La sensazione di estraniazione espressa con comicità
Nessuno