In più di vent’anni di attività cinematografica, la Dreamworks Animation si è sempre caratterizzata nel far convivere dentro di sé due mondi paralleli: nel primo vi abitano opere di altissimo livello, alcune veri e propri capolavori, con l’obiettivo di raggiungere una certa maturità artistica e contenutistica; il secondo invece si lascia andare verso un indirizzo esclusivamente commerciale, preoccupandosi maggiormente delle entrate economiche derivative. La trilogia di Trolls rientra chiaramente in quest’ultima casistica, legandosi a doppio filo con l’universo musicale, riuscendo con continuità a generare profitto, con ciò, finché la formula funziona non c’è motivo di fermarsi. Come prevedibile immaginarsi, si vive all’insegna del pretesto: i nuovi personaggi serviranno a riempire gli scaffali adibiti al merchandise, mentre l’intreccio narrativo fa da cornice all’inserimento di nuove canzoni, o l’arrangiamento di alcune famose, come ad esempio l’ennesima riproposizione di Sweet Dreams di Eurythmics, da riascoltare poi nelle varie playlist di tutto il mondo. Ogni inquadratura è pensata per divertire il pubblico di riferimento, con colori stravaganti sparati a mille, coreografie dinamiche e un tono leggero, pregnante del classico umorismo infantile, a cui agli adulti non fa il minimo effetto.

Tra un numero musicale e l’altro, muovendo i personaggi da un “punto A” ad un “punto B”, si cerca anche di sviluppare una tematica che possa essere comprensibile ai più piccoli e che possa essere a loro vicina. Un sempreverde è ovviamente la famiglia, in questo caso concentrata sulla fratellanza/sorellanza: un percorso che servirà a ricucire rapporti lasciati in sospeso per molto tempo e a costruirne di nuovi, sottolineando la gioia e l’importanza di un nucleo unito, in cui ogni membro si accetta per quello che è. Infatti; uno dei concetti principali è il raggiungimento del perfetto equilibrio familiare, possibile solamente liberandosi dalla perfezione, un paradosso fondamentale, poiché ognuno deve avere la possibilità di esprimere sé stesso, lasciandosi alle spalle qualsiasi etichetta. È possibile anche scorgere una potenziale critica velata al mondo delle pop star, di cui non sempre bisogna del tutto fidarsi di come appaiono sui poster e sui teleschermi, dato che la loro immagine pubblica può nascondere verità ben più sinistre, come lo è il character design dei cattivi di turno, arrivando quasi ad essere inquietante. Come si dice in gergo, lo sviluppo di tale questione è “all’acqua di rose”, evitando qualsiasi approfondimento, senza correre rischi inutili, che non si addicono e non ci si aspettano per operazioni simili.