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Recensione – Aquaman e il regno perduto, il sequel diretto da James Wan con Jason Momoa e Nicole Kidman

L’ultimo film del DC Extended Universe, Aquaman e il regno perduto, vede il ritorno di Jason Momoa e Nicole Kidman all’interno del cast.
La recensione di Aquaman e il regno perduto, con Jason Momoa e Patrick Wilson

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Aquaman e il regno perduto
Genere: fantasy
Anno: 2023
Durata: 124 minuti
Regia: James Wan
Sceneggiatura: David Leslie Johnson-McGoldrick
Cast: Jason Momoa, Patrick Wilson, Amber Heard, Yahya Abdul-Mateen II, Nicole Kidman, Temuera Morrison, Dolph Lundgren, Randall Park, Vincent Regan, Pilou Asbæk, Indya Moore
Fotografia: Don Burgess
Montaggio: Kirk Morris
Colonna Sonora: Rupert Gregson-Williams
Paese di produzione: Stati Uniti

Quindicesimo lungometraggio appartenente all’universo cinematografico DCEU, sequel di Aquaman (2018) sempre diretto da James Wan, liberamente ispirato all’omonimo personaggio dei fumetti targati DC Comics. Distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 22 dicembre 2023 mentre in quelle italiane il 20 dicembre dello stesso anno.

La trama di Aquaman e il regno perduto, diretto da James Wan

Di seguito la trama ufficiale di Aquaman e il regno perduto, diretto da James Wan:

Non riuscendo a sconfiggere Aquaman la prima volta, Black Manta, ancora spinto dal bisogno di vendicare la morte di suo padre, non si fermerà davanti a nulla pur di annientare Aquaman una volta per tutte. Questa volta Black Manta, in possesso del potere del mitico Tridente Nero, che scatena una forza antica e malevola, è più temibile che mai. Per sconfiggerlo Aquaman si rivolgerà al fratello imprigionato Orm, l’ex re di Atlantide, per forgiare un’improbabile alleanza. Insieme dovranno mettere da parte le loro divergenze per proteggere il loro regno e salvare la famiglia di Aquaman, e il mondo intero, da una distruzione irreversibile.

 

La recensione di Aquaman e il regno perduto, con Amber Heard e Nicole Kidman

 

 

La recensione di Aquaman e il regno perduto, con Jason Momoa e Nicole Kidman

La prima informazione fornita agli spettatori, per quanto riguarda un film (ma non solo), è il titolo; da qui è possibile iniziare il processo di valutazione della suddetta pellicola, in particolare sull’aggettivo contenuto al suo interno: “perduto”. In  primis, è andato perduto l’intero progetto DCEU, giunto alla sua conclusione dopo quindici film, caratterizzato dalla fretta, dalla confusione e da una mancata continuità, soprattutto ai vertici della casa di produzione. Progressivamente è andato perduto l’interesse del pubblico pagante, poiché ben prima della distribuzione dei suoi titoli dell’annata 2023, l’etichetta DC Films aveva già annunciato l’inizio di un nuovo percorso, con tanto di pellicola di rilancio, Superman Legacy, di James Gunn per il 2025. Perduto è stato anche il senso dell’orientamento: innanzitutto per quanto riguarda la tonalità, cupa e solenne in principio, poi drasticamente sguaiati e leggeri; la dilatazione dei progetti, causata dall’emergenza sanitaria, non ha aiutato a stare al passo con gli ulteriori cambiamenti del gusto della gente, satura di un certo umorismo e distaccata dagli appuntamenti che non sono classificati come grandi eventi. Infine, perduta è stata anche la strategia di marketing ideale per un blockbuster di questo tipo: azzoppata, non solo dai cambiamenti produttivi sopracitati, ma anche dalle questioni extra cinematografiche di cui coinvolgimento riguarda un membro importante del cast.

 

 

Fino all’ultimo momento, le premesse non sono state per nulla rassicuranti, ed il risultato finale rispecchia appieno i sentori generati fin dal primo materiale promozionale: l’unico appiglio positivo a cui aggrapparsi è la regia di James Wan, migliorata rispetto al precedente (non che ci volesse chissà quale impresa), infatti; le prova veramente tutte per garantire un’esperienza d’intrattenimento memorabile, mettendo in gioco ogni virtuosismo immaginabile, alla ricerca spasmodica del dinamismo e della velocità in ogni inquadratura. Il supporto tecnico/visivo non è per nulla adeguato alla situazione: 3/4 della narrazione è contestualizzata in green screens ed effetti in CGI, totalmente fuori rotta rispetto agli standard contemporanei. Le sequenze acquatiche purtroppo non sono mai credibili, non si riscontra alcuna aderenza tra i personaggi e l’ambiente circostante, non che la situazione sulla terra ferma vada meglio, anzi; le creature “esterne” non godono affatto di un rendering accettabile. La struttura è alquanto squilibrata: la bilancia pende notevolmente a favore del piatto dell’azione rispetto alla narrazione, ed oltre ad essere numerosa, è composta da sequenze ingiustificabilmente lunghe, cosicché la durata non è equiparata al contenuto: risibile, banale e derivativo. Molto presto si perde il conto dei riferimenti alla cinematografia commerciale, da Il Signore degli anelli, Star Wars, fino ai prodotti Marvel Studios.

 

 

Aquaman e il regno perduto, un disastro annunciato

Il rapporto Arthur-Orm è palesemente ispirato alle vicende di Thor e Loki, specificatamente nella pellicola Thor – The Dark World (2013), legame intriso di amore e odio, sviluppato all’interno di una convivenza forzata dalle pieghe degli eventi. Gli attriti tra il re di Atlantide ed il suo consiglio, o la conflittualità tra mondo sottomarino e mondo in superfice, sono pressoché identici a quelli visti in Black Panther (2018), diretto da Ryan Coogler, superando il confine della copiatura. Le parti migliori sono coloro le quali godono di un’ impostazione e di una tonalità seria, mentre le peggiori risultano quelle costernate da battute intrise di un bevero senso dell’umorismo; le linee di dialogo non godono certo di brillantezza, ma quando entrano in gioco i siparietti comici, il livello si abbassa drasticamente. L’interazione tra i due fratelli protagonisti è collocabile entro un’atmosfera da teenagers, con consueti punzecchiamenti e burle reciproche; la non efficacia è dovuta soprattutto alla mancata capacità recitativa di Jason Momoa, impostato sopra le righe apposta per compensare tale deficit, senza tener conto però della difficoltà conseguenziale dei ruoli da commedia, con un coefficiente assai elevato, tale da renderli tra i più difficili che un attore possa interpretare, ottenendo risultati disastrosi qualora non si dimostri all’altezza. È significativo come l’avventura di questo universo condiviso, iniziato nel 2013 con Man of steel di Zack Snyder, si sia conclusa con questo lungometraggio; indicativo su quanto si sia rivelato pasticciato, tentennante, ma soprattutto affannato nel tentare di raggiungere chi è partito prima.

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