I film del 2023 da recuperare assolutamente

Nel 2023 sono numerosi i film usciti al cinema, ma non per tutti c’è stata una grande attenzione del pubblico: per questo motivo, si vogliono citare quelli da recuperare assolutamente.
I film usciti nel 2023 da recuperare assolutamente

Articolo pubblicato il 27 Dicembre 2023 da Bruno Santini

Nel 2023 sono state distribuite opere di ogni genere al cinema, con risultati non sempre equilibrati in termini di botteghino: se, da un lato, si è assistito ad una copertura globale delle sale italiane con prodotti come Barbie, Oppenheimer o C’è ancora domani, dall’altro si è osservata una tendenza spesso molto particolare in termini di distribuzione, con poche sale cinematografiche che hanno accolto film che, invece, meritavano una grande attenzione. Naturalmente, non c’è da disperare del tutto, dal momento che questi film arriveranno anche in streaming con la possibilità di recuperarli il prima possibile. 

Quali sono i film del 2023 da recuperare?

Sulla base di quanto detto precedentemente, si effettua una selezione di quelli che sono i film del 2023 da recuperare assolutamente: si tratta non soltanto di pellicole che hanno interessato chi scrive e che, ovviamente, si propongono – a tratti – tra il meglio del 2023, ma anche di film che hanno ricevuto un trattamento piuttosto atipico in termini di distribuzione, con poche sale concesse o tempo di permanenza in sala esiguo. 

Inu-Oh (Masaaki Yuasa)

Dal regista di un capolavoro come Mind Game non ci poteva aspettare altrimenti eppure Masaaki Yuasa, con il suo ultimo lungometraggio, supera se stesso e realizza una delle opere più belle e complesse dell’anno. Inu-Oh sorprende infatti per il modo in cui riesce a conciliare delle animazioni eccezionali con una sceneggiatura apparentemente semplice, ma in realtà stratificata, profonda e con diversi piani di lettura.

Presentato in anteprima nella sezione Orizzonti della 78esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Inu-Oh è un’opera estremamente attuale, moderna e fresca, che parla di identità di genere e di razzismo riuscendo a fondere insieme Glam Rock ed il Giappone feudale in cui viene ambientata la storia. Ciò lo rende un prodotto crossmediale e metacinematografico che – non fa mai male ribadirlo – riesce a spiccare sulle altre opere d’animazione di quest’anno per la forte impronta autoriale data proprio da Masaaki Yuasa.

Kafka a Teheran (Ali Asgari, Alireza Khatami)

Con grande probabilità, il miglior cinema del 2023 ce lo ha donato l’Iran. Kafka a Teheran è solo uno dei tanti immensi titoli prodotti quest’anno, forse il più debole fra tutti ma necessario, intriso di un’urgenza narrativa che Ali Asgari e Alireza Khatami riescono a mettere in scena con un’opera ad episodi che racconta la quotidianità di un paese in cui anche il più semplice dei gesti rischia di essere pagato a caro prezzo.

Presentato in anteprima nella sezione Un Certain Regard della 76esima edizione del Festival di Cannes, Kafka a Teheran – il titolo originale, Terrestrial Verses, è certamente più bello e poetico – è quasi un mockumentary, un falso documentario diretto quasi totalmente di nascosto e che, va detto, ha in realtà uno dei finali più cinici e pessimisti dell’anno, che dà ancora più forza ad un racconto che lascia di sasso lo spettatore e, d’altronde, l’obiettivo è proprio questo: far vedere al resto del mondo come azioni e gesti che riteniamo scontati, in un paese come l’Iran diventano una montagna insormontabile. L’obiettivo dunque, è stato certamente raggiunto.

Trenque Lauquen (Laura Citarella)

Eletto dai prestigiosi Cahiers du Cinéma come il miglior film del 2023, Trenque Lauquen è purtroppo – come molti dei titoli presenti in questa classifica – un film invisibile. Eppure l’ultima fatica di Laura Citarella è un must assoluto, uno Stream of Consciousness di Joyceiana memoria di 260 minuti ma che poteva tranquillamente durate 8 o 12 ore. Il paese di Trenque Lauquen è una moderna Twin Peaks, dove David Lynch incontra Arthur Conan Doyle e dove nulla è come sembra.

Presentato in anteprima nella sezione Orizzonti della 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Trenque Lauquen sorprende per la sua estrema semplicità: tutto quello che c’è al suo interno è sotto gli occhi dello spettatore e l’opera vive del piacere per la narrazione, per il racconto, per le belle storie. Allo stesso tempo però, nulla è davvero come sembra, si ha la costante impressione che ogni personaggio nasconda qualcosa ed il finale, in questo senso, più che spiegare lascia un punto interrogativo.

Pacifiction (Albert Serra)

A proposito di Cahiers du Cinéma, se quest’anno è stato il precedentemente citato Trenque Lauquen ad essere eletto miglior film, nel 2022 questa posizione fu ricoperta da Pacifiction. L’ultimo film di Albert Serra non è stato apprezzato da tutti ed è stato accusato – come accaduto anche con alcune sue opere precedenti – di essere pomposo, pieno di sé senza però poi parlare concretamente di nulla. Mai lettura fu più sbagliata.

Presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes e, successivamente, al 40esimo Torino Film Festival, Pacifiction è un’opera-fiume, 166 minuti di pura geopolitica con un Benoît Magimel incredibile e con un costante senso di oppressione, come se una bomba potesse scoppiare da un momento all’altro. Un’opera dunque complessa, difficile e che richiede una grande attenzione da parte di uno spettatore che però, nel caso in cui riuscisse davvero ad immergersi in essa, non potrà che uscirne soddisfatto.

Disco Boy (Giacomo Abbruzzese)

Uno dei migliori film italiani del 2023 è anche uno di quelli di cui meno persone sono al corrente. Dopo alcuni cortometraggi e documentari, Giacomo Abbruzzese debutta nel mondo del lungometraggio con Disco Boy, una delle opere più particolari dell’annata italiana e che molti hanno criticato perché copia sbiadita di altre film importantissimi. Come purtroppo spesso accade, si tratta però di una lettura semplicistica, cattiva e, banalmente, sbagliata.

Presentato in anteprima alla 73esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, Disco Boy richiama indubbiamente il cinema di Francis Ford Coppola e Nicolas Winding Refn, ma trova nella regia e nella sceneggiatura di Abbruzzese quel tocco autoriale che lo rende un film del tutto originale, con un grandissimo Franz Rogowski e con una meravigliosa colonna sonora di Vitalic. Pochi lo hanno visto, quasi nessuno sembra averlo capito, ma Disco Boy è eccezionale ed Abbruzzese un regista da tenere d’occhio, sperando che l’Italia possa presto vedere ciò che vedono nel resto del mondo, Francia in primis.

Holy Spider (Ali Abbasi)

Ed ecco un altro titolo iraniano. Dopo l’ottimo Border e prima di dirigere una delle migliori serie tv del 2023 – ovvero The Last of Us Ali Abbasi è arrivato nelle sale italiane con Holy Spider. Tratto da una terribile storia vera, l’ultimo lungometraggio del regista di Teheran è una bomba ad orologeria, un continuo climax di emozioni in grado di tenere lo spettatore incollato alla sedia e con un finale cattivissimo.

Presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes – dove Zahra Amir Ebrahimi ha vinto il premio per la miglior interpretazione femminile – Holy Spider è una critica nerissima alla società iraniana, la stessa società che appoggiò in gran parte Saeed Hanaei, colui che uccise 16 prostitute a Mashhad e le cui vicende hanno ispirato il film. Allo stesso tempo però, Holy Spider destruttura il thriller, mostrando da subito come i buoni vengano sconfitti dal male e mostrando immediatamente allo spettatore chi è l’assassino, che ha un volto ed un nome ben precisi.

Animali Selvatici (Cristian Mungiu)

Qua non si tratta neanche più di un film nascosto che tutti dovrebbero recuperare, ma di un regista. Cristian Mungiu, nato a Lasi (Romania) nel 1968, è infatti uno dei registi contemporanei più importanti al mondo, vincitore di una Palma d’Oro nel 2007 con 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni. Quest’anno è tornato al cinema con Animali Selvatici – traduzione abbastanza discutibile del più complesso titolo originale, R.M.N. – e, ancora una volta, è riuscito a realizzare un’opera eccezionale.

Presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes, Animali Selvatici è un’attenta riflessione sulla natura umana, sulla vita all’interno di una piccola comunità e sul razzismo. Ciò che sorprende e che rende meraviglioso il tutto, è anche come esso abbia tantissimi punti in comune con As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, anch’esso uscito quest’anno e di cui parleremo tra poco. Romania e Spagna, ma anche Giappone – visto che questi collegamenti e queste similitudini non solo tematiche ma anche registiche possiamo trovarle anche in Il Male Non Esiste di Ryusuke Hamaguchi, a riprova di come questo sia un periodo fondamentale per parlare di questi temi scottanti. Mungiu ci riesce perfettamente e basterebbe la scena in piano sequenza dell’assemblea per far capire quale sia la caratura sua e del film.

Gli Ultimi Giorni dell’Umanità (enrico ghezzi, Alessandro Gagliardo)

Se prima si parlava di Trenque Lauquen come di un film invisibile, Gli Ultimi Giorni dell’Umanità pare non sia mai esistito. Il non-film di enrico ghezzi e Alessandro Gagliardo è senza dubbio quello che più di tutti in questa classifica ha avuto una pessima distribuzione in Italia. Da un certo punto di vista lo si può capire, visto che Gli Ultimi Giorni dell’Umanità è un’opera che si fatica a considerare come un film, ma anche come un documentario, è tutto e niente, un’opera-mondo impossibile da decifrare.

Presentato in anteprima fuori concorso alla 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Gli Ultimi Giorni dell’Umanità è un’opera mastodontica che pare sì impossibile da decifrare ma che poi, se si guarda attentamente, si mostra per quello che è, ovvero un prodotto complesso e difficile cui però ogni spettatore volenteroso può accedere. Certo, conoscere enrico ghezzi è piuttosto importante per approcciarvisi, ma qui stiamo parlando di un capolavoro che l’Italia dovrebbe mostrare al mondo come proprio vanto, non tenere nascosto come se si fosse permesso a ghezzi e Gagliardo di realizzarlo per far loro un favore. Peccato, ma chiunque avrà modo di recuperarlo ne uscirà arricchito, come cinefilo e, ancor prima, come essere umano.

La Chimera (Alice Rohrwacher)

L’ultimo film di Alice Rohrwacher chiude idealmente quella trilogia inaugurata da Le Meraviglie e portata a compimento con Lazzaro Felice, con i medesimi risultati che la regista era già stata in grado di affrontare in passato: una grande attenzione all’estero, con il film che è stato inserito nel meglio del 2023 da Indie Wire, e un responso tiepidissimo in Italia, dove solo un piccolo flash mob ha permesso – ad alcune sale cinematografiche – di effettuare una riprogrammazione in sala. 

Il film di Alice Rohrwacher presenta tutti i termini distintivi di una filmografia che non fa a meno di perle e che, anche con questo prodotto, si lascia andare ad un senso di viscerale rapporto con le cose e con la natura: la tradizione dei tombaroli viene qui rievocata attraverso un racconto magico, reso possibile anche grazie agli intermezzi musicali e da una rottura della quarta parete assolutamente indimenticabile. Il film, che non nasconde neanche un attimo l’estrema vena poetica della sua autrice, si serve di tutti i possibili meccanismi tecnici e narrativi per restituire all’uomo ciò che è nella sua intimità più netta, con un risultato che è considerabile tra il meglio di quest’anno. 

As Bestas (Rodrigo Sorogoyen)

Vincitore di nove premi Goya e definito il film spagnolo dell’anno, As Bestas è l’ultima fatica di Rodrigo Sorogoyen che riesce a sublimare la sua carriera con un prodotto assolutamente straordinario, ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto nel 2010 e dedicato a Margo, la moglie dell’uomo – Martin Albert – che ha subito un destino simile rispetto a quanto raccontato all’interno del film. Se, in una prima chiave di lettura, As Bestas è un film che si propone di parlare di razzismo, ben presto ci si può rendere conto della vasta quantità di temi che emergono dalla struttura portante del film, in quello che è un thriller atipico – dai connotati western – che viene cadenzato dall’utilizzo magistrale della colonna sonora e dall’abbondante uso di alcuni piani sequenza assolutamente perfetti. 

As Bestas parla di integrazione e di causa ecologica, ma anche di possibilità di vita, di contatto tra culture e realtà sociali differenti; è, in fin dei conti, un film che non parla dell’altro perché straniero, ma che evidenza quella profonda spaccatura – talvolta insanabile – che esiste tra gli esseri viventi, con un atteggiamento mai giudicante e con un trattamento (anche tecnico) della macchina da presa che diventa qui onnisciente, nel suo tentativo di raccontare quella storia dal tragico esito. 

Asteroid City (Wes Anderson)

Il progetto di Wes Anderson realizzato in collaborazione con Netflix non ha ottenuto i risultati sperati, soprattutto in materia di adattamento di Roald Dahl, un autore che Wes Anderson ha spesso citato come sua principale ispirazione. Con Asteroid City la rotta è completamente differente e Wes Anderson giunge ad una tipologia di cinema in cui appare estremamente consapevole non soltanto della sua poetica, ma anche di quel discorso di autoreferenzialità che spesso gli è destinato. La genialità di Wes Anderson non è certamente un elemento nascosto, ma l’ultima fase della carriera del regista è accompagnata da una profonda crisi – non soltanto artistica ma anche morale – che si configura in forma di quella depressione esistenziale, resa perfettamente dal personaggio del protagonista, interpretato da Jason Schwartzman. Che lo si ami o si odi, Wes Anderson è sempre un autore da recuperare e il suo Asteroid City non è certamente da meno.

Il libro delle soluzioni (Michel Gondry)

The Eternal Sunshine of the Spotless Mind è un film che ha fatto la storia del cinema e che ha avvicinato gran parte degli spettatori ad una poetica che Michel Gondry e Charlie Kaufman, che lì collaborano, condividono attraverso un’idea di cinema assolutamente iconica e rivoluzionaria. Michel Gondry ha poi realizzato dilm che sono passati maggiormente in sordina, tra cui l’ultimo Il libro delle soluzioni, che riflette su quei temi estremamente depressivi che alimentano la condotta artistica del suo autore. Il personaggio raccontato all’interno del film altro non è che Michel Gondry stesso: un genio che si è formato sull’amore per Meliés e che, dopo aver realizzato alcuni dei videoclip migliori della storia, si è confrontato con il cinema.

Lo stile di Michel Gondry non viene mai rinnegato neanche in questa pellicola: da un lato il bisogno intrinseco di ispirazione, la volontà di risolvere quella sovrastimolazione che appartiene alle nostre vite; dall’altro la necessità, da parte del regista, di introdurre se stesso in un film che si arricchisce di prodigi tecnici che ha ereditato dalla tradizione del videoclip e che – nel contesto del grande schermo – diventano ancor più iconici. Il libro delle soluzioni è un film visionario come il suo regista, che merita di essere recuperato assolutamente.

Leila e i suoi fratelli (Saeed Roustayi)

Il grande potere del cinema iraniano si osserva attraverso quella che potrebbe essere definita come una vera e propria summa tematica, morale ed ideologica di una scuola di pensiero che si osserva in Leila e i suoi fratelli. Il film di Saeed Roustayi, accolto dalle polemiche e per cui è stata vietata la distribuzione in Iran, rappresenta l’emblema più puro di un cinema di denuncia che non ha bisogno di una sovrabbondanza di termini o di eccessi visivi per esprimersi; è il cinema dietro il cinema, il racconto necessario di una realtà che non viene filtrato dall’opinione e che si presenta attraverso l’unico e reale linguaggio possibile da parte della macchina da presa: quello della verità.

Leila e i suoi fratelli è allora un lungometraggio che sa parlare di differenze di classe, del peso della tradizione, di opportunismo e di distanze generazionali, che si strutturano in forma di quella frammentazione che interessa i fratelli e i genitori di Leila, persone il cui stile di vita è l’effetto di un evolversi temporale che quasi prosegue al di fuori di sé, di fatti predestinando l’esistenza di ogni individuo. Un film straordinario, che si affida ad una scrittura perfetta e ad una maestra nelle riprese (viene in mente quella grandangolare nell’ospedale, per citarne soltanto una) volte a riprodurre quelle gerarchie sociali che vengono raccontate. Un film necessario, per ogni spettatore, che si invita a recuperare direttamente in streaming.

Close (Lukas Dhont)

Uno dei primi film ad essere usciti in Italia nel 2023, Close ha guadagnato una grande attenzione da parte della critica internazionale, sia nel conteso dei Golden Globe che degli Oscar, ma non da parte del pubblico e delle sale italiane, che hanno destinato poco spazio a quello che, a tutti gli effetti, è un coming of age che si arricchisce di tematiche che vengono rese, sul grande schermo, attraverso l’abbondante ricorso alla retorica di cui il film risulta essere portatore. Close è un film che racconta la storia di bambini che scoprono e rinnegano, in virtù di quel mondo che si oppone loro con estrema violenza, quelle pulsioni sessuali e quei desideri amorosi che fanno parte della vita di ogni individuo. Il racconto di un amore omosessuale che viene interrotto, per effetto dell’altrui cattiveria, è il pretesto per fornire anche uno sguardo intelligente su quelle architetture sociali che regolano la maggior parte dei nostri gesti.

Il tutto viene reso attraverso una grande attenzione al dettaglio e all’elemento retorico, i fiori su tutto, che permettono di restituire allo spettatore un film delicatissimo e meritevole di essere recuperato assolutamente. Per fortuna, Close è un film già approdato in streaming, per cui sarà possibile vederlo il prima possibile, anche per ottenere una panoramica più completa a proposito di un anno che ha visto diversi film di grande valore uscire al cinema, troppo spesso in sordina.

Il male non esiste (Ryusuke Hamaguchi)

Si conclude con quello che è dei migliori film che siano stati presentati nell’ambito del Festival del Cinema di Venezia, in una cornice in cui il concorso ha presentato – decisamente a sorpresa – l’autore che, nonostante la sua giovane età, ha praticamente già vinto tutto. Il male non esiste è un film decisamente atipico, strutturalmente parlando, nella carriera di Ryusuke Hamaguchi, ma segue perfettamente quel filone che appartiene alla carriera del regista.

L’incomunicabilità, il rapporto con la natura e l’evidente frattura che si pone nella realtà del presente sono i temi più evidenti di un film che – nella sua esigua durata – racconta di quel contrasto insanabile che c’è tra il capitalismo sfrenato che avanza e ingloba tutto e il ritorno, quasi viscerale per alcune realtà geografiche, e il senso più puro delle cose, che si avverte ripiegando sul nucleo essenziale dell’esistenza. Il tutto avviene in un contesto reso iconico dalla presenza imperante della natura e da quel simbolismo animale che permette di rimanere impresso nella mente dello spettatore. Il male non esiste è uscito al cinema a dicembre 2023 e non ha ottenuto l’attenzione che merita, così come tutti i film di Hamaguchi in Italia, ma è già destinato ad essere una delle tracce più importanti del nostro tempo.